Reagire alla Crisi: Recovery Fund, l’ora dell’Italia | ISPI
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Coronavirus in Italia
Reagire alla Crisi: i rischi di un nuovo lockdown
Antonio Villafranca
23 ottobre 2020

La tanto temuta seconda ondata di contagi in Europa e in Italia sembra ormai in pieno svolgimento. Dalla Spagna, alla Francia, dal Regno Unito al nostro Paese nuove restrizioni si susseguono di giorno in giorno minando così alla base una ripresa che in estate sembrava possibile. Nuovi aiuti per le imprese e le famiglie sono dunque necessari. Che conseguenze avranno queste nuove restrizioni sull’economia? E quale la sostenibilità di nuovi aiuti a imprese e famiglie?

 

Una ripresa troncata sul nascere…

Secondo gli ultimi dati del Fondo Monetario Internazionale, più pessimistici rispetto alle stime del governo, il Pil dell’Italia quest’anno si contrarrà del 10,6%. Il nostro Paese farà dunque peggio della media dell’Eurozona (-8,3%), confermandosi tra i Paesi economicamente più colpiti dalla crisi insieme alla Spagna (-12,8%) e alla Francia (-9,8%), e facendo decisamente peggio rispetto alla Germania che dovrebbe contrarsi “solo” del 6%. 

A rendere il quadro ancora più negativo sono le previsioni per il 2021. Fino ad alcuni mesi fa ci si aspettava che almeno alcuni Paesi Ue avrebbero recuperato il terreno perso quest’anno, ma ormai appare chiaro che questo non accadrà. Ad agosto si registravano in Italia e in altri Stati Ue (ma non in Spagna già alla presa con l’aumento dei contagi) alcuni timidi segnali di ripresa, con una crescita dell’export (che comunque non riusciva a portare la contrazione delle nostre esportazioni sotto il 7% rispetto allo scorso anno). Ma queste previsioni sono fatte escludendo un nuovo lockdown come quello della scorsa primavera. Se questo invece si verificasse, le stime dovrebbero inevitabilmente essere riviste ancora al ribasso: per il 2020 (o per il 2021 a seconda di quando il nuovo lockdown possa aver luogo) il Pil arretrerebbe di un ulteriore 1,5-2% almeno. Con la desolante impennata dei contagi nelle ultime settimane, si tratta purtroppo di una ipotesi sempre più plausibile. 

Secondo alcuni calcoli, le nuove restrizioni introdotte dal governo dovrebbero costarci circa 700 milioni di euro al mese. Restrizioni che pesano particolarmente in Lombardia, una regione che produce circa il 22% del Pil italiano e che ha già visto crollare il proprio Pil di oltre il 9% e ha subito un tonfo nelle esportazioni soprattutto nel settore automotive (-28,4%) e in quello della moda (-24%), registrando un segno positivo solo in pochissimi settori come quello farmaceutico (+20%) e degli alimentari (+2%). Insomma in Italia e in Europa la situazione si fa sempre più cupa, mentre i governi si affrettano a varare nuove inevitabili misure di sostegno alle imprese e alle famiglie.

 

…e il costo della resistenza

Di fronte a un quadro e a prospettive così negative sorprende quasi che le conseguenze sociali siano state finora relativamente ridotte. Gli ingenti aiuti pubblici e lo stop ai licenziamenti in Italia hanno fatto sì che l’impatto della crisi sembri addirittura inferiore a quello della precedente crisi finanziaria benché la contrazione del Pil risulti decisamente maggiore. La disoccupazione in Italia quest’anno aumenterà di poco più di un punto percentuale rispetto all’anno scorso (raggiungendo l’11%), e dovrebbe crescere ulteriormente fino al 12% nel 2021. Stime simili sono rinvenibili in Francia, mentre si trovano agli opposti Spagna (16,8% quest’anno) e Germania (4,3%). La giusta logica del “non lasciare nessuno indietro” sembra stia pagando. Per essere chiari: l’impatto sull’occupazione è molto negativo e le conseguenze sociali ci sono eccome, ma sono finora più limitate rispetto a quanto lascerebbe presagire un crollo senza precedenti del Pil. 

Certo, tutto questo ha un prezzo molto alto di cui però al momento non ci curiamo abbastanza: il debito pubblico. Quello italiano si appresta ormai a superare l’impressionante soglia del 160% del Pil, ma sorprende anche quello francese ormai prossimo al 120%. Addirittura in Germania il mantra del 60% è stato ormai abbandonato, con Berlino che si avvia verso il 73%. Lo sforzo dell’indebitamento comune europeo tramite il Recovery Fund è una scappatoia quanto mai utile per ridurre il peso dell’indebitamento sui singoli Stati europei, così come continua a risultare essenziale l’impegno della Banca centrale europea che sta derogando a tutto il derogabile pur di garantire stabilità finanziaria e, di fatto, mantenere lo spread rispetto ai bund tedeschi a un livello incredibilmente basso rispetto alla gravità della situazione. 

Ma se ci fossero nuovi lockdown generalizzati in Europa e se le infezioni crescessero anche in altri continenti, fino a quando si potrà evitare una crisi finanziaria? Certo non è detto che questa arrivi da un Paese avanzato se le banche centrali continueranno a fare il possibile (e anche di più) e se nell’Ue non si perderà ulteriormente tempo nell’implementare il Recovery Fund e avviare il relativo bilancio 2021-2027. Appare invece sempre più probabile che uno tsunami finanziario arrivi da alcuni paesi in via di sviluppo messi in ginocchio dal Covid-19 e che non possono contare sulle risorse (e sulla capacità di indebitamento) delle economie mature (qui un articolo sul tema). Questo tsunami colpirebbe inevitabilmente anche le economie mature, a partire da quelle più indebitate come l’Italia. 

Motivo in più perché l’Italia faccia la propria parte su due fronti. Primo su quello europeo, lavorando incessantemente con i partner Ue per sbloccare l’accordo sul bilancio comunitario e puntando a una cooperazione in campo sanitario che abbia la stessa ambizione di quella avuta sul piano economico con il Recovery Fund. Secondo sul piano globale. Nel 2021 il nostro Paese assumerà la presidenza di turno del G20, ovvero di quell’organismo multilaterale che aveva permesso di superare la precedente crisi finanziaria con un’azione internazionale concertata. Al momento poco è stato fatto a questo livello (il debt relief verso i Paesi più poveri aiuta ma è quantitativamente e temporalmente insufficiente) e starà all’Italia in primis tessere una rete di rapporti che permetta al G20 di tornare al ruolo che aveva avuto in passato. Certo, noi potremo fare la nostra parte, ma con più di un occhio alle urne americane.

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Antonio Villafranca
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