Quelle di domenica 11 aprile saranno le elezioni più incerte della recente storia peruviana, in uno dei paesi del Sudamerica più colpiti dalla pandemia. Non era mai successo che alla vigilia del voto per le presidenziali in Perù ci fossero almeno sei candidati con possibilità di disputare il secondo turno ed è inedito pure che nessuno di loro, stando ai sondaggi, sia accreditato con più del 15% dei consensi. Una frammentazione estrema, frutto della generale disaffezione alla politica che viene dai ripetuti scandali che hanno coinvolto i governi degli ultimi trent’anni.
Corruzione e cattiva amministrazione, una costante nella politica peruviana a cui si è aggiunta negli ultimi anni una profonda ingovernabilità, con un Congresso formato da una dozzina di partiti e maggioranze ballerine in grado di far cadere i presidenti di turno. Gli ultimi sei presidenti, dal 1980 ad oggi, sono stati coinvolti in casi di corruzione; sono stati inquisiti, arrestati, sono scappati all’estero o sono addirittura arrivati a suicidarsi per non finire in carcere, come nel caso di Alan Garcia due anni fa. In questo contesto è arrivata la pandemia, con oltre 52.000 morti e una seconda ondata di contagi molto forte, a causa anche della penetrazione della temibile variante brasiliana del virus. “Le leadership politiche in Perù – spiega l’analista Cesar Campos – si costruiscono su basi molto fragili, spesso conta di più l’appoggio nei social media che la costruzione di una base solida di consenso. L’offerta politica non soddisfa l’opinione pubblica, molti elettori decideranno all’ultimo, può succedere davvero di tutto”.
In testa ai sondaggi c’è il candidato populista Yohny Lescano del partito Accion Popular, accreditato intorno al 12-14 % dei consensi. Non è molto, ma potrebbe bastare, salvo sorprese dell’ultim’ora, per strappare il ticket per il ballottaggio; dietro di lui, invece, la bagarre è totale. L’outsider di lusso, se così lo si può chiamare, è l’ex portiere della nazionale di calcio George Forsyth. Figlio di diplomatici, arrivato alla politica come sindaco de La Victoria, un municipio dell’hinterland di Lima, ha appena 38 anni e deve la sua popolarità ai suoi trascorsi calcistici (ha difeso per quattro anni la porta del club Alianza Lima); propone una piattaforma di centrodestra moderata e liberista. Partito molto bene nella corsa presidenziale, le sue quotazioni sono calate nelle ultime settimane, oggi disputa il voto moderato con il populista di destra Hernando de Soto, la sempre presente Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori e Rafael Lopez Aliaga, imprenditore di estrema destra, membro dell’Opus Dei, definito il “Bolsonaro peruviano”. L’unico nome di sinistra in corsa è quello di Veronika Mendoza, alla seconda candidatura presidenziale alla guida della coalizione progressista “Juntos por el Perù”.
Le elezioni sono chiaramente segnate dall’emergenza sanitaria. Le restrizioni ai movimenti per frenare la propagazione del virus sono ancora vigenti e saranno sospese solo il giorno del voto. Per facilitare la partecipazione ma evitare grandi movimenti di persone, la Corte elettorale ha permesso ai cittadini di cambiare il proprio seggio optando per quello più vicino a casa. Secondi gli analisti l’affluenza sarà comunque alta anche perché il voto in Perù è obbligatorio. Chi vincerà, comunque, non avrà vita facile, visto che dovrà necessariamente costruire un governo di larghe intese in un Parlamento (si vota anche per rinnovare i membri del Congresso) che potrà essere ancora più frammentato rispetto a quello attuale.
Tutti i candidati hanno promesso un cambio rapido di passo nella campagna di vaccinazione, ma nessuno ha detto chiaramente come sarà possibile farlo. Dichiarazioni razziste hanno fatto capolino nei dibattiti elettorali, con promesse di mano dura verso gli immigrati che delinquono. La xenofobia è cresciuta molto verso i tantissimi migranti venezuelani arrivati negli ultimi quattro anni. Tutti, ovviamente, promettono una forte ripresa economica già nel secondo semestre di quest’anno. Promesse di campagna, difficili da realizzare.
La pandemia ha flagellato l’economia peruviana, facendo registrare un crollo del 11% del Pil nel 2020. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale c’è stato un aumento di quasi due milioni di nuovi poveri; oggi un peruviano su tre non riesce ad arrivare a fine mese. Il governo del presidente di transizione Francisco Sagasti distribuisce da febbraio un sussidio di 150 euro mensile per le famiglie povere delle regioni più colpite dalla crisi sanitaria, ma è troppo poco in un paese dove almeno sette lavoratori su dieci operano nell’economia informale e senza garanzie e protezioni sociali. Il lunghissimo lockdown imposto durante la prima ondata e le quarantene a macchia di leopardo in vigore con la seconda ondata della pandemia hanno lasciato milioni di famiglie senza reddito, oltre ad aver paralizzato settori strategici come il turismo o la ristorazione. L’unico settore rimasto sostanzialmente immune alla crisi è quello estrattivo-minerario, dove prevalgono i capitali stranieri. La forte svalutazione della moneta locale può attrarre nuovi investimenti, ma molto dipenderà dal clima politico e istituzionale e dal ritmo della pandemia.
Variabili pesanti che pesano, forse ancor più che nel resto della regione, sul futuro del Perù.