Con l’avvio ufficiale del 2 dicembre 2019, il gasdotto Power of Siberia diventa realtà. Il gasdotto appena inaugurato è la principale infrastruttura nel trasporto di gas naturale in tutto l’oriente russo. Power of Siberia si estende per circa 3000 km, dagli enormi giacimenti siberiani di Kovyktinskoye e Chayandinskoye sino a Blagoveshchensk, la città russa sul fiume Amur che segna il confine fra Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese.
Sia Vladimir Putin che Xi Jinping hanno partecipato alla storica inaugurazione, un evento che secondo il presidente russo eleva la cooperazione energetica bilaterale a un “nuovo livello”. La cooperazione in campo energetico fra Russia e Cina è a tutti gli effetti uno dei perni della partnership strategica fra i due paesi, e rappresenta una vera e propria sfida alla leadership americana, sia in ambito commerciale che politico.
La firma definitiva del contratto, dal valore di 400 miliardi di dollari, era stata annunciata a Shanghai nel maggio del 2014, agli albori della crisi in Ucraina e a poche settimane dall’annessione della Crimea alla Federazione Russa. Allora furono in molti a leggere l’evento come il punto di svolta in cui Mosca cercava la spalla di Pechino per sostenere il peso diplomatico ed economico dell’allontanamento forzato dall’Occidente. Per la verità, i progetti russi di costruzione di oleodotti e gasdotti verso i mercati asiatici rappresentano un lungo obiettivo, ricercato sin dai tempi della prima presidenza Yeltsin. Il contratto legherà Russia e Cina per i prossimi 30 anni, sulla base di una fornitura annuale di 38 miliardi di metri cubi di gas, più dell’intero consumo annuale di gas del Brasile. Le condutture entreranno a pieno regime soltanto nel 2025, quando lo sviluppo di entrambi i giacimenti sarà completo.
La Russia è il primo esportatore di gas naturale al mondo, con oltre 247 miliardi di metri cubi di gas esportati nell’arco del 2018, 200 dei quali diretti verso i mercati europei, fra cui anche l’Italia, che nel 2018 si attesta come il terzo importatore, dopo Germania e Turchia, con circa 22 miliardi di metri cubi. L’esportazione di risorse naturali, primi fra tutti petrolio e gas, è una componente fondamentale del bilancio statale russo. Secondo il servizio doganale, nel bimestre agosto-settembre 2019 l’export di idrocarburi è stato pari al 65,38% dell’intero volume di esportazioni della Federazione e nel 2018 l’intero settore è contato per oltre il 40% delle entrate di bilancio.
La Cina rappresenta invece il principale mercato in espansione per quanto riguarda il gas naturale. L’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) stima che fra il 2018 e il 2024 Pechino conterà per circa il 40% dell’intera crescita globale nel consumo di gas naturale. La crescita è frutto di misure fortemente supportate dal governo di Pechino, il quale vede come prioritaria l’implementazione di politiche energetiche volte alla riduzione dell’utilizzo del carbone nella produzione di energia, che al momento è pari al 58%. L’utilizzo del gas naturale è alla base del Piano d’Azione Nazionale per il Controllo dell’Inquinamento, promulgato dal governo cinese nel 2013 e aggiornato nel 2018. Pechino ha incrementato, nel solo 2018, il consumo di gas naturale del 17% rispetto l’anno precedente, mentre le importazioni sono cresciute, nel giro di soli 12 mesi, del 30,8%.
Lo sviluppo di una nuova rete di gasdotti, a sua volta collegati a nuovi centri di produzione e giacimenti sinora non sfruttati nei distretti più orientali della Federazione, è vista dal Cremlino come un’iniziativa epocale per lo sviluppo di queste regioni. Le stesse, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, hanno subito un lento e costante fenomeno di spopolamento ed emigrazione verso altre regioni della Russia, registrando un declino medio maggiore al 20%, con punte che raggiungono il 70% della popolazione.
Al momento, il Circondario Federale dell’Estremo Oriente, uno degli otto che compongono la Federazione ed allo stesso tempo il più esteso ma meno popoloso, è dotato di una rete di gasificazione che copre l’intera regione per solo il 13%. Il Circondario federale della Siberia, una regione dalla superficie pari a più di sette volte le dimensioni della Francia, con capitale Novosibirsk, raggiunge a malapena il 6,8% contro una media nazionale che si attesta ai 67,2%.
È chiaro dunque che lo sviluppo del programma di gasificazione delle regioni orientali della Federazione Russa non mira soltanto ad incrementare l’accesso ai mercati esteri, ma è vista dal Cremlino come una misura necessaria allo sviluppo industriale e sociale dell’intera regione. Nel 2015 lo stesso Putin rese chiaro che il futuro dell’Estremo Oriente della Russia è uno dei “centri chiave per lo sviluppo socio-economico del paese, il quale deve essere effettivamente integrato con lo sviluppo della regione dell’Asia-Pacifico”.
Come affermato da Nikolai Patrushev, Segretario del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa, i buoni rapporti fra Russia e Cina si sono gradualmente sviluppati basandosi sui “principi di trasparenza e rispetto reciproco". Il rafforzamento del dialogo con Pechino rimane per Mosca “una priorità assoluta e di lungo periodo” capace di assicurare sia interessi come la stabilità sociale ed economica, che obiettivi di più ampio respiro che riguardano la sicurezza nazionale. Lo sviluppo della Siberia orientale e dell’Estremo Oriente russo rimangono dunque intrinsecamente legate alla prosecuzione dell’integrazione in atto fra Federazione Russa e i mercati dell’Asia Orientale, non soltanto dunque Cina, ma anche Giappone, Corea del Sud e parzialmente anche il Sudest asiatico.
La crescente interdipendenza energetica fra Mosca e Pechino è una chiave di lettura molto importante dei rapporti fra due governi e le cui ricadute sono di estrema rilevanza nel lungo termine. Basti pensare che dal maggio 2019, a causa della guerra commerciale fra Washington e Pechino e dei dazi imposti da quest’ultima sulle importazioni di gas naturale liquefatto dagli impianti americani, nessun cargo è salpato verso la Cina. Il presidente di PetroChina, il braccio esterno del colosso cinese China National Petroleum Corporation (CNPC), ha affermato che, in assenza dello scontro fra Stati Uniti e Cina, il gas americano avrebbe rappresentato una “fonte molto promettente di crescita per la Cina”.
La partnership energetica però non si ferma ai rapporti bilaterali e Mosca può contare sugli investimenti e le tecnologie fornite da Pechino anche nell’ambito dello sviluppo dell’Artico, per i progetti di Yamal LNG e Arctic LNG-2. A questi, oltre la francese Total, che dapprima ha investito nell’Artico russo, si sono aggiunte diverse società giapponesi consorziate in un unico ente, il tutto nonostante la presenza delle sanzioni commerciali imposte da Stati Uniti ed Unione Europea nei confronti delle stesse compagnie russe.
Contro le aspettative di molti osservatori, Power of Siberia è entrato in funzione addirittura 18 giorni prima dei piani concordati, e Mosca e Pechino stanno già negoziando per la costruzione di un nuovo gasdotto, che collegherà l’Artico con il mercato cinese passando attraverso la Mongolia. Questa volta però, ad essere sul tavolo delle negoziazioni è lo stesso gas proveniente dai giacimenti da cui i paesi europei, Italia compresa, si riforniscono. Una nuova era della geopolitica dell’energia e del gas naturale sembra essere alle porte.