Oltre la Merkel: aria nuova in Germania? | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Executive Education
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Executive Education
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
Commentary

Oltre la Merkel: aria nuova in Germania?

Elio Menzione
06 marzo 2017

Nel giro di poche settimane, il panorama politico tedesco è cambiato in misura sorprendente e inattesa, a sette mesi dalle elezioni generali programmate per il prossimo mese di settembre. La decisione del Partito Socialdemocratico (SPD) di candidare alla cancelleria Martin Schulz (ex-Presidente del Parlamento Europeo) anziché il proprio presidente Sigmar Gabriel (vice-Cancelliere nell'attuale governo di "grande coalizione") ha infatti avuto effetti del tutto imprevisti.

Nei sondaggi di opinione, la SPD - che alle elezioni del 2013 aveva ottenuto appena il 25,7% dei voti, contro il 41,5% del Partito Democristiano, la CDU del Cancelliere Merkel, e successivamente aveva subito un'ulteriore flessione nei sondaggi, scendendo a un livello pericolosamente vicino alla soglia critica del 20% - ha fatto registrare un balzo in avanti che non è eccessivo definire spettacolare per dimensioni e rapidità: secondo un'agenzia specializzata in sondaggi, il numero dei tedeschi favorevoli a un governo a guida socialdemocratica sarebbe infatti salito del 14% rispetto alla vigilia delle elezioni del 2013, mentre quelli favorevoli a un Cancelliere democristiano sarebbero scesi del 12%. Per la prima volta in oltre un decennio i socialdemocratici raggiungono virtualmente i democristiani nelle intenzioni di voto.

La rinuncia di Gabriel alla candidatura per la Cancelleria ha dunque avuto sull'elettorato un impatto che supera ogni previsione. Negli ultimi quattro anni, la sua attività di vice-Cancelliere e Ministro dell'economia (e più recentemente degli esteri) non ha giovato al suo partito. Il ruolo della SPD di alleato minore nella "grande coalizione" con i democristiani ha causato, nell'elettorato socialdemocratico, sentimenti di delusione e profonda frustrazione, dal momento che appariva troppo evidente il suo profilo subalterno: sentimenti che inevitabilmente si ripercuotevano sull'immagine del suo presidente, giudicato - a torto o a ragione - troppo succube ed arrendevole nei confronti di Angela Merkel, oltre che troppo ondivago ed umorale nei suoi comportamenti.

Sotto la guida di Sigmar Gabriel - data per scontata fino alla fine del gennaio scorso - la SPD sembrava insomma destinata a una sconfitta sicura. E questa valutazione non è probabilmente stata estranea alla decisione di Angela Merkel di annunciare - dopo lunghe esitazioni - nell'autunno scorso la sua candidatura per la CDU alle prossime elezioni, presentandosi come l'unica garanzia di stabilità in una congiuntura politica che la Brexit e l'elezione di Trump in America avevano reso turbolenta e gonfia di incognite.

Con la rinuncia di Gabriel in favore di Martin Schulz il partito socialdemocratico ha "sparigliato" clamorosamente, aprendo nuove prospettive. Per gran parte dell'elettorato tedesco, Schulz è una figura poco conosciuta (nonostante la sua lunga militanza nel Parlamento Europeo), e comunque non compromessa con la linea subalterna che - a giudizio di molti - la SPD si sarebbe lasciata imporre nel governo di coalizione dall'azionista di maggioranza. Una figura relativamente nuova, brillante, capace di destare curiosità e di attirare simpatie, animata da un ottimismo e un'assertività che contrastano con il dimesso minimalismo della signora Merkel. Anche la sua biografia di autodidatta, decisamente anomala per un leader politico tedesco (ha lasciato la scuola prima dell'esame di maturità e negli anni successivi ha conosciuto i problemi dell'alcolismo), desta più interesse che riprovazione, e lo avvicina in una certa misura alla figura di Joschka Fischer.

Se riuscirà a consolidare questa tendenza nei mesi che ci separano dalle elezioni, come seppe fare Gerhard Schroeder nel 1998 (quando l'annuncio della sua candidatura fece lievitare del 7% la SPD nei sondaggi: meno, cioè, di quanto stia accadendo in questi giorni), per la politica tedesca si aprirebbero reali e inattese prospettive di cambiamento.

Gli sviluppi di questo ultimo mese appaiono comunque imputabili in buona parte a un diffuso senso di stanchezza percepibile nell'elettorato tedesco nei confronti di Angela Merkel. I suoi dodici anni alla Cancelleria hanno assicurato al Paese stabilità e prosperità in tempi difficili, ma hanno anche provocato un logoramento forse inevitabile della sua immagine politica: logoramento che ricorda quello subito da Helmut Kohl nel 1988, al termine di un cancellierato durato ben sedici anni, nonostante i suoi meriti indiscussi di principale artefice della riunificazione tedesca.

Questo logoramento è stato lungamente occultato dalla mancanza di alternative politiche credibili e dallo scoraggiamento diffuso nelle file dell'elettorato socialdemocratico; ma è stato improvvisamente e clamorosamente portato alla luce quando si è profilata la figura di uno sfidante realmente competitivo.

Per il destino politico di Angela Merkel il punto di svolta è stato l'atteggiamento assunto nell'estate del 2015 sul problema dell'ondata di profughi siriani. La sua politica delle porte aperte andò oltre ogni previsione e sconcertò una parte della popolazione tedesca. Con essa, il Cancelliere affrontò con insolita fermezza ampie porzioni del suo stesso partito, la CDU; e soprattutto il suo storico alleato-confratello bavarese, la CSU, da sempre attestata su posizioni più conservatrici. Il capo della CSU, Horst Seehofer, non esitò a criticare duramente questa linea di apertura, manifestando comprensione e simpatia per il Primo Ministro ungherese Viktor Orban e per altri leader dell'Europa centro-orientale dichiaratisi contrari alla politica di apertura di Berlino. Nell'ultimo anno si sono aggiunti altri motivi di attrito: l'ostilità crescente di Seehofer nei confronti della politica delle sanzioni europee contro la Russia, in aperta difesa degli interessi delle imprese bavaresi; e la simpatia che egli ha mostrato per l'elezione di Trump in America, in forte contrasto con i sentimenti manifestati senza troppe riserve dal Cancelliere.

L'avvicinarsi delle elezioni di settembre ha costretto i due leader a sotterrare (almeno in pubblico) l'ascia di guerra, in una riunione congiunta dei due partiti tenutasi a Monaco di Baviera il 6 febbraio scorso: in essa, Seehofer ha formalizzato l'appoggio della CSU alla candidatura Merkel, ma con toni molto tiepidi e privi di entusiasmo che i media tedeschi hanno prontamente rilevato.

Nei suoi dodici anni alla guida del Paese, Angela Merkel si è distinta per abilità tattiche più che per profondità di visione strategica. La sua politica di piccolo cabotaggio ha fatto premio sulla capacità di adottare e promuovere - anche in ambito europeo - decisioni di lungo respiro. Due sole le eccezioni importanti riscontrabili nel suo lungo cancellierato: la brusca decisione di accelerare l'abbandono della produzione di energia nucleare, a seguito della tragedia di Fukushima (una scelta apertamente criticata da una parte dell'imprenditoria tedesca, a causa del rincaro dei costi energetici che ne è derivato); e la coraggiosa apertura della politica migratoria di Berlino ai profughi siriani nell'estate 2015.

Quest'ultima sembra avere concretamente avviato l'offuscamento della sua stella politica (lo "Spiegel" ha recentemente parlato di "Merkeldaemmerung", di crepuscolo del Cancelliere); ed appare paradossale la circostanza che proprio essa potrebbe avvantaggiare il principale rivale, Martin Schulz, che sulla sostanza di tale linea di apertura non si è mai espresso in termini critici, e che sicuramente non ne farà un motivo di contenzioso nella prossima campagna elettorale.

Nel corso dei suoi dodici anni al potere Angela Merkel si è mostrata costantemente impegnata ad occupare ed allargare il centro dello spazio politico tedesco, rinunciando a professare un'ideologia marcatamente conservatrice, a costo di destare perplessità in certe aree del suo elettorato (soprattutto quello bavarese). A conferma di questa indeterminatezza ideologica ricordo la convinzione confidatami un giorno a Berlino da un esponente politico della sinistra, secondo la quale la signora Merkel sarebbe "una socialdemocratica in fondo all'animo", nonostante la sua opzione per il campo democristiano dopo l'unificazione tedesca.

Il Cancelliere ha dato spesso l'impressione di volersi appropriare di obiettivi dei partiti rivali (l'uscita accelerata dal nucleare cara ai Verdi, l'apertura ai flussi migratori sostenuta dai socialdemocratici) per spiazzarli e confonderli. Per la sua tattica alcuni analisti politici hanno coniato il termine "smobilitazione asimmetrica": un concetto riassumibile nello sforzo di rendere l'elettorato tradizionale di altri partiti insensibile ai loro richiami e ai loro tentativi di mobilitazione elettorale, dal momento che i loro principali cavalli di battaglia venivano ormai curati da un Cancelliere capace di farsi carico degli interessi e delle aspirazioni di tutti i cittadini, trascendendo le storiche divisioni ideologiche. In questa ottica, la signora Merkel amava definirsi - nelle successive campagne elettorali - "senza alternative", in quanto capace di dare una risposta soddisfacente a tutte le richieste provenienti dalla popolazione, a prescindere dalle ideologie.

Questa tattica è stata messa in crisi, negli ultimi anni, da "Alternative fuer Deutschland" (AfD), un nuovo partito di opposizione di destra il cui nome stesso suona come una risposta polemica e provocatoria all'affermazione che la Germania "non avrebbe alternative" alla signora Merkel. In diverse elezioni regionali, AfD si è mostrata capace di attirare voti di conservatori delusi dalla politica centrista del Cancelliere, introducendo in un clima politico ideologicamente anestetizzato un fattore di polarizzazione, con l'effetto di attirare nuovi elettori precedentemente tentati dalla scelta dell'astensione.

Paradossalmente, questo nuovo clima di polarizzazione ideologica sembra oggi giocare a favore della stessa SPD: dopo anni di frustrazione e demoralizzazione, che aveva indotto molti socialdemocratici all'astensione (se non a cedere al miraggio della "Linke", il partito di sinistra in cui convivono faticosamente i reduci della SED, il partito comunista che fu alla guida della Germania Orientale, ed i fuorusciti dalla SPD scontenti delle riforme sociali del Cancelliere Schroeder), il partito più antico della Germania appare oggi rivitalizzato, e il suo elettorato sta dando prova di nuovo entusiasmo e di crescente fiducia nelle possibilità di successo della candidatura Schulz. Mentre fino a ieri la maggioranza degli elettori socialdemocratici si pronunciava contro una riedizione della "Grosse Koalition" a guida democristiana dopo le elezioni, oggi essi non si opporrebbero più a una nuova alleanza con la CDU, purché a guida socialdemocratica, qualora il loro partito dovesse ottenere la maggioranza relativa (meno probabile appare, anche sul piano dei numeri, la prospettiva di un'alleanza di sinistra tra SPD, "Linke" e Verdi).

La campagna elettorale tedesca del 2017 si preannuncia dunque molto più vivace e interessante di quanto si prevedesse fino al 24 gennaio scorso. Un altro effetto della candidatura Schulz è stato quello di spiazzare visibilmente il partito ecologista dei Verdi, oggi guidato da due leader moderati e pragmatici, i quali fino a un mese fa (quando appariva scontato un trionfo elettorale della signora Merkel) sembravano disposti ad entrare in un governo di coalizione con la CDU, sull'esempio di quanto già sperimentato nel Land dell'Assia; mentre la base sembra prevalentemente favorevole a una collaborazione preferenziale con la SPD.

Il cammino che Martin Schulz dovrà percorrere per vedere realizzate le proprie ambizioni è ancora lungo e irto di incognite. Nelle ultime settimane, la stampa tedesca ha dato non poco rilievo alle accuse provenienti da ambienti del Parlamento Europeo, secondo le quali egli avrebbe abusato delle sue prerogative presidenziali per effettuare viaggi di servizio impropri (allo scopo di promuovere la sua candidatura alla presidenza della Commissione Europea) e per sostenere indebitamente la carriera di un proprio collaboratore. Sinora, queste insinuazioni non sembrano aver prodotto ripercussioni di rilievo sui sondaggi; ma una stampa puntigliosa e spregiudicata come quella tedesca potrebbe creargli seri fastidi nei prossimi mesi. Inoltre, sarebbe ingenuo sottovalutare le risorse e le astuzie di una vecchia volpe politica come la signora Merkel.

Molto dipenderà anche dal programma di governo di Schulz, che a giudizio di diversi osservatori dovrebbe risultare complessivamente moderato e pragmatico (anche se nei giorni scorsi egli ha manifestato l'intenzione di rivedere alcuni aspetti delle riforme adottate dal Cancellere Schroeder nel 2003-2005).

Resta comunque il fatto che, in un anno caratterizzato da importanti scadenze elettorali europee, le elezioni tedesche si preannunciano oggi assai meno scontate di quanto si ritenesse fino a poche settimane fa. Unica certezza, rispetto ai casi olandese e francese, è quella che entrambi i candidati che si affrontano in Germania hanno solide credenziali europeiste, e che il populismo nazionalista di AfD non dovrebbe - secondo i sondaggi - superare la soglia del 10-12%: una prospettiva rassicurante, trattandosi del più importante Paese dell'Unione Europea.

 

Elio Menzione, già Ambasciatore a Berlino


* Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su LETTERA DIPLOMATICA, del Circolo di Studi Diplomatici di Roma, n. 1170 – Anno MMXVII Roma, 24 febbraio 2017.

Ti potrebbero interessare anche:

Speciale Ucraina: la guerra al confine
Europa: decrescita infelice?
Speciale Ucraina: Controffensiva a Kharkiv
Da Draghi a Biden, la pace che verrà
Ugo Tramballi
ISPI Senior Advisor
Tassi: la tempesta è arrivata
Lorenzo Borga
Sky Tg24
Euro, allarme import
Cinzia Guerrieri
SACE

Tags

Europa Germani merkel Elezioni Unione Europea SPD Lettera Diplomatica berlino
Versione stampabile
Download PDF

Autori

Elio Menzione
già Ambasciatore a Berlino

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157