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Commentary

Quanto conta l’Ucraina per la Russia. Quanto conta la Russia per l’Italia

16 aprile 2015

Uno dei temi principali dell’incontro tra il presidente statunitense Barack Obama e il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi sarà certamente la crisi dell’Ucraina e le relazioni tra Occidente e Russia. L’Italia ha la necessità di elaborare un approccio condiviso nei confronti della Russia, poiché il conflitto in Ucraina ha messo in questione tutti gli sforzi diplomatici degli ultimi trent’anni per un avvicinamento tra la Russia e l’Occidente, da sempre uno dei punti focali nell’agenda della politica estera italiana. 

 

L’Ucraina e la politica di potenza russa 

«L’Ucraina, un nuovo e importante spazio sullo scacchiere eurasiatico, è un perno geopolitico perché la sua reale esistenza come paese indipendente contribuisce a trasformare la Russia. Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico. Ma se Mosca riottiene il controllo dell’Ucraina […] riconquisterà automaticamente i mezzi per diventare un potente Stato imperiale esteso tra Asia ed Europa». Secondo quest’immagine di Zbigniew Brzezinski dall’orientamento internazionale e dalle trasformazioni interne dell’Ucraina dipenderebbe la capacità della Federazione Russa d’influenzare le dinamiche politiche europee e riconquistare il suo rango di grande potenza che agisce anche al di fuori dei confini dello spazio post-sovietico. Ma quali sono gli elementi che rendono l’Ucraina così rilevante nei piani strategici russi? 

Quattro elementi, più degli altri, sembrano essere significativi. L’elemento simbolico, cui è legato il prestigio internazionale di Mosca. La storiografia russa ha tradizionalmente enfatizzato i legami storici che intercorrono tra i territori della Russia e dell’Ucraina. In particolare ha fatto risalire le origini del moderno stato russo all’esperienza della Rus’ di Kiev, il più antico regno slavo che dal IX al XIII secolo unificò gli attuali territori di Russia occidentale, Ucraina, Bielorussia, Polonia e Lituania. Ancor più importante in questo senso è la Crimea, che ha rappresentato uno spazio a lungo conteso con l’Impero ottomano e un teatro di scontro e d’incontro con gli stati dell’Europa occidentale (Guerra di Crimea, Conferenza di Jalta). L’elemento nazionale, derivato dalla consistente minoranza russa presente in Ucraina. Il 17,3 per cento della popolazione, infatti, è di etnia russa, mentre la quota della popolazione di lingua russa è del 24 per cento. Questa percentuale nel corso del XX secolo è progressivamente aumentata in favore della presenza russa soprattutto nelle regioni meridionali e orientali, che per questo vengono chiamate Novorossiya. Si tratta di un dato nevralgico per il nuovo soft power di Mosca, fondato sul suo ruolo di protettrice delle popolazioni russe, russofone e ortodosse (il cosiddetto Russkiy Mir). Il terzo elemento è quello geopolitico, connesso alla possibilità di proiezione geopolitica della Russia. La Crimea, in particolare, svolgeva una funzione decisiva in questo senso e, per tale ragione, è stata il teatro dell’unica vera espansione territoriale a partire dall’inizio della crisi. Anche dopo la dissoluzione dell’Urss una parte della flotta russa era rimasta ancorata nel porto di Sebastopoli, garantendo alla Russia una porta d’accesso al Mar Mediterraneo. Gli altri centri ucraini di particolare interesse strategico sono il porto commerciale di Odessa, il distretto scientifico e militare di Kharkiv e i bacini minerari di Donec’k e di Luhans’k. In particolare la prima avrebbe un valore strategico decisivo in caso di sollevazione contro le autorità di Kiev, costituendo l’anello di congiunzione con la repubblica separatista della Transnistria e un punto di contatto con l’Europa sul versante meridionale. L’ultimo elemento è di ordine geostrategico. La difesa dell’influenza sull’Ucraina serve a uno degli obiettivi principali della politica estera russa, quello di garantire la “profondità strategica” intorno alla capitale. In questa prospettiva l’integrazione di Kiev nell’Unione Europea appare pericolosa alla leadership russa perché costituirebbe un primo passo sulla strada dell’ingresso nella Nato. In futuro, quindi, i confini dell’Alleanza Atlantica giungerebbero a 650 km a sud di Mosca e, sommandosi alla presenza della Nato nei Paesi Baltici, costituirebbero una tenaglia intorno alla capitale russa. 

 

Italia e Russia, non solo energia

«South Stream is dead. For Europe there will be no other gas transit options to risky Ukraine, other than the new Turkish Stream pipeline». Con queste parole Aleksej Miller, Ceo di Gazprom, ha riassunto la fine di un progetto che avrebbe costituito non solo il sigillo dell’intesa strategica tra Eni e Gazprom, ma anche l’emblema di una strategia energetica comune tra l’Italia e la Russia. L’interruzione dell’afflusso di capitali e beni occidentali determinato dalle sanzioni occidentali in risposta alle mosse della Russia sullo scacchiere ucraino, unita alla depressione della domanda energetica e alle politiche dell’Opec, ha determinato una forte svalutazione del rublo e la riduzione delle risorse a disposizione della Federazione Russa.

La conseguenza immediata di tale combinazione di eventi è stata la necessità di annullare i progetti non finanziabili con capitali da mercato, ma che avevano alle spalle una visione geopolitica. La ragion d’essere di South Stream non andava ricercata nei profitti economici che avrebbe generato, ma nei suoi benefici strategici. Avrebbe determinato, infatti, la diversificazione delle rotte delle pipeline russe verso l’Europa e il disinnesco del potere di ricatto dell’Ucraina, il cui peso politico è in parte dovuto al fatto che il suo territorio è attraversato dalle condotte Soyuz e Bratstvo, che riforniscono di gas russo la Mitteleuropa e l’Europa meridionale. Il disegno finale di questa strategia risultava più chiaro mettendo in relazione il South Stream con il North Stream, che già dal 2011 rifornisce la Germania e, indirettamente, la Francia. Queste due rotte parallele avrebbero raggiunto i principali consumatori di gas russo bypassando territori instabili, indebolendo le rendite di posizione degli stati di transito e, probabilmente, diminuendo i prezzi.

Le conseguenze della crisi in Ucraina sulle relazioni italo-russe, tuttavia, non sono state circoscritte al solo, seppur nevralgico, settore energetico. L’adeguamento di Roma alle sanzioni nei confronti di Mosca ha assestato un colpo durissimo al nostro sistema-paese, anche a causa della concomitante crisi economica, coinvolgendo numerosi settori produttivi, che spaziano dall’industria pesante all’agroalimentare, e attori di diverso peso, dalla grande industria alle piccole e medie imprese. 

La necessità di ripristinare la normalità dei rapporti con Mosca non ha risvolti solo economici, ma riguarda anche la nostra sicurezza nazionale. L’Italia, infatti, si trova nella scomoda posizione di applicare, da un lato, le sanzioni economiche alla Russia per la crisi in Ucraina, e, dall’altro, d’invocare il suo sostegno nel tentativo di arginare le derive peggiori della guerra civile in Libia in virtù dei suoi ottimi uffici con l’Egitto del generale al-Sisi. La scelta dell’amministrazione Obama di rinunciare a farsi garante dell’ordine nella regione del Grande Medio Oriente ha aperto un grande vuoto che, a meno di un ripensamento di questa strategia da parte del prossimo presidente americano, deve necessariamente essere riempito se non si vuol assistere inerti all’avanzata dell’anarchia o, forse peggio, dell’Isis. Gli stati europei non sembrano in grado di farlo, la Russia ne potrebbe avere la forza, ma la possibilità di una sua proiezione in quest’area rappresenta un’incognita.

Un dato importante da sottolineare è quello relativo alla tradizionale e sostanziale “affidabilità” della politica estera russa. Storicamente (e la Seconda guerra mondiale costituisce una prova senza discussione) molte delle scelte della Russia (e dell’Urss) appaiono agli occidentali caratterizzate da assenza di democrazia interna e da scelte “aggressive” in politica estera, ma ciò non toglie che nei momenti topici la Russia abbia sempre assunto un atteggiamento responsabile e collaborativo.

Antonello Folco Biagini, professore ordinario di Storia dell’Europa Orientale e pro rettore per gli Affari Generali dell'Università La Sapienza di Roma
 
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