Le operazioni di sicurezza in Libia, i rapporti con la Russia, lo stato dell’Unione Europea e dell’euro, il sistema di contrappesi alla leadership economica della Germania, le spese militari e gli accordi di libero scambio nell’area transatlantica. Non mancano gli elementi in agenda per l’incontro fra Barack Obama e Matteo Renzi domani alla Casa Bianca, ma dai consiglieri del presidente americano il messaggio arriva chiaro: il vero obiettivo del faccia a faccia è consolidare la relazione personale fra i due leader, nutrire le affinità elettive, fare un passo del percorso che porta certi alleati a diventare “bon ami”. Il riferimento è al rapporto fra Bill Clinton e Tony Blair, l’amicizia democratica contemporanea per eccellenza, saldata definitivamente con la fondazione della Terza Via, avvenuta, guarda caso, a Firenze. L’entourage di Renzi promuove lo stesso messaggio, più personale che strettamente politico, sotto la formula del “new normal”, apparentemente un passo indietro rispetto alle ambizioni politiche di breve respiro, alla foga di avere un trofeo da esibire una volta tornato in patria, ma che in realtà suggerisce la ricerca di Renzi di una partnership più duratura e profonda con l’alleato americano. Obama ha elevato il concetto di “empatia” a marchio di fabbrica del suo stile politico, e Renzi è ben lieto di sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda con un incontro che avviene a oltre un anno dall’insediamento a Palazzo Chigi, tempo piuttosto lungo, ma durante il quale non sono mancate le occasioni per incontrarsi, a Roma e nei summit internazionali, e per scambiare idee sui dossier più delicati. Si potrebbe dire che non è nemmeno una missione, questa di Washington, quanto una visita cortese, amicale, agghindata con tutti i fiocchi del caso: ospitalità nella Blair House, pranzo alla Casa Bianca, conferenza stampa nel Rose Garden, non nella più grigia e formale East Wing. E l’osso politico attorno a cui è aggrappata la carne della relazione personale è uno soltanto: l’agenda per la crescita economica. Non con tutti gli alleati europei Obama trova terreno fertile per parlare di politiche per dare una frustata all’economia, e negli anni della crisi dell’Eurozona la Casa Bianca si è trovata a combattere una guerra per procura contro il paradigma tedesco dell’austerità, facendo leva sugli alleati che possono rendere flessibili le rigide istanze di Berlino. Tutti gli altri punti di discussione, dalla Libia all’Ucraina, sono “non irrilevanti, ma tutto sommato simbolici”, come li definisce una fonte vicina all’Amministrazione Obama, nel senso che non è un bilaterale alla Casa Bianca il contesto diplomatico per discutere scenari più complessi. Scenari dai quali peraltro l’America di Obama si sta tendenzialmente defilando, con un processo di “disengagement” che porta a delegare la stabilità globale agli alleati o a sistemi di coalizioni in cui Washington non è che l’azionista di maggioranza.
Nell’incontro con Renzi si parlerà più della dimensione economica e dello stato di salute dell’Unione Europea, dove Obama ha tanti alleati e qualche buon amico, che però non ci sentono molto quando si parla di certi temi. Con David Cameron, Angela Merkel e François Hollande non c’è molto terreno comune sulla crescita, mentre l’impeto liberista di Renzi – esaltato dal contrasto con un’economia tenuta al guinzaglio dagli antichi lacci del corporativismo, industriale e sindacale – crea un’affinità particolare con l’inquilino della Casa Bianca. Per quanto riguarda la Germania, poi, la Ostpolitik di Merkel ha rimesso in movimento la tettonica a placche transatlantica; nessuna rottura, s’intende, ma quando la più grande potenza europea guarda più spesso a Mosca e a Pechino che a Washington il dato merita un’analisi più approfondita. La visita è una buona occasione per fare una ricognizione dello stato dell’alleanza transatlantica, e certamente gli americani non mancheranno di ricordare la richiesta di aumentare la spesa militare, ormai un ritornello ripetuto ad libitum nei contesti della Nato. Gli Stati Uniti chiedono ai membri di arrivare al 2 per cento del Pil per la difesa, mentre l’Italia è attorno all’1,3 per cento.
La visita è breve, ma l’agenda di Renzi è fitta, anche quella degli appuntamenti laterali. Il premier farà una lecture alla Georgetown University, e verrà intervistato da Wolf Blitzer, anchorman di punta della Cnn. Poi cena a Villa Firenze, la residenza dell’ambasciatore italiano, Claudio Bisogniero, con una lista di ospiti che è un omaggio alla tribù clintoniana, con cui Renzi ha coltivato a lungo le relazioni. L’ufficialità della candidatura di Hillary per la corsa alla Casa Bianca cade con tempismo perfetto, e oltre all’attuale inquilino di Pennsylvania Avenue potrà intrattenersi anche con gli uomini che stanno lavorando alla successione: uno sguardo al presente e uno al futuro (che , in questo caso, ha molto a che fare con il passato). A cena ci saranno di certo John Podesta, chairman della campagna elettorale di Hillary Clinton, il consigliere per la sicurezza nazionale, Susan Rice – parte dell’inner circle di Obama – e anche Victoria Nuland, capo dell’ufficio europeo del Dipartimento di stato, personaggio diventato celebre per il «fuck the Eu» pronunciato al telefono con l’ambasciatore americano a Kiev, una sbavatura colorita, ma fondamentale per gli equilibri ideologici della diplomazia di marca liberal. Tra le altre cose, Nuland è la moglie di Robert Kagan, lo storico neoconservatore che coniò la formula secondo cui gli americani vengono da Marte, gli europei da Venere. E la distinzione non è del tutto obsoleta.