Ormai è certo: il prossimo direttore generale del WTO sarà una donna. La prima volta nei 25 anni di vita dell’Organizzazione mondiale del Commercio, una delle maggiori istituzioni internazionali. Alla penultima tappa della selezione, due candidate sono infatti arrivate sul filo di lana del prestigioso traguardo: la nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala, e la sud-coreana Yoo Myung-hee. La scelta finale dovrebbe arrivare il 7 novembre (in ogni caso, dopo le presidenziali USA).
Non sono mancate finora donne ai vertici delle organizzazioni globali: Kristalina Georgieva attuale direttore generale del Fondo monetario (FMI) o il suo predecessore Christine Lagarde oggi a capo della Banca Centrale Europea (BCE), per fare due esempi. Ma sono entrambe rappresentati del Nord del mondo. E qui sta la novità per il WTO: le due donne rimaste in lizza arrivano entrambe dal Sud del mondo. Dall’Africa, in particolare, colei che appare in pole position per succedere al brasiliano Roberto Acevêdo, dimessosi in anticipo alla fine dello scorso agosto. Ex ministro delle Finanze del suo Paese, Ngozi Okonjo-Iweala (oggi cittadina americana) gode di un generale apprezzamento anche per il lavoro svolto come managing director della Banca Mondiale. Yoo Myung-hee è invece il combattivo ministro del Commercio di un campione degli scambi quale la Corea del Sud, prima donna a ricoprire tale carica.
Chi delle due conquisterà la carica alla guida del WTO si ritroverà in ogni caso a gestire un’eredità davvero pesante. Non c’è solo la crisi di un’Organizzazione che ha bisogno di riscrivere le regole di coesistenza sul fronte degli scambi internazionali, regole oggi ancora troppo a favore degli interessi dei grandi Paesi avanzati (USA, Europa e Giappone in prima fila) e messe ancor più in forse dalla aggressiva politica dei dazi a tutto campo della presidenza Trump e dalla crisi del multilateralismo. Ci sono da affrontare, anche e soprattutto, le conseguenze per il commercio globale del più grande shock economico dalla Seconda Guerra mondiale che, causa pandemia, sta buttando all’aria un ordine economico internazionale già da tempo in via di ridefinizione. Servirà scrivere le regole del mondo post Covid-19: economie meno globalizzate, più digitalizzate, meno eguali. Con spinte protezionistiche generalizzate e con un accorciamento delle catene del valore che già porta alla regionalizzazione degli scambi. Da questo punto di vista e nell’ottica di quanto i commerci siano importanti per garantire crescita e riduzione della povertà, il WTO potrà servire da cantiere?
Frenata da Coronavirus
Le ultime previsioni sul fronte del commercio internazionale fanno tremare i polsi, anche se meno catastrofiche di qualche mese fa. Se il WTO lo scorso aprile prevedeva per il 2020 una caduta di due volte superiore (-32%) a quella registrata a seguito della crisi finanziaria del 2009 (-12%), nell’ultimo outlook lascia spazio a qualche ottimismo prevedendo una contrazione minore (-9,2%), grazie alla tenuta dell’export asiatico (a partire dalla Cina), e un aumento del +7,2% nel 2021. Anche l’ultimo World Economic Outlook FMI, reso noto il 13 ottobre, migliora le sue previsioni iniziali per il commercio globale in volume di beni e servizi: -10,4% per quest’anno, con invece una crescita del +8,3% nel 2021.
In base a queste previsioni d'autunno, dunque, la ripresa dovrebbe arrivare prima per i Paesi la cui crescita è trainata dalle esportazioni. Ma la seconda preoccupante ondata della pandemia da coronavirus potrebbe abbattersi come una doccia gelata sui tentativi di rimbalzo di economie sotto stress, nel Nord come nel Sud del mondo, fatta forse eccezione per Cina e i Paesi asiatici che meglio hanno reagito alla crisi sanitaria. Rigurgiti protezionistici, aumento generalizzato delle tariffe, guerre commerciali combattute a colpi di dazi, e non solo nella Guerra Fredda 2.0 che vede l’un contro l’altro armati USA e Cina in gara per la leadership globale del mondo post-Covid: questo il difficile contesto in cui il prossimo direttore generale del WTO si ritroverà a operare. Mentre - come sottolinea sempre il FMI - aumentano pericolosamente le diseguaglianze con 90 milioni di persone destinate a entrare nel ghetto della povertà estrema.
Una crisi che viene da lontano
E poi c’è la debolezza di un’Organizzazione che raggruppa 164 Paesi, ma che non tutela gli interessi di tutti, navigando con difficoltà nelle acque sempre più tempestose di un multilateralismo in crisi di identità. L’attacco più forte all’operatività del WTO negli anni più recenti è venuta dal “nemico numero uno”: il presidente USA Donald Trump in nome della tutela degli interessi americani fatti valere anche nel caso di altre importanti organizzazioni internazionali. Esempio più concreto: il blocco dell’operatività dell’Appellate Body, l'Organo d'appello del WTO per la risoluzione delle controversie in materia di scambi commerciali.
Che molto non funzioni è dimostrato dalla recente attesissima decisione WTO (13 ottobre) in materia di sussidi alle imprese aerospaziali USA “United States — Measures Affecting Trade in Large Civil Aircraft — Second Complaint” (DS353) che segue quella a sfavore della UE dello scorso anno, i cosiddetti casi Boeing e Airbus. Risultato: né Stati Uniti né Unione Europea rinunciano per ora alle retaliations, in attesa di un accordo bilaterale di là da venire. E in attesa del nuovo inquilino della Casa Bianca. Ma nel caso di una vittoria del democratico Joe Biden, pur a favore del multilateralismo, qualcosa potrebbe cambiare? Non c’è da illudersi più di tanto, secondo gli osservatori. Biden continuerà a tutelare gli interessi americani: non si è espresso su cosa intende fare per sboccare la situazione dell’Appellate Body, auspicata invece da Bruxelles perché ritenuta fondamentale per il funzionamento delle regole in materia di commercio internazionale. Del pari non sappiamo se Biden, pur criticandoli, cancellerà i dazi imposti dall’amministrazione Trump o li userà come arma di scambio a favore dell’America.
Il momento giusto
Pur nella tempesta della crisi imposta dalla pandemia, forse oggi esiste una congiunzione astrale che potrebbe aiutare una donna a capo del WTO. La carica consiste in un’azione di mediazione continua nella ricerca di compromessi su negoziati e scontri commerciali. Ebbene, oggi da più parti si auspica una riscrittura delle regole globali, facendo spazio anche ai nuovi protagonisti dell’economia e della politica mondiali, assenti al tavolo in cui nel secolo scorso sono state scritte le regole del mondo seppellito dalla pandemia. Nella sua ultima enciclica “Fratelli tutti”, lo stesso Papa Francesco auspica “una riforma dell’ONU” e condanna la “cultura dei muri”. Nel blog di Gita Gopinath, direttore del Dipartimento Ricerca FMI si legge: “Questa è la crisi peggiore dalla Grande Depressione, e ci vorrà un alto grado di innovazione sul fronte delle politiche, a livello nazionale come internazionale, per uscire da questa calamità”.
Innovazione e ristrutturazione: le parole d’ordine anche per il futuro direttore WTO e la riforma dell’Organizzazione alla cui guida, 25 anni fa, venne chiamato l’italiano Renato Ruggiero. Una congiunzione astrale da non perdere per la favorita Ngozi Okonjo-Iweala: la rappresentante di un’Africa che ancora pesa solo per il 2% del commercio internazionale, ma che appare la più fiduciosa nella validità del libero scambio con il varo dell’African Continental Free Trade Area (ACFTA), la grande area di libero scambio operativa dal prossimo anno. Okonjo-Iweala, ad esempio, potrà riprendere la battaglia dei Paesi in via di sviluppo contro i sussidi all’agricoltura di USA ed Europa su cui si sono arenati i negoziati del Doha Round e le speranze dell’allora ministro al Commercio indiano Kamal Nath. Potrà affrontare il nodo della regolamentazione del nuovo strategico fronte dell’e-commerce. E potrà lavorare a un tavolo di nuovi attori per nuove regole condivise. Questo e altro potrebbe essere il “cantiere WTO”. Missione impossibile?