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Putin sospende i voli sul Paese
Proteste in Georgia: dove nasce la tensione
Samuele Dominioni
|
Eleonora Tafuro Ambrosetti
22 giugno 2019

Da due giorni la capitale della Georgia Tbilisi è teatro di grandi manifestazioni, sfociate anche in scontri con le forze dell’ordine. Motivo delle proteste, quanto accaduto nel Parlamento dell’ex repubblica sovietica: erano cominciati i lavori dell’Assemblea Inter-parlamentare sull’Ortodossia (con la partecipazione di 100 delegazioni da tutto il mondo), ai quali avrebbe partecipato anche una delegazione di parlamentari russi. Mentre era in corso l’intervento di Sergei Gavrilov, esponente del partito comunista russo, alcuni parlamentari georgiani dei partiti dell’opposizione – in particolare di Georgia Europea e del Movimento di Unità Nazionale (MUN), l’ex partito dell’ex Presidente Mikhail Saakhasvili – che avevano scelto di boicottare la seduta, sono entrati in aula e, interrompendo il dibattito, hanno intimato alla delegazione di uscire. Successivamente, Salome Samadashvili, parlamentare del MUN, ha rivolto un appello ai cittadini, di qualsiasi fazione politica, affinché si riunissero davanti al Parlamento, al fine di “proteggere la dignità” del Paese. A questo appello ha fatto seguito anche quello di 15 organizzazioni non governative, come Transparency International Georgia, Open Society Georgia Foundation, particolarmente attive e influenti in Georgia, che hanno dichiarato necessario rispondere all’intensificazione della guerra ibrida perpetrata dalla Russia nel Paese al fine di riportare la Georgia sotto la propria sfera d’influenza.

Le relazioni di Tbilisi, aspirante membro UE e NATO, con Mosca stavano andando incontro a un difficile processo di normalizzazione. Tale processo era iniziato nel 2013, quando la coalizione Sogno Georgiano (una coalizione a sei partiti creata dall'uomo d'affari Bidzina Ivanishvili, che aveva sconfitto il MUN nelle elezioni parlamentari del 2012) aveva ripristinato parte dei legami economici, culturali e umanitari con la Russia, favorendo un aumento dei flussi commerciali e della mobilità tra i due Paesi, sebbene le ferite della cosiddetta "guerra dei cinque giorni" o "guerra di agosto" tra Georgia e Russia, di cui l’anno scorso ricorreva il decimo anniversario, faticassero ancora a rimarginarsi. Le conseguenze del conflitto – che, seppur di breve durata, causò oltre 850 vittime e 100.000 rifugiati, secondo la Missione di inchiesta indipendente istituita dall'Unione europea – sono visibili tutt’oggi. Il governo georgiano non controlla che il 80% del proprio territorio e accusa ufficialmente la Russia di “occupazione” del restante 20%, vista anche l’installazione di due basi militari russe nelle repubbliche autoproclamate dell'Ossezia del Sud e dell'Abkhazia che, a loro volta, dipendono dal Cremlino sia finanziariamente sia politicamente.

La politica regionale che Mosca mette in atto nel suo “vicinato” contribuisce ad alimentare le paure dei georgiani. L’annessione russa della Crimea nel 2014 e la persistente situazione di instabilità nella regione ucraina del Donbass, dove la Missione Speciale OSCE continua a riferire di violazioni del cessate il fuoco istituito dagli Accordi di Minsk, sono l’esempio più drammatico di tale politica. Ma anche nell’Armenia post-Rivoluzione di velluto crescono le preoccupazioni di una possibile ingerenza russa: nonostante il nuovo primo ministro armeno Nikol Pashinyan abbia in più occasioni dichiarato di non avere intenzione di scalfire il rapporto con la Russia, le riforme democratiche del suo governo potrebbero essere motivo di preoccupazione per Mosca, di cui l’Armenia rimane l’unico alleato nel Caucaso del sud. Recentemente, l'ambasciatore della Russia in Armenia è stato convocato al Ministero degli esteri a Yerevan in seguito al suo incontro con l'ex presidente armeno Robert Kocharian, accusato di aver rovesciato l'ordine costituzionale nel 2008; l’incontro è stato visto come un tentativo russo di interferire con gli affari interni del paese sostenendo i membri della vecchia élite politica.

Le particolari dinamiche regionali nelle quali è compresa la Georgia riflettono le proprie criticità, inevitabilmente, anche sulla sua politica interna e sulla società stessa. Ogni anno dal 2008, il 7 agosto, vengono organizzati sit-in di fronte a quella che era l’ambasciata russa in Georgia per protestare contro l’“occupazione russa”. Ma non solo. Nel Paese è in corso una polarizzazione del dibattito politico che spesso ruota intorno all’asse dei “valori tradizionali” contro i “valori progressisti”. Emblematicamente, i due poli hanno riferimenti paradigmatici esterni: da un lato la Chiesa Ortodossa (non solo quella georgiana ma anche quella russa) e, dall’altro l’Unione europea, e sviluppano evidenti scissioni osservabili anche in Armenia e Ucraina, dove inoltre la narrativa della “gayropa” (portmanteau delle parole “gay” e “Evropa”, Europa in russo) viene frequentemente utilizzata da coloro che si oppongono all’integrazione con l’Occidente. Lo scontro tra fazioni si sta facendo sempre più intenso e frequente e sta spaccando sempre di più il tessuto sociale georgiano, non solo a livello generazionale, ma anche tra gli stessi giovani. Il caso della perquisizione “militare” della discoteca più famosa della capitale lo scorso anno, o più recentemente dell’intimazione del patriarca georgiano contro il primo gay pride organizzato nel paese, sono solo gli ultimi episodi di un clima sempre più teso e polarizzato, che rende la normalizzazione dei rapporti con la Russia un terreno ancora scivoloso per il governo della presidente Salome Zurabishvili.

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AUTORI

Samuele Dominioni
ISPI Research Fellow
Eleonora Tafuro Ambrosetti
ISPI Research Fellow

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