Nel progetto di recupero di sovranità portato avanti da Jaroslaw Kaczynski, l’uomo forte di Varsavia, la “ripolonizzazione” dei media è un obiettivo cardinale, dichiarato esplicitamente dal 2015, l’anno in cui Diritto e Giustizia (PiS), il partito-guida della destra polacca, è tornato al potere dopo due legislature liberali.
Il mercato dei media è fluido e aperto, in Polonia. Molte testate, sia nazionali che regionali, sono controllate da capitali stranieri, con quelli tedeschi a giocare un ruolo di peso. Gruppi editoriali non puri, che raccontano il paese da una prospettiva berlinese, risentendo di logiche e interessi della Germania: questo grosso modo il ragionamento del governo polacco, presieduto da Mateusz Morawiecki.
Per anni il discorso sulla ripolonizzazione è stato molto teorico, e come un fiume carsico è scomparso e ricomparso di continuo. Dall’estate, è tornato a tenere banco, fino a realizzarsi nella pratica. È di qualche giorno fa la notizia che Pkn Orlen, l’azienda petrolifera dello stato, ha rilevato tutte le testate di Polska Press, il ramo polacco dell’editore tedesco Verlagsgruppe Passau. Da tempo manifestava l’intenzione di vendere.
È un’operazione pesante, che sposta da un editore privato e straniero a uno pubblico e polacco l’egemonia sul mercato locale della stampa. Polska Press lo dominava, editando una ventina di quotidiani regionali e più di cento settimanali cartacei diffusi nelle città, anche molto piccole, cui si aggiunge tutto il pacchetto web. Una potenza di fuoco che raggiunge 17 milioni di lettori, e una mole di dati eccezionale. Il colosso energetico intende interpretarli per migliorare le scelte di mercato, ha fatto sapere Daniel Obajtek, il suo presidente. Lettura che però non convince, visto che Obajtek, più che un servitore dello Stato, è un uomo del PiS, molto legato a Kaczynski. L’avanzata perentoria di Pkn Orlen nel mercato delle notizie, anticipata nei mesi scorsi dall’acquisto delle quote di Ruch, colosso nazionale nella distribuzione della stampa, ultimamente claudicante, segna così per molti l’avvio della ripolonizzazione. Il grosso favore che Obajtek rende al suo referente politico.
Il resto della storia è tutto da scrivere. Bisognerà capire se il nuovo editore piegherà agli interessi di PiS le testate controllate e in che misura, eventualmente, il flusso di notizie inciderà su quello delle opinioni. Qualcuno, inoltre, sostiene che i big data ora in possesso di Pkn Orlen possano essere utilizzati a scopi elettorali, in funzione del PiS. Si tratterà anche di vedere se il potere cercherà, tramite Pkn Orlen o con altri schemi, di far sue anche alcune testate nazionali (le più influenti sono controllate dal gruppo tedesco-svizzero Springer-Ringer). Le pressioni sono crescenti, e a quanto pare il governo penserebbe a una legge che limiti la concentrazione di capitale straniero nel settore. C’è insomma l’impressione che il dado sia stato scagliato; che un qualcosa sia cominciato.
Nel discorso sulla ripolonizzazione dei media, componente ideologica e dimensione progettuale si impastano. C’è la diffidenza verso la Germania, peraltro sempre capace di mobilitare voti. E c’è l’idea, mutuata dal programma di Viktor Orban in Ungheria, che in alcuni grandi comparti – stampa, banche, energia, supermercati e telecomunicazioni – il rapporto tra capitale autoctono e straniero debba riequilibrarsi per correggere la traiettoria della lunga transizione post-’89, ritenuta troppo favorevole al secondo.
Lentamente, il capitale magiaro ha riacquisito forza in questi settori. O con il riacquisto di asset pubblici o con l’intervento dei privati, come accaduto nel settore della stampa. Gli oligarchi vicini a Fidesz, il partito tentacolare di Orban, hanno fatto per anni uno shopping arrembante, donando poi le testate possedute, sia radio-tv, che cartacee e telematiche, a una fondazione di osservanza governativa.
Kaczynski, che è tornato al potere nel 2015 con lo slogan “portare Budapest a Varsavia”, segue la scia di Orban con alterne fortune. La Polonia ha più centri di resistenza – politica, economica, forse anche morale – rispetto all’Ungheria. È meno facile da “prendere”. Tuttavia, in una logica di recupero progressivo di fette di sovranità, viziata dalla fame di potere, la destra polacca non rinuncia a espandere il proprio raggio d’azione. L’offensiva sulla stampa regionale, perseguita con strumenti pubblici a differenza del caso ungherese, è un tassello del gioco.
L’espansione del potere passa anche dagli equilibri territoriali. In questi mesi di pandemia il governo ungherese ha messo in campo delle misure penalizzanti per le poche oasi di potere che resistono a livello locale. La gestione della tassazione delle zone economiche speciali è passata dai comuni (alcuni controllati dalle opposizioni) alle contee (tutte di Fidesz), mentre la legge di bilancio per il 2021 trattiene nella pancia del governo una quota delle risorse degli enti locali. Il comune di Budapest si troverà a dare, più che a ricevere: non capitava da decenni. E Budapest esprime un sindaco di opposizione, Gergely Karacsony, che forse nutre qualche ambizione in vista delle legislative del 2022. Orban lo vuole affossare, dicono in molti.
In Polonia la partita è simile. A fine ottobre la Dieta, la camera bassa del Parlamento, ha approvato una legge che riduce la quota dell’imposta sulle persone fisiche trattenuta dagli enti locali. Diversi sindaci delle grandi città polacche spiegano che se la legge passasse alla fine dell’iter parlamentare (ora è al Senato, poi tornerà alla Dieta) dovrebbero modificare i bilanci tagliando su infrastrutture, alloggi sociali e altre spese previste. E molti di quei sindaci sono esponenti dell’opposizione liberale, che ha nelle aree urbane i fortini del suo consenso.
Parallelamente, suscita polemiche il modo in cui l’esecutivo sta gestendo il Fondo governativo per gli investimenti locali, strumento istituito per sostenere gli enti locali in questa difficile fase di crisi sanitaria ed economica. Mentre la prima parte di finanziamenti (1,3 miliardi di euro) era stata concessa proporzionalmente a tutti gli enti locali, la seconda, da circa un miliardo di euro, è andata soprattutto ai comuni piccoli e rurali guidati da maggioranze filo-governative. L’opposizione accusa: è una mancia elettorale.
La frattura tra potere centrale e potere locale, tra populisti e liberali, sale dunque di tono. E lo fa, come nel caso della ripolonizzazione dei media, dopo la rielezione alla presidenza di Andrzej Duda, a luglio. Non è un dettaglio. La sua conferma a palazzo ha scongiurato lo spettro di un veto presidenziale, non ribaltabile dall’attuale maggioranza parlamentare (servono i due terzi). Da qui al 2023, quando si rinnoverà il Parlamento, sarebbe stato l’unico grande ostacolo al dominio della maggioranza e al progetto di espansione del potere.