Il 2012 sarà un anno cruciale per l’euro. Il dibattito attuale è dominato dai pessimisti e profeti di sventura, che affermano che la battaglia è persa, che l’Eurozona è destinata a disintegrarsi in una serie di default sul debito sovrano. Io sono più ottimista, perché l’Europa ha finalmente preso coscienza della gravità della situazione, dopo aver troppo a lungo nascosto la testa sotto la sabbia. All’inizio della crisi finanziaria, molti leader europei affermavano che sarebbe stata una crisi americana, non europea; e mentre Grecia, Irlanda e Portogallo si trovavano costrette a chiedere aiuto finanziario, troppo spesso si è ripetuto che il problema era circoscritto ai paesi più piccoli. Ora finalmente ci si è resi conto che la crisi è sistemica, e ha messo a nudo il peccato originale dell’euro: la mancanza di un’integrazione economica e fiscale sufficiente a fare da complemento all’unione monetaria. E ci si è resi conto che se non vi si pone rimedio rapidamente, l’Eurozona potrebbe davvero disintegrarsi, con conseguenze catastrofiche per l’economia globale.
Questa presa di coscienza ha scatenato una risposta decisa negli ultimi mesi, finora sottovalutata dai mercati finanziari. La sfida che i policy maker europei si trovano ad affrontare è difficile; la soluzione richiede tre componenti che vanno adottate simultaneamente.
La reazione istintiva è stata di concentrarsi sui meccanismi di salvataggio: Eurobond e i fondi dagli acronimi familiari, Efsf ed Esm. Meccanismi di mutuo supporto devono far parte della soluzione. Trichet, ex-presidente della Bce, amava sottolineare che i conti pubblici dell’Eurozona sono più solidi di quelli di Stati Uniti e Inghilterra. Vero, ma finora irrilevante: chi detiene titoli governativi greci ne trae poco beneficio. Meccanismi di mutuo supporto servono appunto a rendere operativo il concetto di debito pubblico dell’Eurozona. Ma questo implica una condivisione del rischio, che può creare tentazioni di free riding, come quando al ristorante si può essere tentati di ordinare il piatto più costoso se il conto verrà poi diviso in parti uguali. Per questo servono altri due elementi: regole chiare e applicabili sulla gestione dei conti pubblici e uno sforzo da parte di tutti i paesi membri per generare una crescita economica più robusta.
Per quanto riguarda le regole, il vero problema è come farle rispettare. Le regole esistevano già nel tanto criticato Patto di Stabilità, ma i paesi membri hanno quasi sempre trovato il modo di aggirarle. L’accordo recentemente raggiunto risolve il problema nella maniera più diretta, richiedendo ai paesi membri di inserire una regola di bilancio in pareggio nella Costituzione, con meccanismi automatici di correzione. Si è detto che una regola di questo tipo ci condannerebbe a un’austerità permanente, ma non è vero: un bilancio in pareggio nel medio termine lascia spazio per disavanzi anche importanti per sostenere l’economia durante una recessione, compensati però da avanzi di bilancio in tempi di crescita forte.
Il terzo elemento essenziale sono le riforme strutturali. L’obiettivo ultimo della politica economica è la creazione di ricchezza, e questa richiede un’economia elastica e reattiva, con un mercato del lavoro flessibile, una solida rete di sicurezza sociale, e un forte investimento nell’istruzione e nella ricerca. Questa è la sfida più importante che va affrontata e vinta nei prossimi mesi dai singoli paesi, a cominciare dall’Italia, la cui crescita è da decenni inferiore alla media europea.
Non esiste una soluzione magica: né gli Eurobond né la Bce possono da soli risolvere il problema in maniera duratura. La crisi insegna che bisogna ripartire dal buon senso: essere competitivi, e non spendere sempre più di quanto si guadagna. Se l’Eurozona continua lo sforzo degli ultimi mesi, nel 2012 riconquisterà un ruolo forte nell’economia globale. Altrimenti, ci aspetta o un tracollo o un lento, irreversibile declino.