Barack Obama aspetta l’esito delle elezioni tedesche sperando di veder emergere a Berlino un governo capace di affiancare gli Stati Uniti nell’accelerare la crescita dei paesi industrializzati durante i tre anni che rimangono alla fine del suo mandato.
L’ambizione di Obama è di uscire dalla Casa Bianca, il 20 gennaio del 2017, lasciando in eredità al successore una fase di crescita economica paragonabile a quella firmata da Bill Clinton al termine degli anni Novanta. Per riuscirci ha bisogno di sommare il tassello europeo al mosaico della ancora debole ripresa americana. Da qui una ricetta che somma la volontà di siglare in tempi brevi la Partnership Transatlantica sullo scambio di Beni e Investimenti alla necessità di avere un partner politico forte per coordinare le politiche fiscai e, soprattutto, le mosse di Federal Reserve e Bce.
Durante la fase più acuta della crisi dell’Eurozona, fra il 2011 e 2012, le molteplici frizioni fra Obama e Merkel hanno spesso sfiorato la crisi aperta. Washington ha prima guardato alla cancelliera come salvatrice dell’euro, poi ne ha guardato con sospetto l’irrigidimento in favore dell’austerity ed è infine arrivata a considerarla - in occasione del G8 di Los Cabos e Camp David - quasi un ostacolo. Ma il miglioramento della stabilità dell’Eurozona, con il rientro degli allarmi su Italia e Francia, hanno allentato le tensioni fra Washington e Berlino. Anche perché le stime sulle crescita dei paesi industrializzati nel 2014, frutto delle analisi del Fmi, individuano nel motore Usa-Ue-Giappone l’unico in grado di far avanzare una crescita globale frenata dalle difficoltà delle economie emergenti. È uno scenario che suggerisce a Obama di perseguire una stretta partnership con Berlino, chiunque sia il nuovo cancelliere. Ciò significa che se sul fronte strate gico gli Stati Uniti hanno trovato in Parigi e Londra gli alleati più importanti per affrontare le crisi innescate nel Mediterraneo dalla Primavera araba, su quello economico il partner obbligato è Berlino. Tanto più che i memorandum preparati dal Dipartimento di Stato per il presidente suggeriscono che Angela Merkel potrebbe vincere "ma con qualche debolezza politica in più", destinata a renderla più malleabile.
Per avere un’idea di cosa si prepara nelle relazioni bilaterali se Merkel resterà alla cancelleria bisogna guardare a quanto avvenuto fra Usa e Germania sul fronte siriano. La Merkel non ha celato il disaccordo con l’ipotesi dell’intervento militare ma ha fatto ben attenzione a non andare sopra le righe, scegliendo un profilo basso che dopo il G20 di San Pietroburgo ha addirittura portato Berlino ad aderire alla coalizione di paesi, guidata dagli Stati Uniti, che ritiene indispensabile il disarmo chimico di Bashar Assad. La Merkel, insomma, ha contenuto il dissenso cercando di individuare una terreno comune. E ciò ha trovato l’apprezzamento dell’amministrazione Obama che spera di procedere su un binario analogo sul fronte delle politiche economiche e fiscali sin dall’indomani dell’esito delle elezioni tedesche. Il vero terreno di prova sarà però il negoziato sul libero commercio transatlantico perché i consiglieri economici del presidente - a cominciare da Jack Lew, divenuto ministro del Tesoro - ritengono che il salto di qualità potrà venire da un aumento dei consumi interni in Germania. A Washington è forte la convinzione che la Merkel può condividere con Obama la paternità del rilancio in grande stile delle economie euroatlantiche se, una volta archiviata la rielezione, sceglierà di promuo-vere occupazione e crescita rivedendo in parte le rigidità che fino a questo momento l’hanno distinta fra i partner europei.
Maurizio Molinari, corrispondente da New York per La Stampa
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