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Commentary

People to Watch 2014 - John Boehner

Davide Borsani
20 Dicembre 2013

Sarebbe sufficiente prendere in esame le poche settimane intercorse tra il blocco delle attività amministrative del governo statunitense (shutdown) nella prima metà di ottobre e il nuovo, rapido e conciliante accordo bipartisan sul budget federale di dicembre per comprendere come la non-strategia del Grand Old Party (Gop), i cui membri più “radicali” in ottobre avevano minacciato persino il default del paese, abbia imposto un energico cambio di rotta al partito in vista di un 2014 che chiamerà alle urne i cittadini americani per le elezioni di mid term. I Repubblicani, benché non in modo unanime, nel caso dello shutdown avevano condotto (meglio: proseguito) una continua “guerriglia” a Barack Obama sul tema del finanziamento alla spesa pubblica che, in ultima analisi, si è rivelata controproducente tanto da palesare nel Partito una carenza di leadership e di visione tali da non andare oltre una tattica di breve periodo capace solo sporadicamente di unire le diverse frange. Da queste recenti vicende John Boehner, Speaker della House of Representatives e quindi il Repubblicano con la carica istituzionale più elevata, è uscito piuttosto malconcio, trasmettendo all’opinione pubblica un’assenza di carisma e di peso politico necessari invece per unificare un partito disorientato in nome di un obiettivo di medio-lungo termine condiviso e condivisibile. Non solo: in larga parte il popolo americano ha identificato proprio nel Gop il principale responsabile dello shutdown, divenuto ben presto una questione molto popolare che, seppur temporaneamente, è apparsa in grado di minare la rinnovata fiducia nella fragile ripresa economica (anche al di fuori dei confini americani). L’ovvia conseguenza è stata una drastica riduzione del consenso verso i Repubblicani, ai minimi da quasi quindici anni, che ora appaiono ancor più bisognosi di un leader e di una nuova strategia elettoralmente efficace che raggiungano le diverse anime della nazione, perlomeno quelle più rilevanti politicamente.

 

In realtà, per il Gop l’infelice esito dello shutdown è solo la punta dell’iceberg. Dalla conclusione della martoriata presidenza di George W. Bush, il Partito Repubblicano è alla (infruttuosa) ricerca di una nuova identità che, unendo tradizione e rinnovamento, sappia far fronte alle sfide interne e internazionali acuite dalla “grande crisi”. Sul versante economico, il Gop pare ancora appiattito sulle ricette di eredità “reaganiana” che se da una parte hanno contribuito a rilanciare il paese negli ultimi due decenni del Novecento e mantengono una certa validità ancora oggi, dall’altra non hanno saputo fornire una risposta pronta, efficace e credibile alle istanze presentate dalla crisi del 2008. Non è un caso che alle recenti elezioni presidenziali, dominate dai temi economici, il candidato repubblicano Mitt Romney, pur cavalcando a gran voce la Reaganomics, non sia riuscito a sconfiggere il presidente uscente, la cui Obamanomics non aveva saputo arginare come promesso il problema dell’elevato tasso di disoccupazione. Ma la debolezza del Gop non nasce solo dall’indirizzo di politica economica. La base dell’elettorato statunitense sta infatti rapidamente cambiando: da una popolazione bianca dominante, cui i Repubblicani si sono rivolti soprattutto negli ultimi cinquant’anni, gli alti tassi di crescita degli immigrati asiatici, ispanici e neri con diritto di voto hanno modificato (e continuano a farlo sempre più) la composizione etnico-culturale della nazione. Fino a oggi il Partito non è riuscito a intercettare il voto di tali segmenti che, anche qui non casualmente, hanno fatto la differenza nel novembre 2012 nel rieleggere Obama. Pur con le dovute eccezioni, perfino gli orientamenti in politica estera risentono, soprattutto in frontmen come John McCain, dell’influenza “reaganiana” a sua volta già semplificata da Bush junior, ponendo un accento talvolta eccessivo sul finanziamento alla spesa militare e adottando un approccio alle questioni internazionali ancora legato ai principi “neoconservatori”, ormai anacronistici in un mondo marcatamente multipolare. È questo un quadro piuttosto sintetico e senz’altro poco esauriente dei tre tra i principali problemi cui il Partito Repubblicano sarà chiamato a rispondere in vista delle elezioni di mid term del 2014 (e oltre). Va comunque sottolineato che verosimilmente non sarà Boehner a indicare la rotta da seguire.

Lo Speaker della Camera Bassa ha infatti dato spesso prova della sua debolezza politica nel corso degli ultimi tre anni. Tra le manchevolezze più evidenti vi è stata quella di non aver saputo incanalare, se non raramente, le forze della destra “radicale” – composta in sostanza dal Tea Party – in uno sforzo collettivo che rafforzasse i Repubblicani agli occhi degli americani e sapesse offrire, soprattutto istituzionalmente, un’alternativa valida e responsabile alle policy perseguite da Obama. Solo laddove il dissenso risultava largamente condiviso, come nel caso della riforma sanitaria, Boehner è riuscito a ricompattare le fila e contrastare i Democratici ottenendo importanti concessioni che hanno “annacquato” la Obamacare così come originariamente concepita. Va da sé, quindi, che il suo nome non sarà spendibile nel 2014 per spostare gli equilibri interni e guadagnare una consistente fetta di consenso, al contrario probabilmente dei “giovani rampanti” Paul Ryan, vicino ai Tea Party, e Marco Rubio, di origine ispanica, che in modo diverso potrebbero iniziare a tracciare sin dalle elezioni di mid term il proprio percorso che li condurrà alle primarie del 2016, magari provando a dare un’impronta innovativa al Gop. Il framework che li attende è piuttosto chiaro: in un contesto nazionale che vede l’economia come pressoché unico tema al centro del dibattito politico, sarà compito del futuro leader identificare una nuova strategia e perseguirla con parole e fatti che raggiungano alla testa e alla pancia un’eterogeneità etnico-culturale certamente storica per gli Stati Uniti, ma raramente in rapido mutamento come nel corso dell’ultimo decennio. Se ciò non avvenisse, in concomitanza con l’attuale rilancio della crescita economica è lecito supporre che sarebbero i Democrats di Obama ad avere ancora buon gioco nel presentarsi al paese come l’unica forza politica in grado di rispondere a un cambiamento che, tralasciando la retorica partitica, è davvero in atto al di là dell’Atlantico.


Davide Borsani, PhD Candidate in Istituzioni e Politiche (Università Cattolica del Sacro Cuore)

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Stati Uniti Obama Boehner Repubblicani Democratici shutdown Obamacare Tea Party Gop
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Autori

Davide Borsani
Associate Research Fellow

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