Rispondendo all’invito di Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, pronunciato in Terra Santa la scorsa primavera, a cui ha fatto seguito il 9 settembre quello del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, Papa Francesco si appresta a fare il suo ingresso nella terra dove sono state poste le basi teologiche della fede cristiana durante i concili di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia. Il duplice invito che ha reso possibile tale evento può rap-presentare molto più del rispetto di un protocollo diplomatico e prospetta una fruttuosa sintesi grazie al complesso significato che questa visita può avere in chiave europea, turca e mediorientale.
Nonostante il viaggio di Bergoglio non sia una novità nella storia recente del papato, l’interesse per tale evento cresce grazie alla combinazione tra il carisma del nuovo pontefice e le numerose questioni di natura religiosa e politica che in Turchia possono trovare importanti convergenze.
Partendo dalla dimensione che può sembrare più lontana e in qualche senso difficilmente collegabile, la vicinanza tra l’arrivo di Papa Francesco ad Ankara e la visita del pontefice del 25 novembre al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa (questa, sì, un evento inusuale verificatosi solo nel 1988 con Papa Giovanni Paolo II) può rappresentare una fortunata coincidenza, prospettando una prima convergenza. Nell’ideale congiunzione di Strasburgo con Ankara e Istanbul, Bergoglio potrebbe trovare il più naturale strumento per richiamare Occidente e Oriente all’assunzione e alla condivisione delle proprie responsabilità, con comprensione e reciprocità. Tra i vari temi trattati a Strasburgo, i richiami all’importanza di far tesoro delle radici religiose dell’Europa, alla difesa dei cristiani perseguitati nel mondo, con particolare attenzione alle minoranze religiose, ai migranti, per evitare che il Mediterraneo diventi “un grande cimitero”, e infine contro la guerra e per la costante difesa dei diritti dell’uomo sembrano poter rappresentare sia la lucida sottolineatura delle sfide a cui l’Europa deve saper rispondere, sia l’interessante anticipazione e richiamo in vista della prossima destinazione, la Turchia. Se così fosse, sarebbe interessante pensare a questo appuntamento nell’ottica della complessa relazione tra Europa e Turchia, secondo i molteplici significati del loro rapporto di avvicinamento.
Venendo alla prospettiva turca, è forse utile non seguire l’ordine previsto dei luoghi che il pontefice visiterà per concentrarsi meglio sui possibili significati e implicazioni del suo pellegrinaggio. Partire da Istanbul piuttosto che da Ankara ci permette di comprendere che il senso profondo della presenza di Papa Francesco in Turchia si lega al dialogo ecumenico per l’unità dei cristiani. In tal senso, l’obiettivo della visita apostolica si spiega nella prospettiva della continua ricerca di una convergenza tra Occidente e Oriente, in particolare nell’ottica della storia del cristianesimo mondiale. Il viaggio apostolico segna un’ulteriore tappa nella storia della nuova era dei rapporti tra la Chiesa cattolica di Roma e il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, un percorso che è stato inaugurato dallo storico abbraccio tra Paolo VI e Atenagora a Gerusalemme del 1964. L’incontro con Bartolomeo I conferma, quindi, il convinto impegno di Bergoglio per la riconciliazione tra i cristiani, come già emerso fin dalla sua presentazione in Vaticano quando ha sottolineato la sua funzione episcopale in quanto Vescovo di Roma, un elemento centrale nel dialogo per l’unità delle due Chiese. Al tempo stesso, la visita apostolica dimostra nuo-vamente la sua spiccata sensibilità per il cristianesimo orientale, che ora vive un periodo di grave crisi e martirio all’interno dei contesti di Siria e Iraq, senza dimenticare il sempre difficile contesto israelo-palestinese. Sono tali aspetti che danno forza e significato all’imminente pellegrinaggio del Papa, che trovano completezza nell’incontro con Bartolomeo I, proprio nei giorni delle celebrazioni di Sant’Andrea, “fratello” di Pietro a cui la tradizione attribuisce la fondazione del Patriarcato di Costantinopoli. Nei diversi e importanti momenti che li vedranno insieme a Istanbul, le due Chiese potrebbero non solo confermare l’intenzione di proseguire sulla via dell’ecumenismo, ma anche procedere ulteriormente in questo movimento durante la benedizione ecumenica e la firma della prevista dichiarazione congiunta che segnerà la conclusione del pellegrinaggio di Bergoglio. A tali appuntamenti potrebbe anche seguire il richiamo a partecipare al primo sinodo pan-ortodosso che si dovrebbe tenere nel 2016 nella prospettiva di un dialogo per la riunione con la Chiesa Cattolica di Roma.
Al tempo stesso, l’attenzione che Papa Francesco dedicherà alla piccola comunità cattolica di Turchia (il 98% dei turchi è di fede musulmana; solo lo 0,4% è composto da cristiani di cui lo 0,07 cattolici divisi tra i riti latino, armeno, caldeo e siriaco) arricchirà il significato religioso della sua visita. È questo un punto di partenza importante per la Chiesa cattolica di Roma per vivere il dialogo interreligioso con l’Islam in Turchia. In tal senso, il momento di “raccoglimento” personale nella moschea blu di Istanbul sarà l’occasione per dimostrare la possibilità di tale incontro. Inoltre, la preghiera con la comunità cattolica turca dovrebbe dare l’opportunità a Papa Francesco di incontrare dei profughi in fuga dai conflitti di Siria e Iraq. Tale occasione potrebbe dare testimonianza di alcuni dei punti del discorso tenuto a Strasburgo, dando luogo a un’altra convergenza che raggiungerebbe l’obiettivo di porre nuovamente l’attenzione sulla situazione in Vicino Oriente e sulla persecuzione che i cristiani e le altre minoranze stanno subendo nella regione, richiamando alla necessità di ricercare il dialogo, la riconciliazione e la pace.
A partire da questi ultimi aspetti e unendo i diversi livelli che danno corpo alla dimensione religiosa della visita apostolica, si possono individuare le prospettive politiche della presenza del pontefice in Turchia, e del possibile ruolo positivo per la stabilizzazione della regione mediorientale che questo paese è in grado di esercitare. L’arrivo ad Ankara, prima tappa nel pellegrinaggio di Bergoglio, offrirà al pontefice l’occasione per incontrare il presidente Erdoğan, il primo ministro Davutoğlu e il presidente degli Affari religiosi Görmez. È evidente che tali occasioni si inseriscono nella normale dimensione dei rapporti tra capi di stato. L’incontro con le autorità politiche turche potrebbe però fornire l’occasione per porre all’attenzione del paese l’importanza che tale l’istituzione patriarcale ricopre a livello internazionale e che è riconosciuta solo marginalmente da Ankara, nonostante sia la guida spirituale a cui si rivolgono i circa 300 milioni di cristiani ortodossi nel mondo ed esprima una parte integrante e sostanziale della storia e dell’identità di questo paese.
Al tempo stesso, data l’esigua presenza cristiana nel paese, l’attenzione che porterà Bergoglio su tale realtà negli incontri di Ankara aprirà immediatamente il di-scorso sulla dimensione delle minoranze, del loro ruolo e posizione nell’ambito di una società a chiara prevalenza musulmana e, di conseguenza, della funzione e della responsabilità del dialogo interreligioso come completamento dell’attività politica, in particolare anche in ragione delle attuali sfide nella regione. Infatti, la visita di Papa Francesco si colloca, dopo i pellegrinaggi in Terra Santa e Albania, nel solco di un dialogo interreligioso vissuto anche con le autorità politiche musulmane e non solo sul piano teologico e delle istituzioni religiose. La centralità dei rapporti con la comunità musulmana è un aspetto che si è già dimostrato imprescindibile per il pontefice, al fine di superare le crescenti diffidenze e contrapposizioni che le recenti crisi in Medio Oriente sembrano alimentare. Al tempo stesso, la visita di Papa Francesco potrebbe favorire un confronto sulla condizione dei cristiani nel paese. Nonostante a livello ufficiale e istituzionale la Turchia di Erdoğan si sia sempre dimostrata pronta a rassicurare i cittadini turchi di religione cristiana e le rispettive istituzioni ecclesiastiche, non sempre questa apertura si è tradotta in pratica. A questo si aggiunge la pressione sociale che le comunità locali cristiane e le altre minoranze percepiscono, e che ha portato anche a ripetuti episodi di violenza.
Per queste ragioni, a soli pochi giorni dal discorso di Strasburgo, porre queste questioni in Turchia, un paese che si è presentato come punto di riferimento e modello per una regione in profonda crisi, ha una valenza estremamente significativa e può essere l’occasione per un’onesta riflessione, senza relativismi e facili giochi di ruolo, sull’attuale situazione politica che investe il Mediterraneo secondo una prospettiva turca, europea e mediorientale.