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Elezioni
Polonia: la ricetta nazional-conservatrice vince ancora
Matteo Tacconi
14 ottobre 2019

Dopo il conteggio del 91% dei voti il responso delle urne sembra limpido: per i prossimi quattro anni la Polonia sarà guidata ancora da Diritto e Giustizia (PiS). La percentuale incassata al Sejm (la Camera dei deputati polacca) dallo storico partito populista si attesta intorno al 44%, poco più di quanto previsto dagli exit poll. Maggioranza assoluta molto probabile, ma non sarà così netta. È per questo che Jaroslaw Kaczynski, leader del partito, ieri notte ha contenuto l’euforia al quartier generale del PiS. “Abbiamo avuto tanto, ma meritavamo di più”, ha detto a urne chiuse. In queste settimane la stampa di Varsavia ha ventilato l’ipotesi per cui Kaczynski potrebbe dismettere l’abito da eminenza grigia sin qui indossato per prendere il posto del premier Mateusz Morawiecki. Lui stesso ha smentito; non tutti gli hanno creduto.

Resto del voto: l’opposizione liberale si attesta attorno al 26%, le sinistre tornano in aula dopo una legislatura di purgatorio (12% circa), la strana coalizione tra gli agrari-popolari e il cantante Pawel Kukiz si aggira intorno al 9%, l’estrema destra di Janusz Korwin-Mikke è data al 6-7%. Al Senato, invece, le percentuali sia di maggioranza che opposizione sembrano lievemente maggiori: i dati parziali dicono rispettivamente 46% e 33%. Eppure, questo potrebbe non bastare per assicurare la maggioranza al Senato al PiS, fermandosi a 49 seggi su 100. Questo non influirebbe comunque sulla formazione dell'esecutivo, dal momento che il Senato in Polonia non esprime la fiducia, anche se potrebbe rallentare gli iter legislativi. 
Quanto all'affluenza, questa si è attestata al 61%, il dato più alto dalla fine del comunismo.

Le ragioni della vittoria del PiS si fondano sul binomio stabilità-instabilità. La crescita al 5% degli ultimi due anni, la disoccupazione ai minimi storici, il welfare generoso del governo (una rottura notevole per un paese che prima quasi non ne aveva) e gli investimenti dall’estero che continuano a piovere copiosi, hanno dato ai polacchi la sensazione che le fondamenta del paese, dopo una lunga transizione con alti e bassi, con vincitori e vinti, si stiano consolidando. Il PiS ha condotto la campagna elettorale assecondando questi umori positivi. Al contempo ha però costruito una contro-narrazione, agitando pericoli e fantasmi: la Germania, il vicino potente e ingombrante; la Russia con il suo revanscismo; Lech Walesa, traditore della nazione in combutta con i vecchi comunisti; l’Unione europea e il suo dogma liberista-liberale.

Fantasmi vecchi, e fantasmi nuovi. Tra i bersagli del PiS in campagna elettorale c’è stata la comunità LGBT, considerata una pericolosa avanguardia pagano-liberale desiderosa di distruggere la triade fede-patria-famiglia. La chiesa cattolica, tradizionale alleata dei populisti, ha fornito benzina per l’offensiva. Marek Jedraszewski, l’arcivescovo di Cracovia, ha definito le minoranze sessuali una “piaga arcobaleno” portatrice di una nuova ideologia totalitaria, dopo quelle nazista e comunista.

In questa campagna anche Donald Trump ha messo il timbro. Proprio alla vigilia del voto, il presidente americano ha incluso la Polonia nel Visa Waiver Program, sollevando i suoi cittadini dall’onere del visto. Varsavia chiedeva da anni questo passo. Ma c’è dell’altro. La Casa Bianca ha promesso l’invio di altri mille soldati in Polonia, che si aggiungeranno ai 4500 già presenti. Inquadrati nella NATO, garantiscono la protezione del fianco orientale polacco e dell’alleanza atlantica. In questo modo la Polonia di Kaczynski e Morawiecki conferma la sua linea sulla sicurezza, fondata sull’asse privilegiato con l’America più ancora che sul senso di appartenenza alla NATO. A Trump fa comodo, nella sua ottica di aprire crepe in Europa, annacquando la già discutibile coesione comunitaria.

Varsavia non si pone obiettivi così radicali (ma forse sottovaluta quelli di Trump). L’Europa le serve, è vantaggiosa. La ricca dote di fondi strutturali e agricoli concessa alla Polonia dall’allargamento del 2004 a oggi è uno dei motori della crescita del paese, ma tenere aperto il conflitto con l’Ue è altrettanto necessario. In questo Viktor Orban, cui Kaczynski si ispira (“porteremo Budapest a Varsavia”, fu uno degli slogan della campagna del 2015), ha insegnato molto. Tutto.

La Polonia continua a criticare l’Europa per la gestione della crisi dei rifugiati, come per molte altre cose. Parallelamente, rimane in piedi il contenzioso sulla riforma della giustizia, svuotata di indipendenza e costata a Varsavia una procedura d’infrazione da parte della Commissione. Ma ultimamente i toni si sono fatti più concilianti. Varsavia ha fatto qualche passo indietro, ha votato la nomina di Ursula von der Leyen alla presidenza dell’esecutivo europeo e ha messo il suo uomo, Janusz Wojciechowski, all’agricoltura. Tutto tranne che un portafoglio minore, dato che l’agricoltura assorbe il 40% del budget. Tra l’altro questi fondi, nel corso degli anni, hanno trasformato le piccole fattorie a conduzione familiare polacche in vere e proprie aziende agricole.

Stare dentro, ma contestando. Alzare l’asticella dello scontro, per poi abbassarla: questa la strategia polacca in Europa. Lo stesso può dirsi per il rapporto con la Germania. La chimica tra Angela Merkel e l’ex premier polacco Donald Tusk è un ricordo lontano e sfumato. La Polonia di Kaczynski accarezza il sentimento antitedesco che scorre nelle vene del paese, fomentato dalla memoria della Seconda guerra mondiale, dei sei milioni di morti (tre dei quali ebrei), dei campi di sterminio nazisti e delle città rase al suolo. Tant’è che Varsavia chiede a Berlino nuovi e più sostanziosi risarcimenti di guerra. Ma dietro questa postura conflittuale c’è un’altra realtà. Dal 1989 a oggi la Germania ha fatto della Polonia un retroterra industriale e commerciale. La penetrazione tedesca è particolarmente forte nella fascia occidentale del paese, dove ruggiscono città-tigre quali Danzica, Poznan, Breslavia e Cracovia. Anche i numeri parlano chiaro. La Germania è di gran lunga il primo partner commerciale per la Polonia, e la Polonia è diventata il sesto per la Germania, scavalcando il Regno Unito. Ora ha l’Italia nel mirino. A Varsavia non conviene cercare lo strappo con Berlino.

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Michele Valensise
Ambasciatore, Presidente del centro italo-tedesco per il dialogo europeo Villa Vigoni

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EUROPA 2019

AUTORI

Matteo Tacconi
Giornalista

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