L’entità del fenomeno radicalizzazione nel continente africano e l’elevato livello di rischio ad esso connesso è efficacemente rilevato dall’ultimo report dell’Africa Center for Strategic Studies (ACSS)[1], che a partire dal 2010 ha monitorato gli episodi violenti compiuti dai diversi gruppi militanti islamici attivi in Africa.
Dalla raccolta di dati operata dal centro studi di Washington, emerge che nel corso degli ultimi otto anni la minaccia dell’estremismo violento in Africa è diventata sempre più rilevante, come dimostra l’aumento degli attacchi del 310%. Diretta conseguenza di ciò è il contestuale incremento del numero di paesi africani interessati da una sostenuta attività di gruppi radicali islamici, che dai cinque del 2010 è arrivato a dodici nel 2017.
Numeri molto eloquenti, che testimoniano il costante aumento dei livelli di violenza dell’estremismo islamico in Africa, alla cui origine ci sono vari fattori primari, che negli ultimi anni sono stati oggetto di diverse analisi, le quali hanno rilevato uno scenario più complesso di quanto comunemente ipotizzato.
Uno degli studi più recenti e approfonditi per comprendere la cause profonde che spingono i giovani africani a unirsi ai gruppi radicali islamici è stato realizzato dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP)[2].
Il rapporto intitolato “Viaggio nell’estremismo in Africa”è basato su due anni di ricerca e 718 interviste, tra le quali sono incluse 495 testimonianze di giovani che hanno aderito spontaneamente a movimenti jihadisti attivi in Africa, la maggior parte dei quali militava nelle fila di Boko Haram e al-Shabaab.
I risultati dello studio rivelano che le motivazioni principali che inducono i giovani africani a compiere la scelta estrema sono riconducibili a povertà, marginalizzazione e sottosviluppo. Mentre un altro fattore che ha indotto ben il 71% degli estremisti intervistati a intraprendere la scelta estrema è riferito all’operato del governo e agli abusi di potere, inclusa l’uccisione oppure l’arresto di un familiare o di un amico.
Da ciò emerge, che nel contesto africano questo strumento di coercizione costituisce spesso il “punto di non ritorno”, che spinge le persone ad unirsi a un gruppo terroristico. Il report individua anche altri elementi che inducono i giovani africani ad aderire all’estremismo, tra i quali figurano bassi livelli di istruzione, mancanza di contatti con altre etnie, genitori assenti durante l’infanzia e una minima comprensione dei principi fondamentali dell’islam.
Uno dei dati salienti che emerge dalla relazione è che quasi la metà degli interpellati ha spiegato di aver aderito ai gruppi armati per motivi religiosi, ma il 57% ha ammesso di comprendere poco a nulla dei testi coranici e delle relative interpretazioni, sottolineando che ai fini dell’arruolamento, la frustrazione causata dalla condizione economica ha svolto un ruolo molto più incisivo dell’ideologia religiosa.
Da evidenziare anche il fatto che l’arruolamento dei giovani africani nei principali movimenti estremisti è avvenuto principalmente a livello locale su base individuale e non attraverso internet, come avviene in molte altre parti del mondo interessate dal fenomeno.
Nel complesso, dallo studio emerge un’immagine di individui frustrati ed emarginati sin dalla più tenera infanzia, con poche prospettive economiche, praticamente esclusi dalla partecipazione civica e con poco fiducia nella capacità del governo di assicurare i servizi primari e rispettare i diritti umani.
Anche un altro report[3], pubblicato alle fine dello scorso giugno dall’organizzazione no-profit International Alert, per indagare sulle cause che hanno originato l’aumento dell’estremismo violento nella regione centrale del Sahel ha rilevato che l’ideologia religiosa ha influito in maniera poco incisiva sulla decisione di entrare a far parte di gruppi jihadisti.
Le interviste realizzate con 54 appartenenti alla comunità fulani stanziati in Burkina Faso, Mali e Niger evidenziano che la scelta di abbracciare l’estremismo violento è in gran parte ascrivibile all’incapacità degli Stati di fornire servizi e sicurezza e ha poco a che fare con la religione.
La medesima conclusione alla quale era giunto un altro rapporto[4] realizzato tra giugno e agosto 2016 in Kenya per valutare l’approccio locale nei confronti di al-Shabaab. Dalle trenta interviste con esponenti della società civile, religiosi, accademici ed ex combattenti è emerso che non esiste un percorso univoco che conduce i giovani all’estremismo radicale.
Tra i molteplici fattori all’origine dell’avvicinamento al radicalismo sono elencati povertà, corruzione, disoccupazione, emarginazione sociale, proliferazione delle bande criminali, violazioni dei diritti umani, ma anche il fallimento del governo nel garantire alla popolazione i servizi primari. Mentre la religione avrebbe scarsissima influenza sulla decisione di seguire al-Shabaab.
Dal quadro descritto, nella ricerca di soluzioni atte a ridurre i fattori primari all’origine del fenomeno, appare evidente che gli attori dello sviluppo dovrebbero operare massicci investimenti sull’educazione e sui servizi sociali, assicurandosi che gli attori nazionali e internazionali concentrino i loro sforzi sulle aree difficili da raggiungere, con l’obiettivo finale di creare una valida forma di resilienza contro l’estremismo violento.
Note
[1] Africa Center for Strategic Studies, Militant Islamist Groups in Africa Show Resiliency over Past Decade, 28 giugno 2018. https://bit.ly/2KCtZh0
[2] United Nation Development Program, Regional Bureau for Africa, Journey to Extremism in Africa: Drivers, Incentives, and the Tipping Point for Recruitment, settembre 2017. https://bit.ly/2vQcLWH
[3] International Alert, If victims become perpetrators. Factors contributing to vulnerability and resilience to violent extremism in the central Sahel, giugno 2018. https://bit.ly/2JykGda
[4] C. Villa-Vicencio, S. Buchanan-Clarke, A. Humphrey, Community Perceptions of Violent Extremism in Kenya, The Institute for Justice and Reconciliation, 2016. https://bit.ly/2HC2cJi
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