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Commentary

People to Watch 2014 - Dilma Rousseff

20 Dicembre 2013

Tre foto per sintetizzare una vita. La prima è del novembre 1970: Dilma Rousseff ha 22 anni, è reduce da 22 giorni di tortura e siede nell’Auditoria Militar di Rio de Janeiro durante un interrogatorio. Il volto è stanco, ma la ragazza, in jeans e t-shirt, non guarda né i giudici né in macchina. Quando l’immagine è riemersa, nel 2011, ha fatto il giro del mondo: Dilma, accusata di partecipare alla lotta armata contro la dittatura, è ferma e severa. I militari che l’interrogano si coprono il volto con la mano. Seconda foto: il 12 gennaio 2009, la Rousseff, in piena campagna presidenziale, appare per la prima volta in pubblico dopo essersi sottoposta, in dicembre, a un’operazione di chirurgia plastica. L’occhialuta e potente ministra del carismatico presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha perso le pieghe del collo e le rughe intorno agli occhi. Visto il passato militante, la scelta apparve insolita perfino in un paese, come il Brasile, che va matto per i ritocchi estetici. La terza immagine è in realtà un fotogramma: mostra Dilma Rouseff tesa e stanca, il 21 giugno 2013, promette alla tv di stato di ricevere i portavoce delle associazioni giovanili, dei sindacati e dei movimenti dei lavoratori e dei cittadini. E soprattutto illustra come agirà il governo per frenare l’ondata di manifestazioni che ha travolto il paese, già in pista per accogliere i Mondiali di calcio nel 2014: un programma nazionale di mobilità urbana; una norma che dirotti il 100% delle royalties del petrolio sull’istruzione e una legge che favorisca l’immigrazione di medici stranieri per migliorare il Sus, il sistema sanitario nazionale. 

Si compie così la strana, ma quasi inevitabile parabola per la prima donna presidente del più grande paese dell’America latina, settima economia mondiale, sia pure in brusca frenata. Benché Dilma Vana Rousseff, nata il 14 dicembre 1947 a Belo Horizonte, abbia sempre negato di aver partecipato ad azioni armate, la sua battaglia nell’estrema sinistra è ormai storia. Figlia di una casalinga e di un imprenditore e avvocato bulgaro, naturalizzato brasiliano, era cresciuta in un ambiente agiato, aveva studiato presso il prestigioso Colégio Nossa Senhora de Sion, ma già nel 1964 aveva aderito alla Organização Revolucionária Marxista Política Operária (Polop). Di più: aveva scelto la sua ala armata, il Comando de Libertação Nacional (Colina). Proprio in quel periodo aveva conosciuto Cláudio Galeno de Magalhães Linhares, che aderiva alla stessa organizzazione: si sposarono nel 1967. Il compagno di una vita è però poi stato Carlos Franklin Paixão de Araújo, comunista dissidente, dal quale ha avuto la figlia Paula. Il 16 gennaio 1970 Dilma fu arrestata: uscì dal carcere a fine 1972, provata dalle torture e dalla detenzione. Ma ovviamente non piegata. Nel 1977 si laureò in economia. Intanto partecipò alla fondazione del Partido Democrático Trabalhista (Pdt). Dagli anni Ottanta ha fatto carriera nell’amministrazione pubblica, in particolare ha lavorato nella Fundação de economia e estatística Siegfried Emanuel Heuser, fino a ricoprire il posto di secretaria (ministra) de minas, energia e comunicações dello stato di Rio Grande do Sul dal 1993 al 1994 e poi dal 1999 al 2002. Il salto definitivo è avvenuto con il presidente Luiz Inácio Lula da Silva che prima l’ha nominata ministra federale delle miniere e dell’energia, nel 2003. E poi, nel 2005, l’ha posta a capo della Casa civil, una sorta di superministero dell’interno. La stima di Lula ha giocato un ruolo decisivo. Il 1° gennaio 2011 Dilma Rousseff ha assunto il ruolo di presidente e un anno dopo la copertina del mensile statuinitense Forbes l’ha celebrata come la donna più potente del mondo. Eppure proprio la campagna presidenziale del 2010 aveva evidenziato qualche crepa: a impedirle il passaggio al primo turno era stata la verde Marina Silva, altra compagna di strada di Lula, ma capace di brillare di luce propria. Poi, certo, il governo danneggia il consenso: la Rousseff si è trovata alla guida di un gigante la cui corsa sembrava inarrestabile e che invece ha rivelato (non a sorpresa) di avere i piedi di argilla, come accade ai paesi in cui le differenze sociali, le infrastrutture fatiscenti, la corruzione, l’analfabetismo e l’arretratezza bloccano produttività e sviluppo. Il pil, che nel 2010, cresceva del 7,6 all’anno, nel 2012 è avanzato di un misero 0,9 e ha raggiunto a fatica il 2,0 nel 2013. Per il 2014, anno dei Mondiali (incredibilmente trasformati, per ora, in un boomerang mediatico), la crescita si prevede del 2,5. Dilma Rousseff ha dunque ereditato un “falso” campione: le sue riforme liberiste, così in contraddizione con le sue idee giovanili, non sono bastate a impedire l’arresto dell’economia. Le misure di sostegno sociale si sono rivelate inadeguate. L’immagine dell’esercito che scende in strada per bloccare i manifestanti nel giugno 2013 ha fatto rabbrividire non soltanto chi si ricordava di “Dilma la guerrigliera”. La Rousseff si presenta così all’appuntamento elettorale del 2014, le nuove presidenziali, con tutt’altro smalto che nel 2010. E se è vero che il senatore Aecio Neves, candidato del centrodestra con il Psdb, è molto indietro nei sondaggi e che Marina Silva non può ricandidarsi né il suo appoggio può far vincere Eduardo Campos, leader del Partito socialista brasiliano (Psb), la Rousseff non ha, nelle previsioni, quel 51% dei voti che non solo mette al sicuro il risultato, ma soprattutto certifica il carisma. Poi, il Brasile e il Brasile: se la nazionale vincesse in mondiali di calcio di giugno, per Dilma sarebbe il trionfo. 

Valeria Palumbo, è giornalista professionista, storica delle donne e collaboratrice dell'ISPI
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