Un viaggio storico. La visita di Obama assume un importante valore simbolico, equiparabile a quanto avvenuto in Myanmar (novembre 2014), quando incontrò il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, e in Egitto, con il celebre discorso all’Università del Cairo (giugno 2009). L’obiettivo politico è quello di lanciare un messaggio di speranza ai cubani, soprattutto in vista di una data importante, quel 24 febbraio 2018 che dovrebbe segnare l’uscita di scena di Raúl Castro. Tra due anni terminerà il mandato e si ritirerà, come annunciato più di un anno fa. Gli spin doctors dell’amministrazione Obama ritengono che questo viaggio possa rappresentare un momento chiave del riavvicinamento tra Stati Uniti e Cuba. Secondo alcune anticipazioni, Obama dovrebbe ottenere il permesso per effettuare un discorso presso l’aula magna dell’Università dell’Avana, che comunque sarebbe trasmesso in tivù: sul modello dell’intervento dell’ex presidente Jimmy Carter, nel 2002.
La strategia di comunicazione – Gli Usa hanno ancora delle differenze con Cuba, ha sottolineato Obama. Una risposta alle critiche dei repubblicani, e di alcuni loro candidati alla Casa Bianca, che gli contestano il proposito di voler visitare un’isola ancora in mano alla dittatura. L’ultimo leader americano a recarsi nell’isola fu Calvin Coolidge, nel 1928. Il disgelo avviato poco più di un anno fa, il 17 dicembre 2014, continua a registrare passi avanti. Pochi giorni fa Stati Uniti e Cuba hanno siglato l’accordo per la ripresa dei collegamenti aerei tra i due paesi, punto cruciale della normalizzazione delle relazioni diplomatiche. Nella sua visita a Cuba Obama «incontrerà anche dissidenti, membri della società civile, compresi quelli che certamente si oppongono alle politiche del governo cubano», secondo quanto già annunciato nei briefing dei giorni scorsi. Immediata la reazione di Ted Cruz e Marco Rubio, i due candidati repubblicani alla Casa Bianca, entrambi di origini cubane. Per il senatore del Texas, ultra-conservatore beniamino dei Tea Party e degli evangelici, nato nella città canadese di Calgary, andare a Cuba «finché Castro è al potere è un errore: Sono rattristato, ma non sorpreso. La cosa era nell’aria da tempo». Ancora più duro Rubio, giovane senatore della Florida i cui nonni emigrarono ai tempi della dittatura di Batista, dunque prima della rivoluzione di Fidel Castro. «La visita di Obama è assurda. Se io fossi presidente – afferma Rubio – non prenderei in considerazione un viaggio del genere, se non in circostanze molto particolari. Non andrei mai finché Cuba non è libera. E un anno e due mesi dopo le aperture all’isola Cuba – denuncia Rubio – il governo cubano resta repressivo come sempre. Una dittatura». Al di là delle posizioni dei due candidati conservatori, Cruz e Rubio, il disgelo tra Stati Uniti e Cuba, secondo la maggior parte degli analisti americani e sudamericani è ormai inarrestabile ed è solo una delle tessere della politica estera cubana di Raul Castro.
La diplomazia de L’Avana – La situazione economica ed energetica di Cuba è complessa e presenta varie criticità. I tre principali problemi sul tappeto sono questi: la doppia moneta, l’insicurezza alimentare ed energetica, il partito unico. L’abilità del governo di Cuba è quella di giocare su più tavoli le diverse partite di politica economica internazionale. Non avrebbe potuto immaginarlo neppure la fantasia di Dan Brown. Eppure pochi giorni fa è avvenuto a L’Avana l’incontro storico tra Papa Francesco e Kirill, il XVI Patriarca di Mosca e di tutte le Russie. Un incontro importante, ma anche l’ultimo successo di politica estera incassato da Cuba che dal 17 dicembre 2014, (data dell’annuncio distensivo di Raul Castro e Barack Obama) a oggi ha inanellato una serie di importanti riconoscimenti internazionali. Cuba ha rafforzato il dialogo con vari interlocutori: Stati Uniti, Cina, Unione europea, Francia, Brasile, Colombia. Solo pochi anni fa, all’inizio della crisi del Venezuela, fornitore di petrolio a L’Avana, nessuno avrebbe scommesso un peso sulla centralità di Cuba. Invece è accaduto. Negoziati, tavoli e relazioni economiche si moltiplicano.
Cuba – Colombia – Le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) rappresentano la spina nel fianco di tutti i governi della Colombia. Una guerriglia attiva da più di 50 anni. Ebbene, il ruolo di Cuba nei negoziati di pace tra le Farc e il governo di Bogotà è stato cruciale. Non solo per i risultati raggiunti ma anche come prova di interlocutore credibile. Si è trattato di un “test” utilizzato dagli Stati Uniti per procedere nella distensione tra L’Avana e Washington. La prova è stata superata.
Cuba-Usa – Negli ultimi 14 mesi, le “aperture” di Washington nei confronti de L’Avana si sono succedute a un ritmo sostenuto. E anche nell’ipotesi che alla Casa Bianca dovesse approdare Marco Rubio o Ted Cruz, candidati repubblicani di origine cubana considerati “falchi” nei confronti di Cuba, sono pochi a sostenere l’inversione di questa politica distensiva.
Cuba-Francia – È di pochi settimane fa la visita a Parigi di Raúl Castro che dopo l’incontro con François Hollande incassa accordi in tre ambiti: turistico, trasporto, commercio equo-solidale. Non solo, Cuba porta a casa anche la parziale cancellazione del proprio debito contratto con il Club di Parigi (pari a circa 11 miliardi di euro).
Cuba-Cina – Un altro pilastro della “transizione con crescita economica”, obiettivo di Raúl Castro, poggia sugli accordi economici tra Pechino e L’Avana. Il porto di Mariel, la zona franca poco lontana dalla capitale cubana, è stato ispirato a Shanghai degli anni Ottanta. I grandi flussi di capitali cinesi, arrivati a L’Avana, hanno contribuito, tra le altre cose, al rilancio del settore turistico.
Il riconoscimento internazionale della politica estera di Cuba, declinata con sapiente abilità, è arrivato dalle cancellerie di tutto il mondo. Farnesina compresa. Alfredo Somoza, presidente dell’Istituto di cooperazione economica internazionale (Icei) ha dichiarato che Cuba «sta mostrando grandi capacità nell’attrazione di investimenti stranieri. Anche per questo un aggravamento della crisi del Venezuela con la conseguente contrazione di esportazione di greggio verso Cuba, non genererebbe uno shock petrolifero. Soprattutto se le quotazioni del petrolio restano attorno ai 30 dollari al barile».
Nella cabina di regia di questa straordinaria svolta cubana c’è il Vaticano. La politica estera cubana e quella vaticana si sono intrecciate. Anche perché l’estensore dell’agenda del primo viaggio a Cuba di Papa Wojtyla, nel gennaio del 1998, fu un cardinale latino-americano, di Buenos Aires. Jorge Bergoglio.
Roberto Da Rin, corrispondente de Il Sole 24 Ore