Dal giugno 2017 il Qatar è alle prese con un ripensamento delle proprie strategie di politica interna ed estera a causa dell’embargo diplomatico, economico e logistico impostogli dal cosiddetto “Quartetto arabo” (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain ed Egitto). In funzione di ciò, Doha ha provveduto a portare avanti una riorganizzazione delle proprie strutture di potere (rimpasto di governo e cambio ai vertici delle aziende di Stato). Una scelta mirata a immunizzare il paese dagli effetti negativi del boicottaggio arabo, ma altresì indirizzata a consolidare l’immagine del piccolo emirato del Golfo sul piano esterno. A tal proposito si evidenzia un rinnovato attivismo qatarino nei principali dossier politici mediorientali e internazionali: dalla decisione di abbandonare l’Opec alla scelta di disertare il summit annuale del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc), passando per i round negoziali come mediatore nelle trattative tra Stati Uniti e Talebani e in quelle tra Israele e Hamas in merito alla questione di Gaza.
Quadro interno
Il boicottaggio arabo1 a cui è stato sottoposto il Qatar ha costretto il piccolo emirato del Golfo a una ridefinizione in corso d’opera di politiche e strategie. Una condizione che si protrae da diciotto mesi e sembra ancor ben lungi da possibili risoluzioni diplomatiche. Ciononostante, i rischi e gli effetti sulla politica e l’economia qatarina non sono stati decisivi. Il boicottaggio ha chiaramente avuto un impatto negativo sul Pil, il quale si è contratto, e da previsioni anche del Fondo monetario internazionale, la crescita sarà contenuta intorno al 2%. Inoltre, nello stesso periodo temporale si è assistito a una riduzione degli investimenti esteri nel paese, scoraggiati anche dalle rotte commerciali deviate a causa del blocco aereo, marittimo e terrestre imposto all’emirato. Una situazione importante che ha quindi costretto il governo a un deciso intervento aumentando il livello della spesa corrente per compensare tali falle.
Alla luce di ciò e dato il contesto regionale avverso, il Qatar non ha subito alcun grave contraccolpo alla propria struttura politico-economica come invece era nelle previsioni del quartetto. Ciò non toglie che il paese sarà comunque chiamato a intervenire politicamente per meglio affrontare le importanti sfide strutturali che lo attendono: sostentamento alla crescita, consolidamento del processo di diversificazione economica, deciso rilancio delle riforme e del processo di modernizzazione dello Stato. Anche in tale prospettiva è giunta il 4 novembre 2018 la decisione dell’emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani (succeduto nel giugno 2013 all’abdicazione del padre Hamad bin Khalifa), ad attuare un rimpasto di governo che ha coinvolto anche i vertici delle principali holding di stato come Qatar Petroleum (QP) e Qatar Investment Authority (Qia), massime espressioni del soft-power qatarino sul palcoscenico internazionale. Il cambio ai vertici delle aziende di Stato è stato in parte anche giustificato dalla necessità di voler garantire stabilità finanziaria e al contempo favorire una maggiore attrazione degli investitori stranieri.
Il rimpasto di governo è il secondo dall’inizio del 2016 e il primo dalla crisi intra-Golfo. In funzione di ciò, al-Thani ha nominato il fratello trentenne, Abdullah bin Hamad al-Thani, nuovo vice emiro e presidente di Qatar Petroleum. Saad Sherida al-Kaabi, amministratore delegato uscente di QP, è stato promosso a ministro di Stato per gli affari energetici, divenendo al contempo vice presidente della compagnia petrolifera nazionale e rafforzando il suo ruolo di policy-maker nella politica energetica nazionale. Il ministro degli Esteri e vice primo ministro, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, è stato nominato invece a capo del Qia, mentre Ali bin Ahmed al-Kuwari, ex amministratore delegato della Qatar National Bank (Qnb) è stato incaricato al dicastero del Commercio e dell’Industria, con un posto nel consiglio di amministrazione nel Qia. Altri cambi rilevanti hanno infine interessato i ministeri di Giustizia, delle Municipalità e del Lavoro, nonché la supervisione dei lavori e dell’organizzazione dei campionati del mondo di calcio Fifa, che si terranno nel 2022 proprio in Qatar.2 L’emiro ha inoltre emesso una serie di provvedimenti riguardanti l’istituzione di un Consiglio nazionale del Turismo, di un’autorità di pianificazione e statistica e la nomina del consiglio di amministrazione dell’Autorità per i mercati finanziari del Qatar. Una serie di iniziative in continuità con quelle assunte dal governo anche nel recente passato come l’assunzione di provvedimenti che permettono alle banche di essere molto selettive riguardo alle procedure per la concessione di prestiti o la definizione della riforma per lo sviluppo di un sistema di piccole e medie imprese e per la diversificazione del modello economico ed energetico.
Sebbene importante e inquadrato in un’ottica di dinamiche regionali, il rimpasto di governo non segna una svolta nelle strategie politiche del paese, ma rappresenta per lo più una dimostrazione di forza e resilienza da parte del Qatar. Tuttavia tali decisioni potranno avere un impatto rilevante se inquadrate soprattutto in un’ottica di lungo periodo, in virtù di un processo di professionalizzazione e modernizzazione delle strutture lanciato da oltre un decennio. Ancora una volta, quindi, al centro di tali strategie governative rientreranno due piattaforme cruciali: Qatar National Vision 2030 (Qnv) e National Development Strategy 2017-2022 (Nds). La prima è stata lanciata alla fine del 2008 con l’intento di promuovere una transizione del paese da un’economia basata sui proventi degli idrocarburi a un’economia di beni e servizi, mentre la seconda riguarda un sistema di pianificazione di una strategia nazionale di attrazione degli investimenti esteri a livello globale. Tra le misure adottate risaltano la nuova legge sugli investimenti, nonché tutta una serie di pratiche volte a snellire gli iter burocratico-amministrativi per la creazione di società nel paese, ad allentare le barriere legali all’ingresso di investitori e capitali stranieri e a promuovere un mercato competitivo e non dipendente solo dal settore oil & gas. Le risorse energetiche rappresentano attualmente il 56% delle entrate statali, il 92% dell’export nazionale e il 45% del Pil. Anche alla luce di ciò appare evidente come le iniziative ricadenti sotto il cappello di Qnv e Nds rispondano a un’esigenza di diversificazione energetica e di riforma strutturale del modello economico esistente che non sia troppo dipendente dagli idrocarburi.
Relazioni esterne
Nel corso dell’ultimo decennio il Qatar ha dato grande prova di una politica estera importante volta alla progressiva costruzione di un ruolo da piccola potenza regionale e internazionale. La straordinaria ricchezza economica ed energetica, un notevole dinamismo diplomatico e la influente capacità mediatica del network locale Al Jazeera sono divenuti segni distintivi del soft power qatarino nel mondo, i quali hanno fatto di Doha un formidabile attore strategico capace di incidere nei più importanti dossier mediorientali e globali. Anche in virtù di ciò si spiega la decisione assunta il 5 giugno 2017 da Arabia Saudita, Bahrain, EAU ed Egitto di interrompere le relazioni diplomatiche con il Qatar. Doha è stata accusata di supportare il terrorismo internazionale di al-Qaida e dello Stato islamico, di sovvenzionare attraverso i propri canali mediatici (Al Jazeera, BeIN, Middle East Eye e altri network in lingua inglese) la propaganda dei movimenti islamisti come la Fratellanza musulmana al fine di destabilizzare il Medio Oriente e, infine, di intrattenere rapporti compromettenti con l’Iran. Nelle intenzioni del quartetto l’embargo doveva indebolire il sistema-paese Qatar, costringendo l’emirato a cedere, in particolar modo, alle condizioni di Riyadh e Abu Dhabi, rivedendo in toto la sua politica energetica ed estera.
Sebbene gli sforzi di mediazione profusi da Kuwait, Oman e Stati Uniti – non ultimo il tentativo del Segretario di Stato Mike Pompeo nella sua visita a Doha il 13 gennaio 2019 – abbiano finora fallito, vi sarebbero più voci anche in seno al Gcc favorevoli a una distensione quanto meno tattica tra Riyadh e Doha. Infatti a essere a repentaglio è il futuro di diversi progetti di cooperazione regionale, tra cui la stessa integrazione del dispositivo di sicurezza del Gcc (Peninsula Shield) all’interno del Middle East Strategic Alliance (Mesa), il patto politico-militare noto anche come “Nato araba”, ma più simile a una riedizione del vecchio “Patto di Baghdad”, concepito dagli Stati Uniti come uno strumento di sicurezza e stabilizzazione regionale in funzione anti-iraniana (si veda l’Approfondimento).
Ciononostante, la crisi intra-Golfo tra Qatar e il blocco filo-saudita permane in una situazione di stallo tattico e strategico, rispetto alla quale non sembra scorgersi all’orizzonte alcun fattore di mutamento dei rapporti. Nessuno degli attori in gioco, infatti, sembrerebbe intenzionato a modificare la propria strategia o politica nei confronti della parte avversa, favorendo di fatto un ampliamento delle distanze tra i singoli player, contribuendo inoltre all’attuale disordine mediorientale. Sebbene il tentativo di isolamento diplomatico promosso dal quartetto ai danni del Qatar non sia andato a buon fine, è altrettanto palese che il boicottaggio arabo ha in parte danneggiato la fitta rete di contatti e collegamenti che l’emirato aveva faticosamente costruito negli anni precedenti la crisi. Inoltre, le tensioni intra-Golfo hanno indotto il Qatar a rafforzare i legami con gli attori non allineati nella contesa (come l’Oman), a salvaguardare l’alleanza con l’unico alleato sunnita della regione (la Turchia) e a spostarsi su posizioni strumentali antitetiche a Riyadh (come dimostrato anche dal dialogo diplomatico con l’Iran). Infine, la crisi con il quartetto ha fornito nuovi alibi a Doha per intraprendere un moderato riarmo, come testimoniato dagli importanti contratti di fornitura militare stipulati con diversi paesi europei (tra cui Francia, Regno Unito e Italia), al fine di non farsi trovare impreparato nel caso di un attacco militare a sorpresa, sebbene questo non sia al momento stato preso in considerazione dagli avversari politici in virtù dei notevoli riflessi strategici e geopolitici connessi. A fronte quindi di una situazione complessa, il Qatar ha mostrato una certa resilienza nel mantenere una propria capacità operativa nel contesto non solo mediorientale. Oltre alla sempre notevole influenza nella Striscia di Gaza, dove al pari dell’Egitto il Qatar rimane l’unica controparte capace di incidere nelle relazioni tra Hamas e Israele, Doha ha conservato un certo ruolo diplomatico di mediazione anche nelle trattative tra governo Usa e talebani e ha ampliato la sua influenza in Africa orientale e nel bacino dell’Oceano Indiano occidentale. Da monitorare, invece, le manovre del Qatar in Libano, sebbene tali iniziative possano avere un valore più tattico che strategico. In occasione del forum economico della Lega araba tenuto a Beirut il 19 gennaio 2019, il governo qatarino ha deciso di acquistare buoni del tesoro libanese per un valore complessivo di 500 milioni di dollari al fine di sostenere l’economia del paese. L’iniziativa ha provocato l’immediata reazione del regno saudita che, attraverso il suo ministro delle finanze Mohammed al-Jadan, si è impegnato verbalmente a fornire sostegno finanziario al Libano. Alla base della scelta di Doha vi potrebbe essere un tentativo di valutazione del grado di operatività e influenza da estendere al teatro di crisi libanese, nel quale storicamente non ha mai mostrato grande interesse a differenza di Arabia Saudita e Eau. In tal senso, appare evidente che il Qatar stia prodigandosi per un ripensamento delle proprie strategie mediorientali e internazionali.3
Esattamente in questa prospettiva si inseriscono due eventi che hanno avuto un certo impatto a livello regionale e internazionale: l’annuncio di un’uscita di Doha dall’Opec e l’assenza dell’emirato ai lavori del 39° summit del Consiglio di Cooperazione del Golfo a Riyadh. Sicuramente la notizia di Doha fuori dal consesso internazionale dell’energia ha avuto una eco molto vasta anche per la portata geopolitica di un possibile nuovo episodio di confronto/scontro con l’Arabia Saudita. Il 3 dicembre 2018 il ministro dell’Energia di Doha, Saad Sherida al-Kaabi, aveva annunciato la decisione del suo paese di uscire dall’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) dal 1 gennaio 2019. La scelta ha un certo valore storico poiché non vi era mai stato alcun abbandono dell’Opec da parte di un paese mediorientale. Il Qatar ne faceva parte dal 1961, un anno dopo la nascita del cartello energetico dominato in larga parte dall’Arabia Saudita. Nelle motivazioni ufficiali vi sarebbe la chiara intenzione di Doha di voler concentrare la propria produzione energetica sul gas, di cui è il principale esportatore al mondo, pur mantenendo una certa soglia produttiva nel petrolio – una quota risibile a livello globale pari a circa 600.000 barili di petrolio giornalieri a fronte degli oltre 10 milioni di barili giornalieri dell’Arabia Saudita. Potenziando la sua capacità produttiva nel gas naturale liquido (Gnl) e promuovendo importanti investimenti nell’offshore qatarino di North Pars, Doha ambisce a trasformarsi in un player globale, trovando nella sola Russia un attore rilevante con il quale competere. Attualmente il Qatar è leader mondiale nella produzione di Gnl con 77 milioni di tonnellate l’anno (il 30% della produzione mondiale) e un obiettivo di aumentare il tetto a oltre 110 milioni di tonnellate entro il 2024.
Non meno rilevante, infine, è stata la clamorosa defezione del Qatar dal summit annuale del Consiglio di cooperazione del Golfo, che ha messo definitivamente a nudo le divisioni esistenti nel consesso sub-regionale che vanno oltre la retorica dello scontro Riyadh-Doha. Infatti all’interno del Gcc esistono nette distanze tra favorevoli (Arabia Saudita e Bahrain) e contrari (Oman, Qatar, Kuwait e Eau) a un processo di trasformazione dell’organizzazione economico-securitaria a un organismo simile a quello di Unione europea. Le differenti posizioni tra i singoli attori riflettono la comune intenzione di non vedere ridotta la propria autonomia in favore dell’egemone regionale saudita.
In questo contesto appare stagliarsi all’orizzonte una duplice partita: una lotta serrata per la leadership regionale all’interno del variegato mondo arabo e sunnita e la definizione di nuovi equilibri geo-economici ed energetici dopo la rivoluzione tecnologica promossa dallo shale gas e dallo shale oil.
1La crisi del 2017 affonda le sue radici in tensioni radicate e precedenti: da un lato il rifiuto di Doha di sottoscrivere l'Accordo di Riyad del 2013 – un meccanismo che avrebbe garantito una maggiore integrazione di sicurezza delle monarchie del Golfo sotto la direzione saudita –, dall’altro dalla scelta del Qatar di non sottoscrivere gli impegni previsti dall’Accordo integrativo di Riyad del 2014. Entrambi gli episodi, compreso il ritiro degli ambasciatori di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain da Doha nel marzo del 2014, hanno dato vita ad una lunga serie di scontri e incidenti diplomatici tra i membri del consesso regionale del Golfo rientrato nel corso dello stesso anno grazie alla mediazione di Kuwait e Oman, ma infine riesploso definitivamente nel giugno 2017. Per una più approfondita contestualizzazione dei fatti si consiglia la seguente lettura: G. Dentice, “Arabia Saudita-Qatar: una crisi tattica e strategica”, in Annalisa Perteghella, Riyadh cambia passo. Acque agitate nel Golfo, ISPI Dossier, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), giugno 2017.
2 G. Cafiero, What's behind Qatar’s Cabinet shuffle?, Al-Monitor, 6 novembre 2018.
3 G. Cafiero, What's behind Qatar’s Cabinet shuffle?, Al-Monitor, 6 novembre 2018.