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DATAGLOBE

Petrolio russo: vasi comunicanti

Matteo Villa
03 giugno 2022

 

Tappata una falla, se ne apre un’altra. L’Unione europea sembra aver appena raggiunto il flebile consenso politico per l’approvazione del sesto pacchetto di sanzioni, che contiene anche lo stop alle importazioni di quasi tutto il petrolio russo entro fine anno. Eppure già si staglia all’orizzonte un secondo problema: quello di capire se davvero le sanzioni occidentali sul greggio russo riusciranno a impedire a Mosca di trovare vie alternative.

Perché l’efficacia delle sanzioni europee si misurerà anche da quello: se e quanto crolleranno non solo il prezzo a cui la Russia è costretta a vendere il proprio petrolio sul mercato (già da mesi il contratto Urals del greggio russo prezza a 35 dollari al barile di sconto rispetto al Brent), ma anche i volumi del petrolio esportato. Nel 2021 infatti la Russia ha esportato quasi metà (45%) del suo greggio e dei prodotti petroliferi verso Paesi dell’Unione europea, più del doppio di quanto ne abbia esportato verso la Cina (22%) e il quadruplo delle sue esportazioni verso altri Paesi asiatici (10%). Un embargo sul petrolio europeo dovrebbe dunque avere un forte effetto di riduzione dei volumi di greggio esportato da Mosca. Purtroppo, invece, dai dati a disposizione fino a oggi l’Europa sembrerebbe doversi preparare a un’amara sorpresa.

 

Volumi e valori

Il grafico qui sopra utilizza dati raccolti ogni settimana da Julian Lee, analista di Bloomberg, sul greggio russo esportato via mare. Nel 2021, il greggio russo esportato via mare costituiva circa i tre quarti di tutto il greggio esportato da Mosca: 3,4 milioni di barili al giorno, mentre 1,1 milioni erano esportati via terra (la maggior parte dei quali verso l’Europa attraverso l’oleodotto Druzhba, recente oggetto del contendere e, infine, di esenzioni). Limitandoci a quel flusso, e osservandone l’ampiezza e la destinazione delle navi petroliere che si dirigono verso i vari porti del mondo, possiamo capire cosa sia successo alle esportazioni russe di petrolio dopo l’invasione dell’Ucraina.

La risposta è chiara: non sono diminuite. Anzi, i dati indicano che siano addirittura leggermente aumentate, tanto che nell’ultima settimana di maggio avrebbero sfiorato i 3,6 milioni di barili al giorno. Certo, quello che stiamo osservando è un effetto di sostituzione molto potente. Da quando le compagnie europee hanno iniziato a importare sempre meno greggio russo, di fatto auto-sanzionandosi in previsione di possibili sanzioni effettive, il petrolio russo che giunge via mare in UE si è già ridotto di quasi il 25%. La riduzione sarebbe ancora più consistente, se l’Italia non avesse quasi triplicato le importazioni di greggio russo, diventando da sesto a primo importatore europeo, a causa del grosso problema della raffineria ISAB di Priolo, di proprietà della russa Lukoil.

Ma a compensare il calo europeo ci hanno pensato le esportazioni verso l’Asia, che sono quasi raddoppiate nel giro di poche settimane. Quelle verso l’India sono addirittura aumentate di otto volte. Insomma, in questi tempi di prezzi elevati delle materie prime (incluse quelle energetiche) un petrolio russo venduto a sconto fa gola a molti, e chi non teme ritorsioni europee e non intende imporre sanzioni proprie ne sta approfittando.

 

Questione di auto-sanzioni

I dati sulle esportazioni via terra, ovvero via oleodotto, non sono disponibili. È dunque ancora possibile che le esportazioni totali non siano aumentate, ma che quest’aumento di esportazioni via mare sia anche conseguenza di una riduzione delle esportazioni via terra. Se non di quelle verso l’Ungheria e altri Paesi dell’Europa centrale che non possono fare a meno del petrolio russo per le proprie raffinerie, quantomeno quelle esportazioni, e sono significative (circa 400.000 barili al giorno), che raggiungono Germania e Polonia. Ma nella sostanza cambierebbe poco: al più, le esportazioni di greggio russo potrebbero essere rimaste invariate.

In conclusione, le auto-sanzioni europee sul petrolio hanno certamente contribuito a ridurre le entrate di Mosca nei primi mesi dell’invasione, in particolare ad aprile. Se maneggiate con cautela, le sanzioni formali in arrivo possono contribuire a tenerle a freno per un periodo di tempo più lungo. Ma fino ad adesso l’effetto principale consiste nell’aver obbligato Mosca a vendere il proprio petrolio a forte sconto rispetto al prezzo internazionale. Per una riduzione di volumi delle esportazioni russe, invece, l’appuntamento è rimandato.

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Matteo Villa
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