People to watch: Hamad bin Khalifa Al Thani | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Executive Education
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Executive Education
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
Commentary

People to watch: Hamad bin Khalifa Al Thani

Arturo Varvelli
15 Dicembre 2011

Hamad bin Khalifa Al Thani è probabilmente l’uomo più influente e, insieme, meno conosciuto del mondo arabo. L’emiro del Qatar, piccolo paese del Golfo ricco di giacimenti di gas tanto da farlo uno dei maggiori produttori mondiali, è salito al potere nel 1995 scalzando il padre con un colpo di stato incruento. Le promesse di parziale apertura democratica sancite nella Costituzione emanata dieci anni più tardi, e che prevedevano l’elezione diretta di due terzi del parlamento, in realtà non si sono mai concretizzate. Eppure il Qatar è stato nel 2011 il paladino dell’ondata “democratica” della primavera araba. La televisione da lui voluta, costruita e finanziata, Al Jazeera, è stata fin dal primo momento pronta a soffiare sul fuoco delle rivolte: Tunisia, Egitto e Libia in particolare. L’emiro ha aiutato, organizzato e finanziato diversi gruppi d’opposizione e ha promesso poi aiuti economici nella fase di transizione (al solo Egitto per esempio fornirà 10 miliardi di dollari, la metà di quanto tutta l’Europa insieme dovrebbe dare a Egitto e Tunisia!).

Ma è con la guerra di Libia che il Qatar ha manifestato la propria strategia. L’emiro ha fornito di armi e mezzi i rivoltosi di Bengasi e, per primo, ha dato loro un riconoscimento ufficiale. È stato anche il primo membro del Gulf Cooperation Council a fornire alla Nato i caccia per le missioni aree contro il regime di Gheddafi. Contemporaneamente Al-Jazeera denunciava dopo un paio di giorni di oppressione della rivolta 10 mila morti e la scoperta di fosse comuni, contribuendo a influenzare l’opinione pubblica mondiale sulla necessità di un intervento a protezione della popolazione. In seguito, proprio sfruttando le due principali competenze, quella nel campo dei media e quella nel settore degli idrocarburi, il Qatar ha lanciato la Tv libica Ahrar a favore del Consiglio Nazionale di Transizione libico e ha cominciato a fornire assistenza per le esportazioni di petrolio dalla Cirenaica, piazzando sul mercato internazionale il greggio libico in mano ai ribelli.

Se nel 2011 il Qatar ha seminato, nel 2012 vorrà raccogliere i frutti. Quest’anno gli sviluppi in Libia hanno offerto al Qatar la possibilità di trasformarsi in un mediatore chiave tra il mondo islamico e quello occidentale. L’Emirato è divenuto infatti base e punto di riferimento sia di molti nuovi referenti politici all’interno del Cnt libico sia di vecchi notabili del regime (a cominciare dall’ex ministro degli Esteri Moussa Kussa). Il Qatar, grazie alle ottime relazioni con gli Stati Uniti e i paesi europei, sta quindi svolgendo un ruolo politico di “mediazione” anche tra le potenze occidentali e le forze emergenti in Libia tra le quali sono sempre più rilevanti i gruppi islamici. Il Qatar ha ospitato nel recente passato una delle maggiori personalità della “nuova” Libia, Ali Sallabi, una figura religiosa che gode di una vasta eco e rispetto da parte della comunità islamica. Mentre ha dato supporto ad Abdul Hakim Belhaj, ex combattente del Libyan Islamic Fighting Group, ora responsabile militare di Tripoli, invitando gli occidentali al dialogo con lui e alla necessità di non marginalizzare le forze che fanno riferimento a un ruolo politico dell’islam. Accrescere il ruolo degli islamisti in Libia di fatto accresce l’indispensabilità di chi è capace di parlare a loro: il Qatar.

È probabile, quindi, che l’Emirato manifesti ancor di più i propri interessi politici. Sfruttando la propria ricchezza, il Qatar mira a imporsi come rilevante attore regionale, nonostante le piccole dimensioni territoriali e demografiche: un modello di attivismo diplomatico. Le direttrici di questa politica sono “multi-direzionali” e per nulla scontate. Il Qatar intrattiene rapporti con l’Iran, basati soprattutto su interessi economici e finanziari, ma allo stesso tempo è l’unico paese del Golfo ad aver concesso alcune aperture a Israele, ospitando, per esempio, una missione commerciale israeliana. Nel 2008, ha organizzato il vertice per la risoluzione della crisi politica del Libano e, successivamente, ha svolto un’azione di mediazione negli scontri interni allo Yemen. Ma la diplomazia di Hamad bin Khalifa ha ambizioni anche sul continente africano, svolgendo il ruolo di garante per la definizione dei confini tra Eritrea e Gibuti. Senza farsi troppo notare, e grazie al duplice strumento economico e mediatico, il Qatar mira a divenire uno dei nuovi perni di quello che sembra essere un nuovo assetto politico-diplomatico mediorientale – insieme alla Turchia –, che ha progressivamente acquisito parte dell’influenza storicamente esercitata da attori regionali quali l’Arabia Saudita, l’Egitto e la Giordania. Per questi motivi i passi di Hamad bin Khalifa nel 2012 saranno da tenere sotto stretta osservazione per comprendere gli sviluppi del Mediterraneo e del Medio Oriente.

Versione stampabile
Download PDF

Autori

Arturo Varvelli
Research Fellow

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157