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ISPI DataLab

Profughi ucraini, i confini della solidarietà

11 marzo 2022

A due settimane dall’invasione russa dell’Ucraina, gli effetti della guerra sulle persone sono stati devastanti. Ai milioni di sfollati interni (un numero incerto e in continuo aggiornamento) si aggiungono i 2,3 milioni di persone che hanno già lasciato il proprio paese, quasi tutti verso l’Unione europea.
Dall’inizio dell’emergenza, molti paesi europei hanno promesso di fare “la loro parte”. In effetti, diversamente dalla crisi dei rifugiati del 2015, le frontiere europee con l’Ucraina sono sempre rimaste aperte e gli Stati Ue hanno adottato misure eccezionali per accogliere chi fugge.
Ma uno spostamento così grande e rapido di persone presenta dei costi altrettanto elevati: quelli per l’accoglienza. Se davvero i governi europei volessero “fare la loro parte”, già oggi dovrebbero mobilitare 23 miliardi di euro all’anno (più di 2,5 miliardi la sola Italia) per far fronte ai costi diretti dell’accoglienza. A oggi, tuttavia, l’Ue ha promesso solo 420 milioni di euro di nuove risorse, l’Italia circa 54 milioni.

 

 

Nel giro di due settimane, oltre 2,3 milioni di persone hanno già lasciato l’Ucraina dirette verso l’Unione europea. Di questi circa 1 milione sono ragazze e ragazzi minorenni, spesso bambine e bambini, in numero crescente non accompagnati da adulti.

L’esodo da una zona di guerra si è trasformato nella più grande emergenza umanitaria in Europa dal secondo dopoguerra. In soli 14 giorni hanno lasciato l’Ucraina più profughi di quelli che erano stati causati dalle guerre dei Balcani, dalla guerra del Kosovo del 1999, o che erano giunti in Europa nel corso della “crisi dei migranti” del 2015-2016.

Certo, si tratta ancora di poco più della metà dei rifugiati accolti dalla Turchia sul proprio territorio dal 2011 (la maggior parte dei quali siriani). Ma quel numero, oltre 4 milioni, potrebbe essere raggiunto e superato nelle prossime settimane.

Di fronte a una crisi di portata così grande, molti paesi europei (inclusa l’Italia) hanno promesso di fare la propria parte. Ma cosa significa in concreto?

 

 

Venerdì scorso i governi UE hanno deciso all'unanimità di istituire un meccanismo di protezione temporanea per i profughi provenienti dall’Ucraina. La protezione temporanea, prevista da una direttiva del luglio 2001, non era mai stata attivata in precedenza e permette a chi proviene dall’Ucraina di soggiornare, lavorare, ricevere istruzione e assistenza sanitaria sul territorio UE senza dover prima presentare domanda d’asilo. Ha una durata di un anno ed è rinnovabile di sei mesi in sei mesi, fino a un massimo di 3 anni.

Ma questa è, o almeno dovrebbe essere, solo la punta dell’iceberg della “solidarietà” europea. Come in molti ricordano bene, dal periodo degli alti sbarchi del 2014-2017, un’accoglienza reale ed effettiva costa. Secondo il Governo italiano accogliere una persona ucraina costerà circa 10.000 euro l’anno, 27 euro al giorno. Per questo motivo settimana scorsa l’Italia ha messo a bilancio 54 milioni di euro per gestire l’emergenza, mentre questo martedì la Commissione europea ha promesso 420 milioni di euro aggiuntivi, oltre all’utilizzo straordinario di parte di altri fondi europei (React EU e i fondi di coesione regionali) che, tuttavia, non sono risorse aggiuntive.

Anche così, le risorse addizionali impallidiscono rispetto al costo dell’accoglienza. Con i numeri di arrivi attuali (2,3 milioni di persone) e il costo annuo stimato per persona dal Governo italiano (10.000 euro l’anno) è semplice calcolare che i paesi UE dovrebbero mettere a bilancio circa 23 miliardi di euro l’anno. Nel grafico qui sopra tentiamo di quantificare cosa significherebbe “fare la propria parte” per ciascun paese UE.

Abbiamo ripartito gli arrivi di profughi ucraini in Europa seguendo gli stessi criteri delle “quote” che furono utilizzate nel 2015-2018 per ricollocare richiedenti asilo nei diversi Stati membri UE secondo principi di solidarietà. Queste quote si basavano per il 40% sulla popolazione di ciascun paese, per il 40% sul suo PIL, per il 10% su quanto già fatto nell’accoglienza dei rifugiati e per il 10% sul tasso di disoccupazione.

Dal momento che questa volta i ricollocamenti non avverranno, perché i profughi ucraini dispongono di una protezione temporanea che permette loro di spostarsi ovunque in Europa, si tratta di capire quanto i Paesi che riceveranno meno profughi rispetto alla loro “giusta quota” dovrebbero aiutare finanziariamente gli altri. Fatti i dovuti calcoli raggiungiamo un totale di circa 2,5 miliardi per l’Italia (da mettere a confronto con i 4 miliardi di euro che dovrebbe sborsare la Germania e i circa 3 della Francia). Adesso la domanda è: sapremo fare la nostra parte?

 

 

 

 

L’Italia e gli altri governi europei decideranno di aiutare concretamente, dunque impegnando sostanziali risorse finanziarie, quei paesi che ricevono la gran parte del flusso di profughi?

La domanda non è retorica. E non lo è tanto più perché i paesi UE che oggi hanno bisogno di un aiuto da parte degli altri erano proprio quelli che nel 2015, quando sarebbe toccato a loro dimostrarsi solidali nei confronti di Grecia e Italia, si rifiutarono di esserlo. Oggi, infatti, quasi tre profughi ucraini su quattro si trovano in Polonia (il 63% del totale) o in Ungheria (un altro 10%).

E Polonia e Ungheria sono precisamente i due paesi che, assieme alla Repubblica Ceca, nel 2015 intentarono una causa contro la Commissione europea per evitare di dover applicare il meccanismo di ricollocamento, e di essere dunque “costretti” ad accogliere richiedenti asilo sul proprio territorio, per poi valutarne la domanda.

Una ultima, importante, considerazione giunge dalla constatazione che, già prima dell’emergenza attuale, la diaspora ucraina si distribuiva in maniera molto disomogenea nei paesi UE. Mentre tra 1 e 2 milioni di persone ucraine già abitavano in Polonia (la maggior parte di queste fuggite dopo il conflitto russo-ucraino del 2014), la seconda diaspora per dimensioni si trova inItalia, con oltre235.000 persone. Si tratta di un numero elevato anche se proporzionato alla popolazione: in tal caso saremmo quinti su 27 paesi europei, dietro a Polonia, Repubblica Ceca, Lituania ed Estonia.

Se è realistico che ogni persona ucraina già presente in Europa sarà raggiunta da uno o due componenti fuggiti nel corso dell’esodo attuale, l’Italia potrebbe essere uno dei paesi maggiormente interessati da questo flusso. E, a seconda del numero assoluto di persone che lascerà l’Ucraina al termine della crisi, potrebbe essere persino uno dei paesi destinato a ricevere aiuti netti dagli altri per l’accoglienza di queste persone, anziché tra quelli che si troverebbero chiamati a contribuire all’accoglienza con maggiori risorse da trasferire agli altri paesi.

Tutto sta nel capire quanto davvero vogliano “fare la loro parte” i paesi europei per farsi carico dell’accoglienza di chi fugge. In massima parte donne, bambini e anziani che altrimenti saranno destinati a un futuro di marginalizzazione e povertà.

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