Da circa metà settembre ad Haiti è in corso una escalation di proteste contro il governo del primo ministro Ariel Henry a seguito del taglio dei sussidi stanziati per calmierare il prezzo del carburante. La decisione del governo aggrava le condizioni economiche della popolazione, che già soffre per la mancanza nel paese di beni di prima necessità. Alla crisi economica si aggiunge poi la crisi politica e sociale amplificata dalla morte nel luglio 2021 dell’allora presidente Jovenel Moïse. Gli sviluppi politici che sono seguiti hanno causato grande instabilità nel paese e rafforzato gruppi armati che si contendono il controllo di porzioni della capitale e diffondono un clima di violenza e insicurezza su tutto il territorio Haitiano. Alcuni leader della regione sono arrivati addirittura parlare di una “guerra civile a bassa intensità”. Ma le causa della drammatica situazione in cui versa l’isola sono diverse e assai profonde.
Haiti, tristemente conosciuta da anni come “il paese più povero del mondo occidentale” e regolarmente esposta ai disastrosi effetti del cambiamento climatico, affronta sfide socioeconomiche e politiche ricorrenti, che affondano le radici in problemi strutturali radicati e in un passato drammatico. Ex colonia più proficua dell’impero francese, la repubblica di Haiti venne proclamata nel 1804 a seguito della rivolta di schiavi ed ex-schiavi vittime della tratta atlantica (dall’Africa dell’ovest verso l’America latina). Per paura che l’esempio della rivoluzione haitiana ispirasse altre rivolte di schiavi in patria, Haiti è stata a lungo isolata diplomaticamente ed economicamente. Inoltre, la neonata repubblica ha pagato cara la sua libertà: ha finito di risarcire ai francesi un debito di 560 milioni di dollari solo un secolo dopo la proclamazione dell’indipendenza.
Dal 2018, il paese ha subito un profondo e preoccupante deterioramento del contesto socioeconomico, politico e di sicurezza. Poco dopo il suo insediamento nel 2017, il governo dell’ex presidente della repubblica, Jovenel Moïse, è stato screditato da un rapporto del Senato haitiano relativo a uno scandalo di appropriazione indebita di 2 miliardi di dollari. L’accusa è di aver sostenuto un programma illecito di riduzione del prezzo del petrolio destinato allo sviluppo delle infrastrutture del paese. Nonostante le proteste, Moïse ha continuato a governare per decreto dal gennaio 2020 fino alla sua morte, nel 2021, avvenuta a seguito di un attacco da parte di un commando armato internazionale guidato da ex funzionari Haitiani. Questi anni sono stati dunque caratterizzati da un progressivo indebolirsi delle istituzioni e del ruolo dello stato. Il vuoto di potere è stato colmato dalla nascita e dal rafforzarsi di numerosi gruppi armati, spesso finanziati e sfruttati da attori politici e dal settore privato per tutelare i propri interessi.
Già alte negli anni precedenti, le richieste di sostegno e aiuti umanitari sono aumentate nel 2021, complici la pandemia da COVID-19 e un terremoto di magnitudo 7,2 che ha colpito il paese il 14 agosto, coinvolgendo più di 800.000 persone. La situazione attuale è allarmante: secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, oltre il 40 per cento della popolazione ha bisogno di aiuti umanitari. Non si prevedono immediati miglioramenti, con gravi conseguenze circa i livelli di sicurezza interna e violenze (compresa quella di genere), sfollamento, insicurezza alimentare, malnutrizione e accesso ai servizi di base. A questo si aggiungono i rischi climatici e la minaccia di eventi naturali estremi di cui Haiti è già stata vittima. Inoltre, le azioni degli oltre 100 gruppi armati, che controllano la maggior parte della capitale - Port-au-Prince - nonché gli scarsi collegamenti stradali fra l’area metropolitana e il resto del paese, ostacolano la vita della popolazione haitiana e impediscono la distribuzione di aiuti umanitari e di beni primari come il carburante.
A ottobre, la notizia di nuovi casi di colera confermati dall’OMS ha messo inoltre in allarme il paese. In un contesto dove la maggior parte delle abitazioni non hanno servizi igienici adeguati e accesso all’acqua potabile, si teme per il ritorno di una un’altra epidemia, dopo che il batterio causa dell’infezione era stato debellato -si sperava per sempre- nel febbraio 2022 . La precedente epidemia da colera si era diffusa a seguito del terremoto del 2010 e aveva causato quasi 10.000 morti e colpito più di 800.000 persone.
Per cercare di far fronte al deteriorarsi della situazione, il governo di Haiti ha richiesto l’intervento delle forze di sicurezza ONU a sostegno della scarsamente equipaggiata polizia nazionale. Tuttavia, per ora la richiesta sembra essere caduta nel vuoto. I caschi blu dell’ONU, presenti nel paese dal 2004 al 2017 con una missione di stabilizzazione – MINUSTAH - seguita da una missione di supporto alla giustizia – MINUJUSTH-, hanno lasciato il paese nel 2019, dopo più di 15 anni. La loro presenza è stata segnata però da scandali, tra cui episodi di violenza sessuale e un'epidemia di colera riconducibile al contingente nepalese. La settimana scorsa, Stati Uniti e Messico hanno proposto, in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, una risoluzione per sanzionare le bande armate presenti nel paese e per agevolare l'accesso degli aiuti umanitari inviati dalla comunità internazionale.
L’attuale presidente ad interim, Ariel Henry, accusato di complicità nella pianificazione dell'assassinio del suo predecessore, Moïse, e considerato illegittimo dalla maggior parte della popolazione, ha dichiarato che il governo si impegnerà ad organizzare delle elezioni appena il clima politico e di sicurezza lo permetterà. Tuttavia, considerata la situazione di crisi in cui riversa il paese da ormai anni, il momento propizio per lo svolgimento di elezioni democratiche e trasparenti non sembra essere vicino.
In un contesto in cui la comunità internazionale sembra avere dimenticato il paese, chiamato un tempo “la perla delle Antille”, e gli interventi degli attori umanitari non sono che un cerotto su una ferita che stenta a chiudersi, la risoluzione delle cause alla radice della crisi poggiano interamente sulle spalle degli haitiani. Come la storia ha già dimostrato, in questo specifico contesto non sarà un intervento esterno a poter portare alcun miglioramento . Al contrario, il cambiamento dovrà partire da Haiti stessa. Innanzitutto, il paese dovrà ritrovare una sua identità che funga da ethos costitutivo per una vera rivoluzione culturale, non più in opposizione ad un’ingerenza straniera, ma in grado di generare un dialogo che coinvolga tutti i diversi attori della società civile, la diaspora, le élites politiche e il settore privato.
Un movimento in questa direzione potrebbe essere l’approccio intrapreso da un gruppo di attori politici, economici religiosi e della società civile conosciuto come l’Accordo del Montana (dal nome dell’hotel Montana dove la conferenza è stata svolta). Sotto il nome di Commissione per la ricerca di una soluzione haitiana alla crisi e la leadership di Fritz Jean (presidente ad interim nel 2016), questo gruppo di attori manifesta la necessità di una rottura dal passato e di resistenza contro le potenze internazionali che tutelano uno “stato antinazionale”. Reclamano i diritti della popolazione alla vita, alla libertà, ad un accesso equo alle opportunità e alla ricchezza nazionale. Nell’immediato chiedono al regime de facto di rispettare la costituzione, ristabilire le istituzioni e permettere ai cittadini di determinare il proprio regime politico, onorando la democrazia alla base di questa repubblica così eroicamente conquistata tre secoli prima.