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CoVid-19
Politica industriale: nuovi equilibri tra Stato e mercato nell'era del CoVid-19
Alberto Belladonna
|
Alessandro Gili
15 maggio 2020

Come dimostra la recente intervista al Financial Times del capo della concorrenza europea Margrethe Vestager sull’ opportunità degli Stati di intervenire a sostegno del tessuto industriale europeo, la crisi da coronavirus sta segnando uno spartiacque nelle politiche industriali degli Stati. Il virus sta accelerando fenomeni che già erano in atto prima della pandemia, ma in un contesto di crescente competizione economica tra Stati che coinvolgerà inevitabilmente anche il nostro paese. E la partita più difficile si giocherà in Europa.

 

Supply chains da reinventare

In primo luogo, la crisi sta promuovendo una ristrutturazione delle catene globali del valore. La pandemia ha messo infatti in evidenza alcune fragilità dell’attuale modello di produzione internazionale fondato su un’elevata frammentazione produttiva su scala globale. Dall’automotive, all’hi-tech, dagli elettrodomestici alla moda, non c’è settore che non sia stato messo in crisi a causa della mancanza di componenti fondamentali per il processo produttivo causato dai ritardi logistici e soprattutto da un’eccessiva dipendenza da pochi esportatori, Cina in primis. Pechino è diventata infatti il principale fornitore al mondo di semilavorati con una quota di mercato mondiale di circa il 20% (rispetto al 4% del 2002);quote che in alcuni settori superano il 50% come nel caso delle apparecchiature per le telecomunicazioni (59%).

Una crescita asimmetrica, visto che, mentre il Paese di Mezzo riduceva la sua dipendenza dai fattori produttivi esteri, aumentava progressivamente le sue esportazioni di beni intermedi, grazie anche a una politica industriale fatta di sussidi all’esportazione e altre misure distorsive della concorrenza. Da qui un forte dibattito sulla sicurezza degli approvvigionamenti e sull’opportunità di un progressivo decoupling dalla Cina favorito anche dall’emergere di una serie di fattori che stanno progressivamente favorendo un ritorno in patria – reshoring – di alcune produzioni.  Processi che la crisi accelererà, spingendo le produzioni a diversificare le catene degli approvvigionamenti, accorciandone le distanze e rendendo la filiera produttiva maggiormente concentrata su scala regionale.

 

La competizione europea

In un’ottica nazionale, soprattutto per quanto riguarda i beni essenziali, la geografia della catena del valore dovrebbe necessariamente avere un raggio europeo, nonostante i blocchi all’esportazione di materiale medico che all’inizio dell’epidemia hanno minato la fiducia tra paesi UE. Ad una filiera a raggio europeo occorre però anche una politica industriale a raggio europeo. Per garantire l’autonomia strategica europea, l’UE, nella sua New industrial strategy ha individuato alcune forniture critiche la cui produzione dovrà essere centrale per ridurre la dipendenza da attori stranieri: tecnologie, alimentari, infrastrutture, robotica, reti di comunicazione 5G, microelettronica, nanotecnologie, biomedicina, tecnologie dei quanti, farmaceutica, biomedicina e biotecnologie. Nella direzione di creare aggregati industriali europei va poi la formazione di alleanze specifiche tra le industrie dei paesi membri: dalla microelettronica alla plastica, alle batterie. Proprio in quest’ultimo campo si stanno realizzando le economie di scala e le sinergie tra le industrie dei paesi europei membri del progetto, tra cui Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Polonia, Italia e Svezia. 

 Tuttavia, proprio a livello europeo rischia di aumentare anche la competizione tra paesi membri.  Le catene del valore si costruiscono infatti attraverso complesse decisioni aziendali che delineano il percorso delle varie fasi di produzione nelle diverse località. Queste scelte non sono però assunte in totale autonomia dalle imprese: sono anzi favorite dagli indirizzi strategici degli Stati e dagli incentivi da essi forniti alla delocalizzazione di alcune fasi produttive. Ricostruire, consolidare o reinventare nuove catene del valore implicherà un aumento della concorrenza fra i sistemi economici nell’ottica di ridefinire il posizionamento strategico delle proprie imprese, soprattutto rispetto alle produzioni ad alto valore aggiunto, ridisegnando (o aiutando le rispettive imprese a ridisegnare) anche le loro catene del valore. Dinamiche che comportano anche il rischio di arrivare a un gioco a somma zero, dove l’eccessiva competizione potrebbe risultare estremamente dannosa per il conseguimento dell’efficienza economica, che predilige un contesto di cooperazione internazionale tra gli Stati. Una situazione in cui è quindi centrale la sintesi europea, e dove l’Italia dovrà definire una chiara politica industriale che identifichi i settori e le sinergie su cui puntare per  il rilancio del nostro paese. Settori e sinergie che non potranno essere - come tristemente la pandemia ha messo in luce -  solo moda, turismo e nicchie del lusso.

 

Verso una maggiore concentrazione industriale

In secondo luogo la crisi sta accelerando i processi di concentrazione industriale favoriti dal crollo della capitalizzazione delle principali industrie europee e dalla progressiva riduzione di liquidità disponibile che renderà una parte sempre più grande del tessuto industriale soggetto ad acquisizioni e fusioni.

Da una parte l’UE ha sottolineato che l’attuale vulnerabilità economica potrebbe determinare, senza gli adeguati strumenti, una svendita di infrastrutture e tecnologie critiche, con effetti per la sicurezza economica e strategica dell’interna Unione. Si è così legittimata la possibilità per gli Stati membri di acquisire partecipazioni azionarie nelle aziende nazionali, al fine di bloccare eventuali takeover  di soggetti esteri, in settori strategici. Con l’obiettivo di garantire liquidità alle imprese europee, da metà marzo la Commissione ha il potere di autorizzare gli Stati membri ad erogare sovvenzioni dirette e garanzie statali sui prestiti bancari, così come prestiti pubblici a tassi agevolati. Al 12 maggio l’UE ha autorizzato aiuti di Stati per circa 1.940 miliardi di euro. È interessante notare come il 54% delle autorizzazioni (pari a circa 1.000 miliardi) sia stato richiesto dalla Germania che, visto il basso tasso di indebitamento, ha margini fiscali più ampi per aiutare le proprie imprese. A seguire la Francia, con 350 miliardi e l’Italia, con circa 300 miliardi. Misure fondamentali anche alla luce del crollo previsto degli investimenti nell’UE nel corso del 2020: le ultime stime di primavera della Commissione prevedono un crollo degli investimenti nel corso dell’anno del -20,7% per la Spagna, -14,2% per l’Italia, -13,3% per la Francia e “solo” del -5,8% per la Germania,  cui si aggiunge una stima del -14,3% per il Regno Unito.

D’altra parte, è innegabile che la crisi accelererà processi di aggregazione e concentrazione intra-europei. Una tendenza già in atto da tempo, con grandi imprese cresciute nei rispettivi settori, e ciò sia negli Stati Uniti sia nell'UE (OCSE, 2019 e FMI, 2019). Un fenomeno favorito anche dalla crescente concorrenza con i “campioni nazionali” cinesi che, grazie a ingenti sussidi statali, specifiche politiche industriali e soprattutto grazie  alla legge dei grandi numeri di un mercato domestico protetto dalla concorrenza, hanno scalzato le imprese occidentali, suscitando un ampio dibattito sull’effettivo level playing field della  concorrenza anche in Europa.  In quest’ottica si erano mossi i tentativi di fusione tra la tedesca Siemens e la francese Alstom, che avrebbe portato alla creazione di un campione europeo in grado di competere efficacemente con i giganti cinesi. Un’operazione tuttavia bloccata dall’Antitrust europea che ha accresciuto i malumori dei governi francese e tedesco sfociati nel Manifesto comune per una politica industriale del XXI secolo, spingendo la stessa Commissione a varare una nuova Strategia industriale per l’Europa. La stessa Commissione riconosce la necessità di riformulare il proprio approccio per garantire la sovranità europea di fronte a strategie industriali dei principali competitor caratterizzate da un forte intervento dello Stato attraverso una riconfigurazione del quadro giuridico sulla concorrenza, in particolare per ciò che riguarda le regole riguardanti le fusioni tra soggetti di diritto europeo e la normativa sugli aiuti di Stato.

 

Quali conseguenze per l’Italia?

Una situazione particolarmente delicata per l’Italia il cui tessuto industriale, fatto di piccole e medie imprese spesso sotto-capitalizzate e dipendenti quasi totalmente dal sistema bancario per la loro liquidità ridotta, le rende prede privilegiate dei grandi gruppi stranieri, non solo cinesi ma soprattutto europei, specie nell’attuale fase di crisi. In quest’ottica si inserisce il decreto legge dell’8 aprile 2020 n.23, che ha esteso i poteri del golden power già esistenti per diversi settori considerati strategici anche al comparto alimentare e sanitario, alle assicurazioni e al sistema finanziario, con la possibilità di bloccare scalate straniere, porvi condizioni o intervenire direttamente con una partecipazione azionaria dello Stato nel capitale delle aziende. Due sono i punti di novità maggiormente rilevanti: l’applicabilità del golden power non solo alle grandi aziende ma anche alle Pmi, il che ne ampia enormemente il campo di applicazione; in secondo luogo, il golden power è ora applicabile anche ad acquisizioni da parte di soggetti dell’Unione europea. In quest’ottica, un ruolo fondamentale sarà quello della nostra intelligence economica, supporto indispensabile a difesa del tessuto economico del nostro paese, da cui dipendono in ultima analisi l’indipendenza politica e la capacità negoziale a Bruxelles dove verrà ridefinita la politica industriale dell’Europa.

Un quadro ancora incerto, dunque. Molto dipenderà dalla durata della crisi sanitaria e dalle conseguenze economiche che essa produrrà. Ciononostante un fatto è certo: nel prossimo futuro il mercato e il sistema industriale avranno bisogno di un approccio coordinato e sinergico tra iniziative nazionali ed europee, che ne assicurino la sopravvivenza e la possibilità di ripartire, ma che probabilmente inaugureranno anche una nuova stagione e un nuovo bilanciamento tra Stato e mercato nell’economia. 

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ISPI Centre for Business Scenarios
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