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Commentary
OBOR: rischio politico crescente per lo snodo Balcani
21 luglio 2017

La regione balcanica sta sperimentando da diversi anni un significativo aumento del rischio politico. Tale situazione è frutto di un mix di elementi quali il riemergere di spinte nazionaliste, la recrudescenza di conflitti etnico-religiosi, la presenza di dispute territoriali irrisolte e, non ultimo, la presenza di cellule di estremismo di stampo islamista in alcuni paesi della regione. L’indice di rischio Sace (vedi Fig.1), che sintetizza su una scala da 0 a 100 il livello di rischio politico dei singoli paesi, evidenzia la presenza di un rischio medio-alto, mostrando una certa eterogeneità all’interno dell’area. Tale situazione è legata alla presenza di fattori eterogeni di instabilità nelle diverse geografie.

 

Fig. 1 Indice Sace rischio politico*(0= rischio min; 100= rischio max)

 

(*) l’indice è costruito come la media degli indicatori di rischio di violenza politica, mancato trasferimento ed esproprio, elaborati sulla base di elementi quantitativi e qualitativi (per approfondimenti).

 

Le ultime tornate elettorali della regione sono state caratterizzate da forte instabilità, con scontri interni tra i fronti opposti (come nel caso della Macedonia) e aspre contestazioni sulla regolarità del processo elettorale (come in Montenegro). Gli esiti delle diverse elezioni inoltre hanno evidenziato la presenza nel tessuto politico di fronti nazionalisti e indipendentisti, sensibili a dispute irrisolte di natura territoriale ed etnica (come nel caso del Kosovo e della Bosnia). La vittoria di candidati più vicini a posizioni europeiste in alcuni paesi (ad esempio Serbia e Montenegro) frena solo in parte le spinte nazionaliste presenti nella regione e legate in particolare alle tensioni tra le minoranze etniche e religiose presenti nei diversi paesi. All’interno di questo quadro già instabile, persistono frizioni tra paesi (come tra Serbia e Kosovo o tra Macedonia e Albania), legate in particolare ai riconoscimenti e alle tutele delle minoranze etniche presenti all’interno dei confini.

Un fenomeno non nuovo ma in recente ripresa è legato alla presenza nella regione di cellule terroristiche di matrice islamista. Il radicalismo islamico era già presente nella regione negli anni Novanta, alimentato dai conflitti originati dalla guerra nella ex Jugoslavia e rinvigorito dalla diffusione dello Stato islamico (Isis). La dottrina dell’Isis ha vissuto una diffusione capillare all’interno di diversi stati della regione (in particolare Albania, Kosovo, Macedonia e Serbia), dove sono maggiormente sentite le divisioni interne di matrice etnica e religiosa. La presenza di singoli soggetti, collegati alla rete dell’Isis (circa 800 foreign fighters partiti dai Balcani secondo la relazione annuale dell’Europol) o agli attentati verificatisi in Europa, rende elevato il rischio di episodi terroristici, come quelli sventati nel 2016 in Albania e Kosovo.

Tali conflitti interni, anche in presenza di governi moderati, aumentano sensibilmente il rischio di violenza politica nei paesi. In tale clima infatti cresce la possibilità di tensioni tra le opposte fazioni politiche (come nei recenti scontri a Skopje in Macedonia) e di persistenti proteste della popolazione (come in occasione delle elezioni albanesi o serbe). Le sinergie tra estremismo islamista e nazionalismo possono inoltre favorire la radicalizzazione dei conflitti etnici già presenti in alcune aree e finora limitati a scontri minori. Nella regione si sono registrati episodi di violenze con danneggiamenti sia a persone sia ad asset, interferendo spesso con lo svolgimento dell’attività economica dei paesi interessati. Inoltre l’instabilità politica ha un impatto negativo sulla continuità delle scelte di politica economica dei governi e il contesto operativo della regione. Tale situazione inoltre si presenta nell’ambito di un ambiente già fragile e caratterizzato da criticità operative come l’opacità del contesto legale, la diffusa corruzione,  debolezza dell’enforcement giuridico e incertezza.

La percezione di un rischio politico elevato e il rallentamento dell’integrazione con la Ue potrebbero frenare l’interesse degli investitori internazionali. La presenza di frizioni politiche, etniche e territoriali ha già in parte rallentato il percorso di alcuni paesi verso l’ingresso nella Ue, processo per cui la distensione dei rapporti sembra un elemento imprescindibile e per il quale la stessa Unione sta lavorando a livello diplomatico (il “Western Balkans summit” di Trieste è un passaggio chiave in tale ottica). La lontananza dall’Europa comporta un ritardo nei processi di adeguamento ai requisiti minimi in termini di contesto operativo, necessari per costruire un business climate maggiormente attraente per gli investitori internazionali e stabile nella percezione dei paesi esteri. Un’affermazione tanto più vera se messa in relazione alle opportunità di investimento che si prospettano nell’area nel breve e medio periodo.

Potrebbero risentire di tale situazione le grandi opere previste nella regione, tra cui quelli legati alla “One Belt One Road Initiative”. I Balcani infatti, già teatro di potenziali progetti di investimento (in particolare le pipeline energetiche  trans-balcaniche e le infrastrutture stradali, ferroviarie e portuali pianificate dalla Ue), sono uno snodo chiave del progetto Obor, in particolare nel segmento della nuova “Via della seta” marittima. La regione infatti gioca un ruolo di ponte tra il Mediterraneo e l’Europa settentrionale e orientale, dove sono previsti ingenti investimenti nelle vie di collegamento tra poli portuali e hub europei.

 

Fig. 2 Le rotte di One Belt One Road

 

L’implementazione dei grandi progetti subisce l’effetto di incertezze politiche e difficoltà operative presenti nella regione. Il clima di instabilità politica, in particolare la volatilità della pianificazione economica e la profonda divisione all’interno delle forze politiche, uniti alle difficoltà operative sono alcuni degli elementi alla base dei ritardi nell’implementazione di grandi opere nella regione (ad esempio, la linea dell’alta velocità in Serbia finanziata dalla Cina e i collegamenti stradali tra l’Europa orientale e il porto del Pireo, acquistato dalla China Ocean Shipping Company nel 2016). Il persistere di tali criticità potrebbe costituire un disincentivo a tali investimenti e determinare un minore interesse da parte dei player internazionali.

La strategia politica dei paesi e il ruolo giocato dalla UE saranno elementi chiave delle prospettive della regione balcanica nei prossimi mesi. Da un lato chiare strategie di politica economica e un maggior commitment politico verso una riforma del contesto operativo potrebbero favorire un miglioramento del business climate, con ricadute positive sulle prospettive di crescita della regione. Dall’altro lato l’evoluzione dei rapporti con l’Europa (anche in base agli esiti del meeting di Trieste) saranno un elemento chiave per accelerare o rallentare il processo di integrazione nella UE nei prossimi anni.

L’evoluzione dell’area è un fattore importante per l’Italia e per le aziende italiane attive in queste geografie. L’area infatti è una meta importante delle esportazioni e degli investimenti italiani:  nell’ultimo decennio l’export Made in Italy è ampiamente cresciuto e nel 2016 ha raggiunto circa i 6 miliardi di euro [1], mentre sono più di 700 le aziende italiane presenti nella regione [2]. Una maggiore stabilità e una crescente integrazione commerciale e finanziaria con i mercati dell’Unione potrebbe costituire un’interessante opportunità per le aziende italiane in cerca di nuove mete per il proprio business.

 

A cura dell'Ufficio Studi @SACEGroup

 

[1] Fonte: ISTAT
[2] Fonte: ICE

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OBOR Cina Europa Balcani commercio investimenti
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