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Commentary

Quale politica industriale per l’Unione Europea?

Stefano Riela
24 maggio 2019

Il recente blocco all’acquisizione di Alstom da parte di Siemens ha rilanciato il dibattito sulla politica industriale nell’UE. L'economia europea è in grado di lottare contro i giganti dei mercati globalizzati? Anche se la concentrazione del mercato europeo è aumentata dopo la liberalizzazione degli anni Novanta, c’è chi dice che le imprese europee sono ancora troppo piccole per competere con successo. Questo commentary è dedicato a come le autorità europee possono favorire la creazione di "campioni" bilanciando politica industriale e politica della concorrenza.

La politica industriale è solitamente intesa come la strategia di un'autorità pubblica per sviluppare una particolare attività con l’obiettivo di aumentare la competitività di un paese. Quando l'intervento pubblico è volto a sviluppare settori specifici (ad esempio, la costruzione navale e l'industria automobilistica), allora si tratta di una politica industriale tradizionale nota come "verticale". Se l'intervento pubblico è invece trasversale rispetto ai settori (ad esempio, sostegno alla ricerca e sviluppo e alle piccole imprese), la politica industriale può assumere una dimensione "orizzontale".

Per i puristi, una politica orizzontale potrebbe perdere l’accezione di "industriale"; tuttavia, questa è la dimensione di politica industriale preferita nelle economie avanzate. In primo luogo, non è pacifico che un'autorità pubblica goda di una conoscenza superiore, rispetto ad un'impresa privata, su quale sia il settore capace di stimolare l'economia nei prossimi anni. In secondo luogo, un intervento errato provoca una perdita per i cittadini sia come contribuenti che come consumatori. Terzo, un intervento verticale di solito non viene accolto calorosamente dagli altri paesi. Ad esempio, nei settori in cui la dimensione è un fattore di competitività, per effetto delle economie di scala, un governo potrebbe: a) sovvenzionare le imprese nazionali – riducendone i costi – per favorirle rispetto ai concorrenti internazionali; b) proteggerle con tariffe fino a quando hanno raggiunto una dimensione tale da poter sconfiggere i concorrenti internazionali; c) consentire la loro crescita dimensionale anche attraverso fusioni e acquisizioni. Le prime due opzioni – a) e b) – violano i principi del WTO e dell'UE; le due istituzioni vietano infatti le sovvenzioni che distorcono la concorrenza. La terza opzione – c) – è in realtà un’assenza di intervento verticale poiché la crescita è fisiologica per le imprese efficienti nelle economie di mercato che promuovono l'espansione geografica dei mercati liberalizzati.

Coerentemente con le considerazioni sopra esposte, la politica industriale dell'UE è principalmente orizzontale, poiché intende creare le condizioni che favoriscono l'attività imprenditoriale senza fissare un trattamento differenziato per le imprese a seconda del settore di appartenenza. Questo perché le forze di mercato stanno già "verticalizzando" l'economia europea: il mercato unico e la moneta unica, integrando i mercati nazionali e favorendo la concorrenza, hanno permesso una crescente specializzazione dei paesi membri, ossia una distribuzione meno omogenea dei settori in tutto il continente.

L'interesse per una politica industriale dell’UE più proattiva e più verticale è emerso alla fine degli anni Novanta quando, dopo il completamento del mercato unico e l'introduzione dell'euro, l'UE ha formulato una strategia per la sua competitività. Nell'ambito della "Strategia di Lisbona" – che successivamente è diventata "Crescita e occupazione" e "Europa 2020" – la Commissione ha proposto iniziative settoriali e intersettoriali: arricchendo gli strumenti orizzontali esistenti con altri per migliorare l'offerta di materie prime, sviluppare un'economia con basso impatto ambientale, incentivare gli investimenti in trasporti, energia e reti digitali. Tuttavia, l'azione della Commissione è limitata da un bilancio dell’UE che pesa circa l'1% del PIL ed è per lo più dedicato ad agricoltura e politica di coesione. 

 

E’ vero che la politica della concorrenza ostacola la creazione di campioni europei?

La politica della concorrenza, come la politica industriale, è in linea di principio finalizzata alla competitività dell'economia europea. Le imprese che hanno successo grazie alla loro maggiore efficienza su un mercato europeo saranno certamente le migliori in grado di affrontare la concorrenza globale. Tuttavia, quando è necessario sfruttare le economie di scala per combattere a parità di condizioni con i giganti del mondo, le imprese europee devono avere uno spazio adeguato; per esempio Airbus, il campione aeronautico europeo che si oppone alla Boeing americana. Ma le imprese che dominano i loro mercati potrebbero trovare più facile ridurre il benessere dei consumatori aumentando i prezzi e rallentando l'innovazione.

Quest'ultima preoccupazione spiega lo stop della Commissione europea all'acquisizione della francese Alstom da parte della tedesca Siemens (6 febbraio 2019). Tale operazione avrebbe creato un campione europeo nel settore ferroviario che tuttavia, secondo la Commissione, avrebbe eliminato la concorrenza nel mercato dei treni ad alta velocità e dei sistemi di segnalazione. Le due imprese hanno già una dimensione importante nei mercati europei e imprese non europee, come ad esempio la CRRC cinese, non hanno ancora raggiunto un livello qualitativo adatto per entrare nel mercato europeo.

Dopo aver criticato la decisione della Commissione, i governi francese e tedesco hanno pubblicato un manifesto per una politica industriale europea per il 21° secolo (19 febbraio 2019). Nel documento, si legge la proposta dei due governi per la politica di concorrenza, che recita: "Consider whether a right of appeal of the Council which could ultimately override Commission decisions could be appropriate in well-defined cases, subject to strict conditions". Secondo la proposta, le decisioni della Commissione in materia di concorrenza, già appellabili dinanzi alla Corte di Giustizia, potrebbero essere esaminate da un organo politico come il Consiglio; presumibilmente ciò consentirebbe ai governi di bypassare gli ostacoli che la Commissione pone di fronte alla crescita delle imprese europee. Qual è l’evidenza di questo presunto comportamento ostativo della Commissione?

Dal 1990 ad oggi, delle 7.381 concentrazioni notificate sono state bloccate solo 30 (tra cui Siemens-Alstom), mentre 444 sono state approvate solo dopo aver previsto una riduzione dell'impatto anticoncorrenziale; ad esempio, la vendita di beni per ridurre il potere delle imprese coinvolte nella transazione. Ciò significa che la Commissione non è preoccupata della mera crescita dimensionale di un'impresa ma dalla posizione dominante nel suo mercato, con conseguenze negative per i consumatori, a causa dell'assenza di concorrenti effettivi e potenziali.

Inoltre, come mostra la Figura 1, negli ultimi anni le grandi imprese sono cresciute nei rispettivi settori sia negli Stati Uniti che nell'UE con una tendenza più marcata negli Stati Uniti (OCSE, 2019 e FMI, 2019).

 

Figura 1 – Quote di mercato delle imprese più grandi (% totale)

Fonte: The Economist del 20 Novembre 2018 su dati OECD

 

Tuttavia se si guarda ai singoli settori e ai singoli paesi, la concentrazione è un fenomeno eterogeneo all’interno dell’UE. Oltre a segnalare quanto riportato dal capo economista della DG Concorrenza della Commissione europea, nelle Figure 2 e 3 riportiamo i dati Eurostat del 2016 relativi alla numerosità (asse orizzontale) e il relativo fatturato (asse verticale) delle imprese con più di 50 dipendenti in percentuale rispetto a tutte le imprese del paese; rispettivamente per il settore manifatturiero (settore C NACE rev. 2) e per il settore delle costruzioni (settore F). Dai dati emerge un quadro eterogeneo in materia di concentrazione e, nel caso dell’Italia, sia nel settore manifatturiero che in quello delle costruzioni, le imprese più grandi (quelle con più di 50 dipendenti) sono in percentuale inferiore rispetto agli altri paesi e sono quelle che generano meno fatturato. 

 

Figura 2 – Settore manifatturiero: percentuale del fatturato di imprese con più di 50 dipendenti (asse orizzontale) e percentuale del numero di imprese con più di 50 dipendenti (asse verticale)

 

Figura 3 – Settore delle costruzioni: percentuale del fatturato di imprese con più di 50 dipendenti (asse orizzontale) e percentuale del numero di imprese con più di 50 dipendenti (asse verticale)

 

Cosa deve fare l’UE per trovare il giusto bilanciamento tra politica industriale e politica della concorrenza?

Dal punto di vista della politica industriale è necessario mantenere l'approccio orizzontale e un approccio verticale dedicato, ove necessario, alle infrastrutture per i trasporti, l'energia e le telecomunicazioni; servizi che le autorità pubbliche identificano come “servizi di interesse economico generale” particolarmente importanti per tutti i cittadini e le imprese.

Tuttavia, i campioni sono necessari nei mercati globalizzati in cui la dimensione è il principale motore della competitività. L'economia europea, con la sua crescente specializzazione, si sta adeguando in tal senso ma bisogna evitare che la crescita delle dimensioni delle imprese, anche con fusioni e acquisizioni, contrasti con i principi della politica di concorrenza. Pertanto, per ridurre la probabilità di stop a fusioni e acquisizioni, è necessario garantire o aumentare la contendibilità dei mercati riducendo le barriere all'ingresso; un'impresa, ancorché dominante, non può danneggiare i consumatori se il suo mercato è aperto e facilmente accessibile dall’esterno.

Come ricordato dal Consiglio (27 maggio 2019) è prioritario completare il mercato unico riducendo gli ostacoli burocratici ed eliminando le discriminazioni fondate sulla nazionalità che permangono per alcuni servizi. Oltre il confine europeo, è necessario promuovere l'integrazione dei mercati internazionali per creare parità di condizioni. Il contesto ottimale è quando le imprese sono radicate nelle economie di mercato. Il problema è quando alcuni giocatori intervengono pesantemente aiutando i campioni nazionali per farli vincere sui mercati internazionali. Per questo motivo, il Consiglio europeo (22 marzo 2019) ha dichiarato che "l'UE deve inoltre salvaguardare i propri interessi alla luce delle pratiche sleali di paesi terzi, utilizzando appieno gli strumenti di difesa commerciale e le nostre norme in materia di appalti pubblici, nonché garantendo l'effettiva reciprocità in materia di appalti pubblici con i paesi terzi ".

Pertanto, nel garantire la reciprocità, l'UE deve promuovere il proprio modello di economia di mercato senza allinearsi alle economie non di mercato. Per raggiungere questo obiettivo, l'UE deve aumentare il suo potere contrattuale mantenendo legami solidi con i suoi alleati, salvaguardando il ruolo del WTO ed estendendo la rete di accordi bilaterali con i paesi che condividono gli stessi obiettivi.

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infrastrutture Unione Europea
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AUTORI

Stefano Riela
Senior Associate Research Fellow, osservatorio ISPI infrastrutture

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