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Commentary

Quale politica globale nell’era delle politiche interne

19 Dicembre 2012

Agli osservatori della politica internazionale piacerebbe avere chiavi di lettura che consentano di dare un senso alle maggiori vicende del mondo e di raggrupparle secondo alcune tendenze chiaramente riconoscibili. Ci piacerebbe potere affermare, per esempio, che l’economia sarà sempre più globalizzata, che la crescita economica dei Paesi emergenti andrà di pari passo con lo sviluppo della società civile, che le piccole realtà nazionali dovranno raggrupparsi su scala regionale per meglio affrontare i problemi della modernità e della concorrenza. Se le cose stessero in questi termini sarebbe più facile analizzare gli avvenimenti, constatare progressi e regressi, fare previsioni. Ma la realtà, purtroppo, ha la cattiva abitudine di non conformarsi alle nostre razionali aspettative. Per quanto mi sforzi di dare un senso a ciò che sta accadendo nel mondo constato che molti avvenimenti ci hanno colto di sorpresa e sono solo parzialmente riconducibili ai tradizionali fattori della politica internazionale. Vorremmo parlare di politica estera, ma siamo costretti a prendere in considerazione, più di quanto non accadesse in passato, la politica interna. Ecco qualche esempio.

Gli Stati Uniti sono ancora la maggiore potenza internazionale. Anche quando perdono una guerra o non raggiungono l’obiettivo che si erano prefissi agli inizi del conflitto, (è accaduto in Vietnam negli anni Settanta, accade ora in Iraq e in Afghanistan), hanno pur sempre la maggiore forza militare del pianeta, hanno basi militari dislocate in tutti i continenti, spendono per la difesa più quanto spenda il resto del mondo, possono permettersi azioni di guerra che sarebbero considerate, se compiute da altri, arbitrarie e punibili. Ma il loro futuro è tenuto in ostaggio da un conflitto interno politico e ideologico fra Democratici e Repubblicani sul modo in cui tassare i cittadini, spendere il denaro pubblico e ridurre il colossale debito accumulato dal Paese negli ultimi decenni.

La Russia è tornata sulla scena internazionale ed è un partner necessario ogniqualvolta si parla di rifornimenti energetici, Siria, Iran, Asia Centrale, forse domani la Grecia e la penisola balcanica. Ma nel Paese è esplosa una pericolosa contraddizione fra un regime autoritario, convinto che la Russia debba essere governata con il pugno di ferro, e una società civile intelligente, estroversa, cresciuta nella rete, molto più svezzata e moderna della generazione precedente. Questa opposizione non può cambiare il regime creato da Vladimir Putin, ma il regime non riuscirà a sbarazzarsi dei suoi dissidenti.

La Cina continua a crescere, anche se meno del passato, e sembra avere inventato una sorta di mostro mitologico che ha una testa comunista e un ventre capitalista. Credevamo, sino a qualche tempo fa, che avesse anche messo a punto una formula imbattibile per la trasmissione del potere da una generazione all’altra. Oggi tuttavia scopriamo che dietro questa architettura, costruita con sapienza confuciana, vi è, al vertice del Paese, un piccolo mondo familistico e corrotto, popolato da principini viziati, donne ambiziose, arrivisti e avventurieri, mentre alla base della piramide vive una moltitudine di contadini sempre più arrabbiati e ribelli.

Nella maggior parte del grande mondo musulmano lo Stato post-coloniale è fallito. Abbiamo applicato alle rivolte arabe i criteri convenzionali della politologia occidentale e le abbiamo lette come un nuovo e promettente capitolo nella storia della libertà. Ma il vuoto creato dalla caduta dei vecchi regimi è stato riempito dalla Fratellanza Musulmana, vale a dire dalla sola forza che abbia in questi paesi forti radici e largo consenso. Credevamo di assistere alla lotta della democrazia contro la tirannia e stiamo assistendo ad alcune guerre di religione: laici contro islamisti, sunniti contro sciiti.

Quando parliamo dell’Europa siamo a casa nostra e gli avvenimenti dovrebbero essere più facilmente interpretabili. La crisi dell’euro è certamente dovuta, in ultima analisi, a un fattore razionale e prevedibile: l’esistenza di una moneta comune in un condominio privo di un amministratore unico e autorevole. Ma la crisi impone sacrifici diversi alle regioni di uno stesso Paese e incoraggia fe-nomeni separatisti. Il Nobel per la pace assegnato all’Unione Europea dimostra che le guerre fra gli Stati appartengono ormai al passato. Avremo nel nostro futuro qualche guerra di secessione?

Potrei aggiungere altre anomalie e contraddizioni in Brasile, Giappone, India e Turchia. Ma questa, per grandi linee, è la giungla in cui gli esploratori internazionali dovranno avventurarsi nei prossimi dodici mesi.

Il Commentary fa parte del Dossier Rischio Babele, http://ispinews.ispionline.it/?p=3401 

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