L’invasione russa dell’Ucraina produce effetti anche nel Golfo. Infatti, la guerra e la grave crisi internazionale che ne è seguita mettono alla prova le politiche delle monarchie del Golfo, accelerando riposizionamenti geopolitici e anticipando le dinamiche finanziarie del futuro. In ogni caso, economia e strategia sono inseparabili protagoniste. A oltre un mese dall’inizio del conflitto, sono almeno cinque le dinamiche da tenere d’occhio, da Riyadh a Muscat, passando per Doha e Abu Dhabi.
Arabia Saudita-EAU vs USA: la politica della porta (soc)chiusa.
La guerra in Ucraina evidenzia il logoramento della “relazione speciale” fra Stati Uniti e Arabia Saudita, nonché dell’alleanza di sicurezza fra Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti (EAU). La scelta dell’equidistanza fra Russia e Ucraina, perseguita dalle monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) significa, soprattutto per Riyadh e Abu Dhabi, evitare di schierarsi fra Russia e Stati Uniti-Unione Europea. Due i motivi principali. Da anni, le monarchie del CCG hanno differenziato le alleanze internazionali (Cina, India, in misura minore Russia) per sostenere le politiche di diversificazione economica post-idrocarburi. Il secondo motivo è di sicurezza regionale: da un decennio, gli Stati Uniti non vengono più percepiti, soprattutto da sauditi ed emiratini, come gli affidabili fornitori esterni della sicurezza del Golfo.
La gestione delle rivolte arabe (2011), l’accordo sul nucleare con l’Iran (2015, oggi in fase di rinegoziazione), le critiche all’intervento militare in Yemen (dal 2015) e ai diritti umani, l’inazione dopo l’attacco di matrice iraniana contro Saudi Aramco (2019) e la riduzione della presenza anti-missilistica americana nel regno saudita hanno eroso il capitale di fiducia che Riyadh e Abu Dhabi nutrivano verso la Casa Bianca, a prescindere dall’inquilino. Così, quando il presidente Joe Biden ha cercato una sponda politica contro Mosca - nonché l’aumento della produzione petrolifera - egli ha trovato la “porta del Golfo” chiusa. Anche il viaggio del premier britannico Boris Johnson in Arabia e negli Emirati (16-17 marzo) non ha prodotto risultati, seppur i rapporti diplomatici con Londra siano migliori.
Le monarchie del Golfo si muovono ormai con agio nel sistema multipolare -si pensi alla possibilità che Riyadh utilizzi lo yuan invece del dollaro per vendere il suo petrolio alla Cina-privilegiando l’interesse nazionale alle alleanze storiche. Tuttavia, sicurezza energetica, alimentare e marittima – proprio gli ambiti messi oggi a rischio dalla guerra in Ucraina - sono obiettivi di sicurezza di tutti (“pan-sicurezza https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/after-ukraine-should-us-relau...), poiché determinano effetti globali. Al di là delle perduranti divergenze politiche, riannodare la cooperazione strategica fra Stati Uniti, Arabia Saudita e monarchie è fondamentale, oggi più di ieri; e qui l’Unione Europea può giocare un ruolo. La porta del Golfo rimane, in realtà, (soc)chiusa. Due esempi diversi ma convergenti. “In questo contesto” Mubadala, il fondo sovrano di Abu Dhabi, “deve mettere in pausa” gli investimenti in Russia: lo ha annunciato il CEO Khaldoon Mubarak lo scorso 28 marzo, sottolineando che gli investimenti a Mosca (idrocarburi in Siberia e petrolchimico) rappresentano meno dell’1% del suo portfolio: ma è un segnale. Per esempio, il 21 marzo scorso, il ministro dell’Economia della Germania si è recato negli Emirati Arabi per esplorare l’acquisto di idrogeno verde: l’obiettivo è sostituire il carbone.
Le aperture del Qatar: la “guerra ingiusta” e gli accordi energetici con Germania e Italia.
Nella crisi internazionale seguita all’invasione russa dell’Ucraina, il percorso del Qatar è singolare. Pur non smarcandosi dal posizionamento equidistante dell’area CCG, Doha ha compiuto dei passi politici non sovrapponibili a quelli dei vicini. L’emiro del Qatar, Shaykh Tamim bin Hamad Al Thani, è stato il primo leader del Golfo ad avere un colloquio telefonico con il presidente ucraino Volodymyr Zelenski (già il 24 febbraio). Aprendo il Doha Forum 2022 (26 marzo), l’emiro ha poi definito quella in Ucraina una “guerra ingiusta”, dichiarandosi solidale con la popolazione colpita: una critica indiretta a Mosca. Proprio il Doha Forum ha poi ospitato un intervento video di Zelenski che ha esortato i Paesi dell’area a produrre più energia per ridurre la dipendenza globale dalla Russia.
Perché, rispetto ai vicini, il Qatar assume una posizione meno distante dall'Occidente? Primo, Doha percepisce meno di Riyadh e Abu Dhabi la “minaccia Iran”: con gli iraniani, il Qatar ha sempre avuto rapporti energetici (vedi il giacimento gasifero North Dome/South Pars) e commerciali. Secondo, a differenza dell’Arabia e degli Emirati, il piccolo emirato non è sotto attacco diretto da parte dei gruppi armati filo-iraniani della regione e non è più militarmente impegnato in Yemen. Terzo, i rapporti fra qatarini e statunitensi sono cordiali: l’emirato è appena stato nominato major non-NATO ally da Washington, un riconoscimento anche al prezioso ruolo diplomatico nonché umanitario-logistico svolto in Afghanistan. Inoltre, l'emirato sta pianificando più forniture di gas verso l’UE, inclusa l’Italia. Il 20 marzo, Qatar e Germania hanno siglato una partnership energetica di lungo periodo che include, oltre alla fornitura di gas liquefatto, anche le energie rinnovabili.
Dubai, il “Russian Emirate”
Dalla fine degli anni Novanta, Dubai è la meta finanziaria e turistica dell’oligarchia russa: le sanzioni occidentali post-Ucraina stanno rafforzando questo trend, reso evidente dall’arrivo di aerei privati e yacht. Il Russian Business Council stima la presenza di 3.000 compagnie di proprietà russa negli EAU, dove vivono circa 100 mila residenti di lingua russa (di cui 40.000 nazionali russi): a Dubai, viene persino stampato un lifestyle magazine chiamato Russian Emirates.
Mentre Expo Dubai si concludeva, la visita del presidente siriano Bashar Al-Assad negli Emirati Arabi (19 marzo), primo alleato e debitore politico di Vladimir Putin, ha ulteriormente sottolineato il ruolo regionale di Dubai. Proprio il secondo emirato degli EAU - quello a maggior vocazione commerciale e che ospita una folta comunità iraniana - è da sempre parte di quel network di economia informale transfrontaliera che incrocia Khasab (Musandam in Oman), Ras al-Khaimah (EAU) e le coste dell’Iran. Rotte storiche, anche del contrabbando, che potrebbero ora favorire l’aggiramento delle sanzioni contro la Russia, tra Paesi che già non le applicano.
Oman, apre il porto di Duqm: ponte futuro tra Russia e India?
Nel Sultanato dell’Oman, il porto di Duqm (in join venture con il porto di Anversa), è stato ufficialmente inaugurato nel febbraio 2022: l’area di stoccaggio petrolifero di Ras Markaz sarà operativa entro l’estate. Ora che l’intesa petrolifera tra russi e indiani si rafforza, Duqm, porto e polo strategico già al centro degli interessi economici e/o militari di Cina, Stati Uniti e Gran Bretagna, potrebbe divenire hub dell’interscambio commerciale fra Russia e India: i rapporti fra omaniti e indiani sono storici. Nel 2019, l’Autorità della Zona Economica Speciale di Duqm (SEZAD) aveva organizzato una campagna promozionale a Mosca (dopo un analogo evento a New Delhi), invitando gli imprenditori russi a investire a Duqm, specialmente in cantieristica navale e poli tecnologici. Il Russian Direct Investment Fund (RDIF) dichiarò in quell’occasione di essere pronto a investire a Duqm, seppure non risultino poi progetti concreti. Nel luglio 2021, delegazioni ministeriali russe ed omanite si sono poi incontrate a Mosca. Fra i temi discussi: rafforzamento della cooperazione commerciale e investimenti, condivisione di expertise tecnica fra città industriali.
Nell’ottobre 2021, l’India ha annunciato l’avvio di negoziati, separati, con Russia e Oman per la firma di accordi commerciali. La Russia è stata ammessa nel 2021 come dialogue partner nella Indian Ocean Rim Association (IORA): segno di una crescente attenzione di Mosca per il quadrante di cui l’Oman rappresenta il perno logistico a est di Hormuz. Da un punto di vista militare, la Marina russa ha fatto tappa per rifornimenti nel porto di Salalah.
Inflazione, pane, proteste: rischio instabilità in Egitto, Sudan e Libia
Inflazione e stop all’export agricolo sono un mix potenzialmente esplosivo per l’area MENA, soprattutto per il Nord Africa. Egitto, Sudan e Libia importano, rispettivamente, l’85%, l’85% e il 75% di grano da Ucraina e Russia. Proprio in questi tre Paesi sauditi, emiratini e russi sono interessati al mantenimento degli equilibri esistenti (in Libia e Sudan opera anche la compagnia militare russa Wagner Group). Per prevenire le “proteste del pane” Arabia Saudita, EAU e Qatar hanno appena trasferito 22 miliardi di dollari presso la Banca Centrale egiziana (15 miliardi solo da Riyadh), sotto forma di depositi e investimenti: un “ritorno al passato" (l’ultimo aiuto fu del 2016) che tornerà a condizionare la politica estera dell’Egitto. Una delegazione della Lega Araba, comprendente i membri non permanenti arabi del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, tra cui gli EAU, si è recata a Mosca e poi a Varsavia (4-5 aprile) per incontrare delegazioni russe e ucraine. Al centro, il tema critico della sicurezza alimentare. Ma la Lega Araba ha anche offerto la propria mediazione per risolvere il conflitto.