L’amministrazione Trump aggiunge un altro tassello alla politica di “massima pressione” verso l’Iran: l’8 aprile Washington ha infatti annunciato la decisione di inserire il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Iraniana (IRGC, più comunemente noti come pasdaran) nell’elenco delle FTOs (Foreign Terrorist Organisations), le organizzazioni straniere che – come si legge nelle FAQ del Dipartimento di Stato – conducono attività di terrorismo che minacciano la sicurezza dei cittadini statunitensi o la sicurezza nazionale del Paese. La decisione diventerà effettiva a partire dal 15 aprile. La designazione dei pasdaran iraniani come FTO rappresenta il primo caso di designazione di un’organizzazione che è parte di un governo. Come rileva il New York Times, la decisione si basa su un’interpretazione estensiva della legge statunitense del 1996 che ha creato l’elenco, costituendo un interessante precedente: solleva infatti l’interrogativo circa il fatto che in futuro i servizi di intelligence di altri governi che utilizzano la violenza – come quello israeliano, quello russo o quello pakistano – possano essere inclusi in tale categoria.
Se la motivazione ufficiale addotta dal Segretario di Stato Mike Pompeo è che “l’utilizzo del terrorismo da parte del regime iraniano” lo rende “diverso da ogni altro Paese del mondo”, e che pertanto questa mossa “priverà il più grande sponsor statuale del terrorismo [l’Iran] dei mezzi finanziari per continuare a diffondere morte e miseria nel mondo” nella realtà dei fatti la mossa è da interpretare soprattutto sul piano politico.
La proposta di inserire i pasdaran tra le FTOs risale infatti al marzo 2017, poco tempo dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. In linea con l’obiettivo più volte dichiarato di cancellare qualsiasi eredità obamiana anche in politica estera e di tornare agli alleati tradizionali – Israele e Arabia Saudita – il presidente USA aveva cominciato a considerare l’ipotesi di designare l’IRGC come organizzazione terroristica, nell’ambito della sua politica di “avvertimento” all’Iran (“We put Iran on notice”). Da allora a oggi però la misura era stata arginata dai numerosi pareri contrari espressi da stessi membri dell’amministrazione, oltre che dal Pentagono, che aveva messo in guardia circa le potenziali ripercussioni di una simile misura sulle truppe statunitensi stanziate in Iraq, dove i soldati USA stavano combattendo contro lo Stato Islamico fianco a fianco con i pasdaran iraniani (nello specifico con le brigate al-Qods, incaricate delle operazioni all’estero).
Due anni dopo, però, le condizioni sono cambiate: la minaccia dello Stato Islamico in Iraq sembra essere stata sconfitta, almeno a livello territoriale, e all’interno dell’amministrazione Trump alcuni dei funzionari che avevano sostenuto posizioni più moderate in politica estera sono state sostituite da figure oltranziste quali il Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton e il segretario di Stato Mike Pompeo. Un ulteriore elemento che sembra avere influito sul timing dell’annuncio potrebbe essere la volontà di fornire al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ulteriori credenziali da presentare alle urne nella giornata del 9 aprile: Netanyahu ha infatti dichiarato di avere accolto con favore il soddisfacimento di una propria richiesta da parte degli Usa.
Sul piano pratico, però, il nesso tra l’inserimento dei pasdaran tra le FTOs e la possibilità di limitarne le possibilità finanziarie non è scontato: diversi membri dell’IRGC, tra cui lo stesso Qasem Soleimani, comandante delle brigate al-Qods, sono già oggetto di sanzioni statunitensi (che peraltro lo stesso Obama non aveva mai messo in discussione, e che difatti non erano state inserite tra quelle sospese in seguito alla firma dell’accordo sul nucleare). Il fatto di essere oggetto di sanzioni non ha finora limitato le attività dei pasdaran, e ci sono dubbi che possa farlo proprio ora.
La mossa potrebbe essere addirittura controproducente: l’effetto ottenuto in Iran nelle poche ore passate dall’annuncio di Pompeo è semmai quello di aumentare la legittimità dei pasdaran agli occhi della popolazione iraniana; anche giornali riformisti come Etemad o membri del parlamento come Mahmoud Sadeghi – deputato riformista – hanno espresso la loro vicinanza e solidarietà verso l’IRGC.
Nonostante le ripetute espressioni di solidarietà nei confronti della popolazione iraniana, volte a catturare il favore della popolazione e a incitarla contro il governo, sembra che per il momento le politiche di Trump stiano generando l’effetto opposto. Le manifestazioni di solidarietà espresse dagli USA in occasione delle inondazioni che nelle scorse settimane hanno colpito il paese sono state percepite come ipocrite, dal momento che l’isolamento finanziario effetto delle sanzioni rende oggi molto difficoltoso per Teheran ricevere gli aiuti internazionali. Nel caso della designazione dell’IRGC come organizzazione terroristica, la percezione in Iran sembra essere quella della criminalizzazione di una intera popolazione. Se infatti è vero che i pasdaran hanno ramificazioni nell’economia iraniana, è altrettanto vero che non tutte queste attività sono illecite e non tutti i pasdaran sono sostenitori di istanze radicali. Inoltre, benché le brigate al-Qods siano state responsabili di comportamenti efferati in Siria e Iraq, allo stesso tempo i soldati iraniani hanno combattuto fianco a fianco con i soldati Usa nella liberazione del paese dallo Stato islamico. Anche nel caso delle inondazioni delle scorse settimane i pasdaran sono stati in prima linea nei soccorsi alla popolazione: l’IRGC è una galassia complessa, e difficilmente la politica USA di pressione indiscriminata potrà sortire gli effetti che si propone.
La decisione contribuisce ad alzare il livello dell’escalation tra Iran e Stati Uniti, rendendo sempre più difficile per le future amministrazioni USA smantellare – qualora lo vorranno – l’intricata rete di sanzioni e provvedimenti presi dall’attuale amministrazione, e aggiungendo un ulteriore livello di incertezza alle relazioni tra Iran e resto del mondo, sempre più disincentivato a intrattenere rapporti economici e commerciali con un paese sotto sanzioni. Tutto questo per un ritorno incerto: oltre al già citato fatto che le sanzioni non hanno finora ostacolato l’IRGC, occorre considerare anche che la decisione Usa potrebbe diminuire le possibilità che l’Iran completi il processo di adeguamento alle norme su anti-riciclaggio e contrasto del finanziamento del terrorismo come richiesto dal Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI-FATF).
La palla ora passa nel campo iraniano. Per ora Teheran ha risposto designando come “terrorista” lo US CENTCOM, il comando militare Usa responsabile delle operazioni in Asia occidentale. Una mossa dallo scarso impatto pratico, ma dall’alto valore mediatico e propagandistico, che serve a elevare e legittimare il ruolo di Teheran come leader della “resistenza” contro gli USA. Meno probabile, invece, che si verifichi ciò da cui molti analisti stanno ora mettendo in guardia, ovvero che i militari iraniani dislocati sui diversi terreni di scontro mediorientali intraprendano azioni di attacco nei confronti di obiettivi statunitensi: Teheran sembra conscia infatti di non potersi permettere di cadere nella politica di provocazioni messa in atto da Washington.Per il momento, Teheran continuerà con ogni probabilità a esercitare una politica di “pazienza strategica”, conscia del fatto che diverse amministrazioni che si sono alternate a Washington – alcune più ostili, altre meno – non hanno scalfito la quarantennale relazione tra Teheran e i propri alleati nella regione, e che le politiche di Trump sembrano per il momento aver ottenuto l’effetto di ricompattare il paese attorno al proprio senso di appartenenza nazionale. In Iran si guarda all’appuntamento elettorale USA del 2020, prima ancora che a quello iraniano del 2021.
L’ottimismo però sarebbe fuori luogo: quando il livello della tensione è così elevato, basta un minimo incidente a scatenare un’escalation, che avrebbe conseguenze pericolose per la stabilità dell’intera regione.