Gli effetti negativi della pandemia sul traffico commerciale dei porti sono stati rilevanti in tutto il mondo. Gli analisti hanno stimato, per i primi quattro mesi del 2020, una riduzione media, a livello globale del 4,5%, (a Shanghai il traffico container è calato dell’8,5%, a Rotterdam del 4,7%, (Fonte Smr). Il traffico crocieristico è addirittura crollato al 70-80%.
In Italia la riduzione dei traffici si è attestata intorno all’11%, rispetto al 2019 (Genova - 18%, Trieste - 5%; in contro tendenza il porto transhipment di Gioia Tauro + 21%). I settori più colpiti sono stati le rinfuse solide e il general cargo, in relazione al calo delle attività produttive industriali. Una lenta ripresa è prevista nel corso del 2021.
Specificità del sistema portuale nazionale
Sempre in Italia, il DL 169/2016 ha istituito 15 Autorità di sistema portuale, cui si è aggiunta L’Autorità dello Stretto di Messina. Realisticamente troppe. Nell’insieme si tratta di 58 porti distribuiti su circa 7.456 Km di costa. L’Italia per la sua posizione geografica, al centro del Mediterraneo, dove si concentra circa il 30% del trasporto marittimo (in crescita per il raddoppio del Canale di Suez) si trova in una condizione strategica. Una piattaforma protesa sul mare, vicina alle grandi rotte marittime, ma non in grado valorizzarne pienamente le potenzialità commerciali. L’offerta delle infrastrutture portuali è oggettivamente distribuita e parcellizzata.
Una pluralità di scali, quindi, rispetto alla concentrazione portuale del Nord Europa. Amburgo, Rotterdam, Anversa intercettano il 70% del trasporto marittimo dei loro Paesi. In Italia il traffico container, il comparto maggiormente significativo per il settore manifatturiero, ammonta negli ultimi anni intorno ai 10 milioni di TEU , tanti quanti vengono movimentati nel solo porto di Rotterdam. Mentre i porti del Northern Range hanno subito consistenti processi di decentramento, distaccandosi dai nuclei urbani (Amburgo, Rotterdam, Anversa sono collocati su grandi estuari che agevolano ampliamenti e delocalizzazioni), i nostri porti sono inglobati all’interno di un territorio fortemente urbanizzato, sia sul versante entroterra che lungo la costa.
In queste condizioni è oggettivamente difficile realizzare intorno ai porti piattaforme logistiche in cui integrare, come nel Northern Range, non solo modalità diverse di trasporto (dalla ferrovia alle idrovie) ma anche aree produttive e di servizio. Un confronto con i porti del Northern Range è insostenibile: diverso il contesto geografico, amministrativo, culturale, tecnologico.
La geografia e la storia contano: l’Italia è il Paese dei cento campanili e dei cento porti intimamente intrecciati tra loro in contesti estremamente diversificati. Per poter competere occorrono strategie originali che partono dai condizionamenti strutturali, trasformando le criticità in valore. In questa prospettiva, un segnale positivo viene dalla ricerca di nuovi rapporti tra porti, aree retroportuali, interporti e le previste zone logistiche e produttive (ZES e ZLS).
Da una sommaria analisi dei dati del traffico merci nei nostri porti negli ultimi anni (2016-2019), emerge con chiarezza che il volume complessivo resta stabile (intorno ai 480 milioni di tonnellate. Analisi più approfondite potranno attestare che una parte del movimento ha origine e destinazione nei Paesi di oltralpe (Genova e Trieste operano in questa direzione), ma il grosso del traffico portuale è legato ancora al mercato interno, ai rifornimenti energetici, ai processi produttivi, all’import-export, ai consumi.
Se si analizza l’articolazione merceologica delle merci imbarcate e sbarcate nei porti italiani si rilevano alcuni caratteri strutturali: le rinfuse liquide incidono del 37% sul totale, le tonnellate dei container sono di poco superiori a quelle del comparto Ro-Ro (23% e 22%). Per cui non solo container e grandi navi, ma anche navi traghetto e autostrade del mare. Questo è un dato molto importante, da valutare con attenzione nel rilancio della nostra portualità nel bacino del Mediterraneo. Il versante Adriatico-Ionico assorbe un traffico merci nettamente inferiore rispetto al Tirrenico, ma i rapporti potrebbero variare se si affermasse maggiormente il ruolo dei porti adriatici nel sistema BRI (la Belt Road Initiative che connette l’Europa alle regioni del Far East), e nell’interscambio con i Paesi balcanici (in prospettiva potrebbe avere senso promuovere un corridoio trasversale Tirreno- Adriatico)
Nella valutazione del traffico container vanno distinti i flussi relativi al trasbordo da quelli rivolti all’hinterland. Mentre i primi attengono ai porti transhipment, i secondi sono legati alle esigenze dei territori. L’analisi dei dati, rivela la stretta relazione dei porti con un vasto entroterra, verso destinazioni produttive e di consumo e nodi di scambio come gli interporti. Emerge con evidenza una realtà territoriale su cui si sa poco e che incredibilmente è poco approfondita nei documenti governativi.
I container movimentati per il territorio rappresentano il 70% del totale. A Gioia Tauro per converso il transhipment assorbe per intero il traffico portuale. Nello spazio di un decennio il quadro funzionale che assegnava ai porti di Gioia Tauro, di Taranto e di Cagliari il ruolo di porti transhipment è completamente mutato: Gioia Tauro ha perso il suo primato nel Mediterraneo (dove si affermano sempre di più i porti della sponda meridionale come Tanger Med e Porto Said), ma resiste in Italia (dopo l’ingresso del terminalista MSC, la Mediterranean Shipping Company di Aponte, ha avuto una forte ripresa); Cagliari e Taranto sono in crisi da tempo (a Cagliari è stata revocata la concessione a Contship, mentre a Taranto dopo l’uscita di Evergreen è subentrata da poco la società turca Ylport). Il transhipment è oggi distribuito su una pluralità di porti da Genova a La Spezia, a Trieste ma, mentre nei primi due il transhipment incide intorno al 12% del totale, a Trieste sale al 40%.
Tra Europa e mercato interno
Intercettare parte del traffico marittimo che transita nel Mediterraneo per trasferirlo in Europa non sarà facile, ma è un obiettivo da perseguire. I nostri porti non sono ancora competitivi sul piano dell’efficienza, della rapidità delle procedure doganali e di controllo, dei costi di trasporto, sui tempi di consegna (secondo il Global Competitiveness Index l’Italia risulta al 49° posto). Le criticità infrastrutturali sono diffuse (bassi fondali, accosti insufficienti per le nuove dimensioni delle navi, insufficienti spazi per la movimentazione e lo stoccaggio dei contenitori, inadeguata accessibilità marittima, ultimo miglio). Manca un sistema logistico avanzato, imperniato sulla intermodalità, sulle connessioni tra porto e reti stradali e ferroviarie, tra porto e corridoi TEN-T. A tutto questo si aggiunge la scarsa qualità ambientale delle aree portuali: la UE ha posto la questione dei green ports come uno degli obiettivi da perseguire attraverso il Recovery Plan.
Relativamente al trasporto container via treno, solo pochi porti hanno quote modali significative. Secondo uno studio dell’Isfort del 2019 Trieste e La Spezia, con circa il 30%, raggiungono livelli di rilievo; seguono, con quote minori, Genova e Livorno. Per realizzare con efficienza il trasferimento su treno dei contenitori occorrono piazzali di grandi dimensioni in grado di consentire la formazione di convogli almeno di 600-750 metri (ma l’orientamento internazionale è utilizzare convogli ancora più lunghi). Al gigantismo delle navi si aggiunge ora quello dei treni. Questo appare lo scenario che incombe sui porti italiani maggiori. Trieste è il porto che ha investito con più successo nella logistica intermodale, non solo relativamente ai contenitori, ma anche per il trasferimento su treno di semirimorchi, casse mobili e camion. Ma se Trieste si propone come porto di riferimento per l’Europa Centro-Orientale, Genova si prepara a interagire con il versante europeo occidentale (l’apertura del Terzo Valico, attesa nel 2023 e la ultimazione del tunnel del Ceneri in Svizzera, connetteranno Genova direttamente Rotterdam).
Due linee d’intervento
Dal quadro prima esposto due linee d’intervento sembrano quindi delinearsi: investire in infrastrutture portuali e tecnologia nei porti e nel territorio per aprirsi al mercato europeo e nello stesso tempo consolidare e innovare l’esistente che già ora rappresenta un patrimonio infrastrutturale di base di notevole consistenza.
Per la maggioranza dei porti si tratta di intervenire sulle connessioni con la rete autostradale e ferroviaria, superando le difficoltà di un “ultimo miglio” che inevitabilmente attraversa un contesto densamente urbanizzato. Altri interventi attengono invece alla riorganizzazione e ampliamento degli spazi esistenti, alla escavazione dei fondali e allo smaltimento dei fanghi, alla rifunzionalizzazione, in una prospettiva di coordinamento, dei porti ricadenti nelle competenze delle Autorità di sistema portuale.
La distribuzione dei porti lungo le coste a una distanza l’uno dall’altro relativamente breve, se da un lato porta a una disarticolazione dell’offerta, dall’altro consente di servire in modo puntuale una pluralità di contesti locali. Anche questo è un aspetto caratterizzante il sistema portuale nazionale che va considerato con attenzione. Esso mette in rilievo lo stretto rapporto tra portualità e territorio. In fondo, per i porti potremmo parlare di territorializzazione del mare e territorializzazione dell’entroterra.
Molto verosimilmente dovremmo introdurre criteri di gerarchizzazione e specializzazione, individuando i porti realmente funzionali allo sviluppo dei nostri rapporti commerciali, quelli più vocati allo scambio con l’Europa, quelli di sostegno della nostra economia industriale, quelli legati sviluppo turistico. Per i porti di piccola dimensione forse è ragionevole restituirne la competenza alle Regioni e ai Comuni.
Scommessa mediterranea
Il Mediterraneo è lo scenario da non perdere di vista, fa parte della nostra storia e della nostra identità. I porti hanno reso il Mediterraneo un intreccio di “vie marittime e terrestri collegate tra loro e quindi di città che si tengono per mano”. La bella immagine di Braudel ha ancora senso, soprattutto per il nostro Paese. Nell’area mediterranea e nel Medio Oriente si concentra una parte significativa del nostro interscambio marittimo. Solo questo è sufficiente a confermare la centralità del Mediterraneo per la tenuta della portualità nazionale, che va ricordato, è fortemente caratterizzata dal traffico Ro-Ro, Ro-Pax, ovvero da una rete di autostrade del mare sostenuta da una flotta traghetti d’eccellenza. Il Mediterraneo è al centro d'interessi geopolitici ed economici: dall’energia, al commercio, alla pesca.
Ma c’è di più: è previsto uno forte sviluppo, non solo demografico, ma anche economico del continente africano e in particolare della sua costa settentrionale. La Cina non solo sta portando avanti una strategia di posizionamento commerciale-infrastrutturale in Africa, ma ha rivolto la sua attenzione sul sistema portuale mediterraneo come nodo di smistamento e ramificazione in Europa delle supply chains che corrono lungo le nuove Vie della Seta, che altri non è se non una filiera di porti connessi ad aree ZES di elaborazione delle merci.
Tutto questo fa del Mediterraneo uno spazio di rilevanza strategica, dove la dimensione globale si confronta con le specificità nazionali e regionali. È proprio in questo difficile contesto che il nostro sistema portuale e in particolare quello meridionale troverà un ambito operativo primario.
Riferimenti bibliografici
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- Isfort, Un treno che viene dal mare. Il futuro del trasporto intermodale, tra innovazione tecnologica, nuovi modelli di business e impatti sul territorio, Ottobre 2019, www.isfort.it
- Srm, (Studi e Ricerche per il Mezzogiorno) L’impatto del Covid-19 sui trasporti marittimi: rotte strategiche e scenari globali. Intermodalità e sostenibilità chiavi del rilancio italiano, www.srm-maritimeeconomy.com
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- Srm (Studi e Ricerche per il Mezzogiorno) Trasporto marittimo e sviluppo economico, Giannini Editore, Napoli 2012