Sono circa 6 milioni i casi di Covid-19 registrati nei Paesi del Medio Oriente e Nord Africa (MENA) alla metà di dicembre, con la Turchia che riporta 1,9 milioni di contagiati, seguita dall’Iran con 1,1 milioni e dall’Iraq con oltre mezzo milione. Se la cifra complessiva risulta inferiore rispetto a quelle di altre regioni del mondo – Americhe 30,6 milioni di cui oltre la metà negli Stati Uniti, Europa oltre 22 milioni, Sud-Est asiatico 11,4 milioni – anche qui, come altrove, gli effetti della pandemia sono stati pesanti tanto a livello sanitario quanto sul piano economico, impattando non di rado su sistemi fragili con scarsa disponibilità di risorse.
Doppio shock
Il doppio shock costituito dalla crisi pandemica e dal crollo del prezzo del greggio ha colpito pesantemente la regione, tra i principali produttori mondiali di idrocarburi. Secondo le più recenti proiezioni della Banca mondiale, l’economia dell'area si contrarrà del 5,2% nel 2020, in peggioramento rispetto alle previsioni di aprile 2020. Una ripresa si avrà solo a partire dal 2021, ma bisognerà attendere il 2023 per ritornare ai livelli pre-crisi. Le monarchie petrolifere del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) registreranno una contrazione del Pil pari a -5,7%, altri Paesi produttori di idrocarburi (Algeria, Iran e Iraq) -6,2%, mentre -2,2% per i Paesi importatori di petrolio del Nord Africa e del Vicino Oriente, dove la forbice varia dal 3,5% dell’Egitto (unico stato della regione con una crescita positiva) al -19,2% del Libano. Qui l’emergenza pandemica è intervenuta in un contesto già scosso da una grave economico-finanziaria e da forti proteste sociali, e l’esplosione nel porto di Beirut a inizio agosto ha aggravato ulteriormente la situazione.
In generale, secondo l’Ocse, l’area MENA potrebbe perdere 42 miliardi di dollari di Pil nel 2020. I Paesi produttori conosceranno inoltre un forte deterioramento della bilancia fiscale e di quella dei conti correnti, rispettivamente -10,1% e -4,8%, a causa del significativo aumento della spesa pubblica per fronteggiare l’emergenza sanitaria a fronte di una riduzione delle entrate dalla vendita di idrocarburi, dovuta tanto al forte calo del prezzo del petrolio quanto alla contrazione delle esportazioni di idrocarburi.
Il crollo del commercio
Anche nella regione MENA si è assistito a una notevole riduzione del volume degli scambi commerciali come conseguenza delle chiusure, della sospensione di molte attività economiche e dell’interruzione delle catene di distribuzione. La Banca mondiale, riprendendo i dati di aprile dell’UNCTAD, riporta un calo del 40% nel commercio dell’area. Secondo le stime della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Asia occidentale (UNESCWA), nello scenario peggiore l’area MENA conoscerà un calo delle esportazioni pari a 88 miliardi di dollari (di cui 14 miliardi costituiscono l’export verso la regione e 74 miliardi quello verso il resto del mondo). Nel 2019 l’export totale era stato di un trilione di dollari, pari al 5% dell’export mondiale, mentre le importazioni ammontavano a 828 miliardi di dollari (il 4,4% dell’import mondiale). Sul lato dell’export, le perdite maggiori si registreranno nell’attività estrattiva (-56%), seguita dall’industria chimica (-15%), settore meccanico, dell’elettronica e di altre manifatture (-13%), dall’agricoltura e dall’industria di trasformazione degli alimenti (-8%) e servizi (-8%). Per quanto riguarda l’import, la cui contrazione è stimata intorno a 111 miliardi di dollari, i settori più colpiti saranno quello meccanico, dell’elettronica e di altre manifatture (-51%).
L’anno nero del turismo
Le restrizioni nei trasporti e nei viaggi hanno impattato fortemente sul commercio dei servizi e in particolare sul turismo, settore importante per molte economie dell’area. Secondo l’Organizzazione mondiale del turismo (UNWTO), da gennaio a ottobre si è registrato un calo del 73,4% negli arrivi internazionali in Medio Oriente e del 76,3% in Nord Africa (con un picco del -92% ad aprile), classificando la regione al secondo posto dopo l’Asia Pacifico (-82%) per contrazione nel settore. Se una graduale ripresa è attesa a partire dal 2021, quando si inizierà a contenere la pandemia con la diffusione dei primi vaccini, la UNWTO stima che ci vorranno dai due anni e mezzo ai quattro anni prima che si possa ritornare alla fase pre-pandemia. Secondo gli esperti, si dovrà attendere invece il 2024 perché in Medio Oriente ci sia una ripresa del settore dell’aviazione civile. Si stima che il calo dei passeggeri alla fine del 2020 sarà di oltre 140 milioni (in pratica 60 milioni di passeggeri rispetto ai 204 milioni del 2019), mentre la perdita di posti di lavoro nell’aviazione e nelle attività correlate si aggirerebbe intorno a 1,7 milioni, cioè oltre la metà della forza lavoro occupata nel settore (3,3 milioni).
Con l’aviazione il turismo, che contribuisce al 5,3% del Pil e occupa 6,7 milioni di lavoratori nell’area MENA, è uno dei settori più colpiti. Gli effetti sono stati disastrosi soprattutto in Egitto, Libano, Marocco e Tunisia, Paesi in cui le attività turistiche contribuiscono maggiormente all’economia. Nei primi nove mesi dell’anno, le entrate da turismo in Tunisia sono crollate del 60% e si attende un ulteriore calo, fino al 70%, alla fine del 2020. Infatti, nonostante la predisposizione di misure e protocolli sanitari a partire dai mesi di giugno e luglio per favorire il ritorno dei turisti durante l’estate, l’arrivo della seconda ondata di contagi mantiene un outlook negativo e in ulteriore peggioramento per il settore. A soffrire della crisi sono anche i Paesi del GCC (Gulf Cooperation Council)che hanno subito perdite significative. Si pensi anche al posticipo di grandi eventi quali ’Expo Dubai 2020 che avrebbe dovuto portare 25 milioni di visitatori negli Emirati Arabi Uniti, o alla sospensione del pellegrinaggio ai luoghi sacri di Mecca e Medina per i fedeli non sauditi (annualmente oltre 2 milioni).
Investimenti in ritirata
Per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri (IDE), si stima una riduzione del 45%, pari a un valore di 17,8 miliardi di dollari. Si tratterebbe del punto più basso toccato dagli IDE nella regione, un record negativo superiore a quello del 2011 quando l’area MENA fu attraversata dall’ondata di proteste delle Primavere arabe. Nell’ultimo decennio la perdurante instabilità politica non ha favorito una significativa ripresa degli IDE, che non sono riusciti a raggiungere il picco di 88,5 miliardi di dollari del 2008.
Non da ultimo, da tenere in particolare considerazione sono anche le conseguenze sociali della crisi economica e soprattutto l’impatto sulle categorie più vulnerabili (donne, giovani, anziani, rifugiati). Si stima infatti che nella regione oltre 100 milioni di persone vivano sotto la soglia di povertà, su una popolazione totale di 457 milioni (World Bank, 2019), e che la crisi scatenata dall’emergenza pandemica possa fare aumentare la cifra di altri 8,3 milioni, acuendo le diseguaglianze socio-economiche, creando allo stesso tempo il terreno per nuovi movimenti di protesta, che la pandemia ha sospeso, ma non spento. L’ondata di proteste del 2018-2019 in Algeria, Iraq, Libano e Sudan è la dimostrazione più evidente che, ad anni di distanza dallo scoppio delle Primavere arabe, le richieste popolari di cambiamento politico, giustizia sociale, maggiori libertà e opportunità economiche sono rimaste in larga parte disattese. Come trasformare la crisi pandemica in una opportunità di cambiamento e di crescita è oggi la sfida più grande per i paesi MENA.