Russia e Cina starebbero collaborando per creare una nuova moneta internazionale alternativa al dollaro. L’11 marzo 2022 si sarebbe tenuto a Erevan (Armenia) un incontro fra esponenti dell’Unione Economica Euroasiatica (EAEU) e alcuni accademici di una delle principali università cinesi per delineare i termini di un nuovo sistema monetario e finanziario internazionale. L’evento è stato notificato sul sito dell’Unione Economica Euroasiatica, ma la pagina che ne dava notizia è stata cancellata immediatamente (una copia è stata salvata su web.archive.com). Il comunicato stampa annunciava l’imminente pubblicazione di un piano per creare una nuova moneta internazionale fondata su un paniere di valute e di metalli preziosi. La notizia è stata poi ripresa anche da un sito di informazione dedicato all’Asia centrale, The Cradle. In ogni caso, appare assai verosimile. Vediamo perché.
Russia e Cina verso un sistema monetario parallelo?
L’Unione Economica Euroasiatica è una zona di libero scambio e di cooperazione economica che unisce la Russia con altre repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale: Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan. Nel 2018 l’EAEU ha stipulato un accordo di libero scambio con la Cina che rappresentava, ancor prima delle riduzioni tariffarie previste dall’accordo, circa il 20% degli scambi con l’estero dell’Unione.
Già nell’ottobre 2020 si erano avuti abboccamenti della EAEU con la Cina volti a creare un nuovo sistema monetario e finanziario euroasiatico. In quell’occasione, il commissario economico della EAEU, Sergei Glazyev aveva deprecato l’utilizzo di valute “di Paesi terzi” per i regolamenti fra Paesi membri e con la Cina, e aveva auspicato lo sviluppo di “valute digitali e nuovi sistemi di pagamento” per consentire gli scambi e l’accesso alle materie prime, nel quadro di un rafforzamento dei rapporti fra EAEU e Belt and Road Initiative (BRI) .
Tanto più verosimile appare oggi una iniziativa del genere, nel quadro dei tentativi della Russia di trovare un’alternativa al dollaro dopo l’imposizione delle sanzioni. È plausibile, in particolare, che Russia e Cina stiano lavorando di concerto in vista della creazione di una moneta internazionale il cui valore sia fondato sulle materie prime.
Già nel marzo del 2009, il governatore della Banca popolare cinese aveva pubblicato una stringata proposta di riforma del sistema monetario internazionale che si richiamava esplicitamente alla proposta di Keynes di ancorare la moneta internazionale a un paniere di materie prime. La Russia, assieme a India e Brasile, si dichiarò subito favorevole in occasione del primo summit formale dei BRICs che si tenne a Ekaterinburg il 16 giugno di quello stesso anno. Mentre le potenze occidentali si limitarono ad accogliere la richiesta di potenziare l’utilizzo dei Diritti speciali di prelievo emessi da Fondo Monetario Internazionale. In mancanza di una risposta occidentale adeguata, la Cina si è adoperata per dotare il nuovo Beijing Consensus anche di idonee istituzioni monetaria e finanziarie.
Le sanzioni contro la Banca centrale russa hanno spronato non solo la Russia a diversificare le valute utilizzate nei regolamenti internazionali. Il 23 marzo Putin ha richiesto il pagamento del petrolio in rubli a partire da inizio aprile, decisione confermata il 31 marzo con un decreto. Il rublo, svalutato pesantemente a seguito dell’imposizione delle sanzioni, ha cominciato a riprendere quota.
Il Wall Street Journal ha rivelato l’avvio di un dialogo fra Arabia Saudita e Cina per il pagamento del petrolio in yuan. Sarebbe un duro colpo all’egemonia monetaria americana, considerato che, dopo la sospensione della convertibilità in oro da parte di Nixon nel 1971, il dollaro riuscì a conservare il proprio status di moneta internazionale anche grazie a un accordo con l’Arabia Saudita che accettò di vendere il petrolio in dollari e di usare i petrodollari per finanziare il Tesoro USA (come mostra un bel libro di Duccio Basosi).
Come le stelle che vediamo brillare potrebbero essere già spente, così il dollaro continua a generare fiducia, anche se le basi del suo valore come moneta internazionale potrebbero essersi già esaurite da tempo.
La guerra erode il dollaro?
In effetti, come ha osservato recentemente anche un’autorità come Barry Eichengreen sulle pagine del Financial Times, la guerra in Ucraina sta erodendo le basi dell’egemonia monetaria americana. La tesi è stata criticata, o quantomeno ridimensionata, da Adam Tooze sul suo blog Chartbook. Analoghe perplessità sono state espresse da Joseph Politano. Ma un elemento importante ci sembra che manchi nel dibattito.
A prima vista, come mostra anche un recentissimo studio del FMI, la diminuzione della quota del dollaro nelle riserve ufficiali non ha portato a una svalutazione della valuta americana: al contrario, si è registrato nel corso dell’ultimo decennio un tendenziale apprezzamento del suo tasso di cambio rispetto ai Diritti speciali di prelievo, ossia rispetto a un paniere delle principali valute mondiali (Figura 1). La luce del dollaro continua a brillare.
Figura 1 “Effetto credibilità”: apprezzamento medio rispetto ai Diritti speciali di prelievo
(dollaro vs. media per euro, yen e sterlina)
Fonte: FMI
Nella letteratura economica la rivalutazione del dollaro è imputata al cosiddetto “effetto credibilità”: l’idea è che, a dispetto del suo minor utilizzo come strumento di riserva da parte delle banche centrali, il dollaro conservi la fiducia degli operatori privati che ne sostengono la domanda, e quindi il prezzo, sui mercati valutari. In effetti, è soprattutto per costoro che investire in dollari continua ad apparire preferibile, quantomeno in termini di liquidità degli investimenti, ossia di pronta convertibilità in contanti.
Questione di fiducia
Ma cosa succede se comincia a venir meno la fiducia nella possibilità di convertire a loro volta i contanti in beni e servizi? L’inflazione attesa misura la sfiducia nella conservazione del potere d’acquisto del denaro – e le aspettative di inflazione, in particolare negli Stati Uniti, stanno aumentando (Figura 2). Le speculazioni sui mercati delle materie prime sono tanto una causa quanto un effetto di tale sfiducia: certo, come spesso si osserva, l’inflazione attesa è spinta al rialzo dall’incremento dei prezzi delle materie prime; ma è altrettanto vero, ancorché meno facilmente riconosciuto, che la previsione di un calo del potere d’acquisto del denaro induce a trasformare la propria ricchezza monetaria in una forma dotata di un valore intrinseco, acquistando materie prime e facendone salire il prezzo.
In un contesto inflativo, gli investitori privati, ancor più di quelli pubblici, non potranno accontentarsi della rassicurazione derivante da un investimento liquido che consente loro di convertire prontamente le loro attività in denaro contante, perché dovranno immediatamente preoccuparsi di trasformare quel contante in una riserva di valore più stabile. Nel Faust di Goethe, la prospettiva dell’inflazione induce il giullare dell’imperatore a correre ai ripari, investendo la carta moneta creata per finanziare la guerra in solido investimento terriero.
In un mondo che corre dalla liquidità alla solidità, monete internazionali fondate sulla solidità delle materie prime potrebbero avere un vantaggio competitivo rispetto a quelle fondate sulla liquidità dei mercati finanziari. Converrebbe evitare la competizione e arrivare a una soluzione cooperativa con una riforma concertata del sistema monetario internazionale.
Figura 2 Inflazione attesa
(per i periodi 2022-2023, 2023-2028 e 2027-2032, sulla base delle contrattazioni dei titoli del Tesoro indicizzati e degli swap)
Fonte: Reuters