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Il viaggio del pontefice

Papa Francesco in Iraq: pellegrino di speranza

04 marzo 2021

Papa Francesco arriv in Iraq per portare "fraternità e speranza". È la prima visita di un pontefice nella terra di Abramo.

 

Tre giorni e mezzo di incontri e preghiera, dal 5 all'8 marzo, per fare “un passo avanti nella fratellanza”: quella che Papa Francesco sta per compiere in Iraq è una visita storica. La prima di un pontefice cattolico nel paese in cui nacque Abramo, padre delle tre grandi religioni monoteiste. Ma soprattutto è un viaggio carico di significati che si inserisce nel solco tracciato dall’enciclica Fratelli Tutti, in cui Francesco ha indicato nella fraternità e amicizia sociale le vie maestre per costruire un mondo migliore, più giusto e pacifico. Tra gli obiettivi del Pontefice quello di infondere coraggio e speranza alle minoranze cristiane – tra le più antiche al mondo – assediate e a rischio estinzione dopo anni di guerra e persecuzioni. Secondo, non meno importante, rafforzare i ponti tra il Vaticano e il mondo islamico, e il dialogo interreligioso attraverso l'incontro con uno dei leader musulmani più influenti al mondo, l'Ayatollah Ali al-Sistani. Pur carico di speranze, però, il viaggio del Papa – per cui sono state predisposte misure di sicurezza senza precedenti e un coprifuoco totale sul territorio – si svolgerà in un paese stremato da decenni di conflitto, alle prese con una grave crisi economica, sociale e politica, nonché piegato da una nuova ondata di infezioni da coronavirus e preoccupanti episodi di violenza. Ieri un attacco missilistico ha preso di mira la base aerea di Ain al-Asad, nella provincia occidentale di Al Anbar, dove sono presenti sia truppe irachene che statunitensi, provocando una vittima. Ma neanche questo fermerà Bergoglio: “Il popolo iracheno ci aspetta – ha detto durante l'udienza generale – Aspettava San Giovanni Paolo II, quando gli è stato vietato di andare: non si può deludere un popolo per la seconda volta”.

 

Sulle orme di Abramo?

Pandemia e il rischio di attentati impongono macchine blindate, mascherine, distanziamenti e corridoi di sicurezza: ma quello in Iraq sarà un viaggio diverso anche per i luoghi visitati. Nel primo giorno a Baghdad, dopo un incontro con le autorità Papa Francesco celebrerà la messa nella cattedrale di nostra Signora della Salvezza, in cui nel 2010 furono uccisi 48 fedeli in un attentato; sabato a Najaf culla dell’Islam sciita, incontrerà l'ayatollah Alì Al-Sistani, massima autorità sciita, fautore del dialogo e si recherà a Ur, la piana che Wojtyla sognava di visitare. È da qui che secondo la tradizione Abramo, padre della fede in un solo Dio, e colui che seppe “sperare contro ogni speranza” partì per la terra promessa. Ed è qui che bisogna guardare per capire le coordinate di questo pellegrinaggio in cui ogni tappa ha un significato simbolico profondo. Sullo sfondo della celebre ziggurat di Ur si svolgerà un incontro interreligioso di grande impatto, nel segno del dialogo. Domenica invece Francesco si recherà a Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove la minoranza yazida, perseguitata dall'Isis, ha trovato riparo. Poi farà tappa a Mosul, per anni roccaforte del sedicente Stato Islamico, e Qaraqosh nella Piana di Ninive, dove i cristiani sono presenti sin dall’età apostolica, divenuta oggi un simbolo della persecuzione dell’Isis, con chiese e abitazioni distrutte, e la lettera ‘nun’ raffigurata sulle porte a indicare le case dei “nazareni”.

 

 

Una minoranza a rischio?

“Vengo come pellegrino di pace in cerca di fraternità animato dal desiderio di pregare insieme e di camminare insieme anche con i fratelli e le sorelle di altre tradizioni religiose nel segno del padre Abramo che riunisce in un'unica famiglia musulmani ebrei e cristiani”: Papa Francesco si è rivolto così in un videomessaggio agli iracheni, alla vigilia della partenza. Negli ultimi due decenni, la popolazione cristiana in Iraq è diminuita di oltre l'80%. Il censimento iracheno del 1987 riportava 1,4 milioni di cristiani mentre oggi si stima che siano meno di 250.000 unità. Da questo punto di vista, l’invasione americana del 2003 dagli esiti disastrosi per il paese è uno spartiacque che ha segnato l’inizio di una spirale di violenze e instabilità da cui l’Iraq non si è mai ripreso del tutto. Spinti dall'instabilità politica, dalla guerra e dalle persecuzioni molti cristiani sono fuggiti all’estero e in paesi limitrofi e oggi la comunità rischia l’estinzione. Gli analisti concordano sul fatto che il ripristino della stabilità e una cornice normativa che tuteli le minoranze sarebbero i primi passi per scongiurare il pericolo. Non è dato sapere se la visita del Papa aiuterà i cristiani iracheni a guarire da tanti anni di sofferenza, ma contribuirà a riportare l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale sulla loro situazione.

 

Un riflettore acceso sugli ultimi?

Dal punto di vista regionale, infine, il viaggio di Papa Francesco avviene in un momento critico per il paese e per l’intero Medio Oriente: con la pandemia ancora in corso, la regione sembra essere uscita dalle priorità di politica estera dei governi occidentali, l’attenzione degli Stati Uniti si concentra altrove e l'Europa mostra mancanza di iniziativa e determinazione. Rischi enormi per un paese già alle prese con diverse fonti di instabilità interna, e nel contempo teatro operativo dello scontro tra le potenze regionali. Il governo di Baghdad si sforza di frenare gli scontri tra le milizie armate, mentre le proteste di massa agitano il tessuto sociale e il paese rischia un collasso economico. “Visitando l'Iraq nel mezzo di una pandemia e di un conflitto, Papa Francesco manda un messaggio di coraggio – osserva Maria Fantappie – e sfida la politica estera occidentale sempre più guidata da interessi e povera di valori, ponendo l'Iraq sotto i riflettori dell'attenzione internazionale e riaccendendo la speranza degli iracheni”.

 

Il commento

di Annalisa Perteghella, ISPI Research Fellow and Scientific Coordinator of Rome MED Dialogues

“Il viaggio di papa Francesco in Iraq avviene mentre nella ‘terra tra i due fiumi’ si concentra una somma di fattori che rischia di minarne ulteriormente la già precaria stabilità: pandemia di coronavirus (e assenza al momento di prospettive o speranze di una campagna vaccinale efficace), crisi economica data dal crollo della domanda e dei prezzi del petrolio, insicurezza data dallo scontro per procura tra Iran e Usa e dal dilagare delle milizie, recrudescenza degli attacchi dello Stato islamico, proteste anti-governative. In questo panorama desolante, il messaggio di unità e di coraggio del Pontefice, pur avendo un’essenza religiosa, assume un profondo significato politico”.

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

 

 

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