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Commentary

ONU: quanto è necessaria una riforma?

Marco Pedrazzi
30 Agosto 2019

Le Nazioni Unite si apprestano a festeggiare, nel 2020, i 75 anni dalla loro fondazione: un periodo di tempo molto lungo, nel quale l’assetto delle relazioni internazionali è profondamente mutato. Eppure l’apparato istituzionale dell’ONU è rimasto sostanzialmente identico a quello ideato dalle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale nel mentre tale conflitto stava volgendo al termine. Immutata è rimasta, soprattutto, la struttura del Consiglio di sicurezza, l’organo più importante, sul quale fa perno il sistema di sicurezza collettiva, cioè il meccanismo basato sul coordinamento fra le grandi potenze per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. L’organo, infatti, nonostante l’aumento del numero dei suoi membri da 11 a 15, avvenuto nel 1965, è ancor oggi fondato sulla preminenza dei cinque membri permanenti, dotati del c.d. potere di veto, cioè della facoltà di bloccare qualunque decisione significativa con un voto contrario. L’unico cambiamento di effettivo rilievo avvenuto nel club dei cinque grandi, e che sicuramente ha permesso al Consiglio di meglio riflettere gli equilibri di potenza a livello mondiale, è stato l’avvicendamento, nel 1971, tra la Cina nazionalista (Taiwan) e la Cina popolare (più naturale l’avvicendamento, posteriore di due decenni, tra l’URSS e la Russia, a seguito dell’estinzione della prima, comunque lo si giudichi dal punto di vista della Carta e del diritto internazionale).

Non vi è dubbio che oggi l’organizzazione sia in crisi. Intendiamoci, in questi quasi settantacinque anni, l’ONU è stata un foro imprescindibile di dibattito fra gli stati, raggiungendo una universalità pressoché completa; ha contribuito in modo rilevante alla crescita incontenibile del diritto internazionale e all’affermazione dei diritti umani a livello mondiale; ha svolto un ruolo importante nel processo di decolonizzazione e, per quanto con esiti non sempre felici, nella promozione dello sviluppo. Ma il suo successo viene misurato soprattutto sulla capacità dimostrata di svolgere la più importante tra le missioni affidatele: vale a dire il mantenimento della pace. L’esito, almeno in questo caso, è sicuramente insoddisfacente. Nei suoi primi quarantacinque anni il Consiglio di sicurezza è rimasto sostanzialmente paralizzato dalla Guerra fredda. Nei primi anni successivi alla caduta del muro di Berlino, esso è parso risollevarsi, adottando una serie di iniziative, dall’autorizzazione della guerra del Golfo del 1991 alla istituzione di numerose operazioni di peacekeeping, in un’atmosfera di (ri)trovata collaborazione fra le grandi potenze. Ma l’idillio è durato poco, le tensioni fra i membri permanenti sono riemerse, in un’atmosfera di crescente diffidenza reciproca, a fronte della dissoluzione dell’ordine mondiale preesistente, di una frammentazione e di un assestamento dei rapporti di forza ancora pienamente in corso.

Il Consiglio è tuttora attivo, e in particolare tuttora numerose sono le operazioni di peacekeeping così come i regimi di sanzioni adottate nei confronti di stati o di soggetti di vario tipo ritenuti minacciare la pace e la sicurezza internazionale. Ma mentre le sanzioni tendono ad essere in più casi scavalcate da quelle adottate unilateralmente da alcuni stati (in particolare gli Stati Uniti o quelli facenti parte dell’Unione europea), il Consiglio si dimostra incapace di intervenire in modo significativo, oggi come nel passato, in molte delle più gravi crisi internazionali, laddove gli interessi dell’una o dell’altra grande potenza siano in gioco (basti citare il caso della guerra civile siriana). E le operazioni dell’ONU, pur avendo contribuito alla pacificazione di varie aree, sono state anche piagate da numerosi scandali, non ultimi i numerosi episodi di soprusi ai danni dei civili che avrebbero dovuto proteggere.

È indubbio che questo stato di cose dipenda in parte da taluni difetti strutturali delle Nazioni Unite: in particolare dai difetti di rappresentatività del Consiglio di sicurezza a fronte dell’assetto attuale dei rapporti di forza nella società internazionale (va comunque detto che i poteri del Consiglio poggiano principalmente su quelli che sono i tre principali protagonisti delle relazioni internazionali: Stati Uniti, Cina e Russia), o dalla pervasività del potere di veto, che alcune proposte di riforma degli anni recenti vorrebbero quantomeno comprimere, escludendone le situazioni ove siano commessi gravi crimini internazionali su vasta scala. Al contempo, va riconosciuto che la ragione principale della crisi odierna dell’ONU va ricondotta alla stessa causa che impedisce l’adozione di riforme strutturali di rilievo: vale a dire quella frammentazione dell’ordine mondiale cui si faceva riferimento sopra, accompagnata da tendenze crescenti alla messa in discussione su un piano generale del ruolo delle istituzioni internazionali e sovranazionali, così come dello stesso diritto internazionale, dei diritti umani, dello stato di diritto, e all’evidenziarsi di pericoli sempre più significativi per la pace mondiale. In un tale quadro internazionale, non resta che auspicare che l’ONU possa continuare a svolgere una pur limitata ed altamente imperfetta funzione di argine, di tutela, di stimolo, anche a fronte delle grandi emergenze climatiche e ambientali, e tocca ai pochi o molti stati “amanti della pace” fare in modo che questo sia possibile: qualunque proposta di riforma della Carta, in particolare nel senso di una modifica del Consiglio di sicurezza tesa a migliorare l’efficienza e l’efficacia del sistema di sicurezza collettiva, parrebbe destinata in questo momento storico ad un sicuro fallimento. L’efficienza va certo perseguita, ma all’interno del sistema attuale, con le risorse disponibili. Al contempo, è imprescindibile e urgente che si mettano in piedi, in modo ben più deciso e più avanzato di quanto fatto finora, sistemi efficaci ai fini di prevenire e sanzionare gli abusi e per offrire riparazione alle vittime, contribuendo in tal modo anche a ripristinare agli occhi delle popolazioni interessate da vicino dall’azione dell’ONU sul terreno la sua credibilità.

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ISPI Senior Advisor

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AUTORI

Marco Pedrazzi
Università degli Studi di Milano

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