La deflagrazione del conflitto in Ucraina ha portato a una risposta decisa da parte della comunità internazionale nei confronti della Russia. Così decisa (e per molti versi coordinata) da risultare, secondo alcuni analisti, addirittura sorprendente. Un quadro sanzionatorio abbastanza capillare, l’invio di armi e l’impegno di aumentare la spesa militare per i prossimi anni sono stati in effetti salutati come un cambio di paradigma, soprattutto a livello europeo. Ma se da un lato questa rinnovata unità di intenti ha rinverdito le considerazioni sull’idem sentire del mondo occidentale, dall’altro appare forse prematuro concludere che l’attuale crisi possa rafforzare il multilateralismo e le sue organizzazioni, alcune delle quali peraltro descritte in crisi (se non praticamente defunte) neanche tre anni fa.
Il ritorno della NATO?
Prendiamo, ad esempio, la NATO. Reduce da un summit che, secondo alcune analisi, avrebbe addirittura cambiato il futuro delle relazioni transatlantiche, l’alleanza occidentale ha in realtà semplicemente deciso di inviare nuove formazioni militari in alcuni Paesi dell’Est Europa. Per il resto, persino la proposta di ispirarsi a un’ambiguità costruttiva è stata ritenuta troppo ambiziosa ed esclusa dal comunicato finale del vertice. Risultati apparentemente poco incisivi, dunque. Sia per il presidente Zelensky che, teorico beneficiario di un sostegno più concreto da parte dell’Occidente, non perde occasione di sottolinearne la mancanza di coraggio. Sia per l’UE che, come sostiene l’ex primo ministro francese Manuel Valls, rischia di pagare un prezzo moralmente molto elevato per questa incertezza.
Difficile dunque intravedere, nella gestione della crisi odierna, un cambiamento epocale delle strategie transatlantiche. Così come appare quasi paradossale che le ambiguità della NATO si manifestino proprio nel momento in cui l’UE cerca di fare chiarezza, pubblicando le sue linee guida in materia di sicurezza. Come hanno avuto modo di sottolineare autorevoli commentatori, non è la prima volta che l’Europa ricorre alla stesura di un “manifesto" sulla sicurezza comune. Tuttavia, alla luce dei limitati poteri di cui gode in materia di difesa, tale esercizio rischia di avere risultati contenuti, mancando all’UE (a) l’autonomia decisionale rispetto ai suoi Stati membri; (b) un ruolo chiaro rispetto a quello della NATO in caso di un evento bellico; (c) un’adeguata forza di intervento. La mancanza di poteri e la sua dipendenza dall'alleanza atlantica indebolisce poi l’UE anche dal punto di vista degli approvvigionamenti militari, che potrebbero essere maggiormente coordinati e sui quali, apparentemente, i Paesi membri si stanno invece muovendo in maniera autonoma.
OMC, ONU, G7, G20: un difficile rafforzamento
La crisi ucraina, più che rafforzare le organizzazioni internazionali, ne sta facendo affiorare le contraddizioni. Tuttavia, sostenere che il multilateralismo sia defunto appare quantomeno affrettato. Basti guardare al commercio internazionale che equivaleva, pre-pandemia, al 56,3% del Pil globale e che rimarrà la trave portante dei rapporti internazionali anche dopo la fine della crisi attuale. Oppure ai 573 accordi (in larga parte regionali) che tuttora caratterizzano lo scambio di beni e servizi o alle 3.238 intese sugli investimenti oggi in vigore a livello globale. Anche la stessa Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), da cui molti Paesi vorrebbero espellere la Russia, funziona secondo regole che (a) favoriscono grandemente le nazioni aperte agli scambi rispetto a quelle autarchiche e (b) rendono difficile l’espulsione di uno Stato membro.
Ciò che invece appare opinabile è che (a) l’attuale crisi ucraina stia gettando le basi per un rafforzamento delle organizzazioni internazionali; (b) tale rafforzamento possa avvenire anche attraverso l’esclusione di Mosca. Dopotutto, nel recente passato la Russia è già stata esclusa da forum internazionali, come avvenne per il G8 dopo l’invasione della Crimea del 2014, senza che questa decisione abbia portato a un potenziamento del nuovo formato a sette. Così come rimane da capire se un’eventuale esclusione russa dal G20 (o addirittura dall’ONU – che è però praticamente impossibile data la presenza della Russia nel Consiglio di Sicurezza) non rischi in realtà di avere pochi effetti pratici e alimenti, invece, il sentimento anti-occidentale di quei Paesi (come la Cina) di cui Washington e Bruxelles avrebbero bisogno per isolare Mosca.
Multilateralismo non vuol dire “fare assieme”
Il mondo occidentale ha dato prova di unità di intenti nell’affrontare la prima parte della crisi. Ma, ammesso che i suoi leader siano veramente attraversati da un accresciuto afflato internazionalista, il difficile viene adesso. Si guardi ad esempio alle differenti vedute in seno all’UE sul tema degli approvvigionamenti energetici, con il governo tedesco perplesso sul decoupling della sua economia da Mosca e svariati Paesi membri che, invece, si stanno muovendo in autonomia per rimpiazzare il gas russo. Oppure al tema delle spese per la Difesa su cui, nonostante gli annunci di molti governi, si registrano resistenze sia a livello di forze politiche nazionali che di opinione pubblica europea.
Come ha recentemente sostenuto un autorevole commentatore, “It’s free for all in today’s geopolitics. Probably, like never before”. Perché la propensione a definire accordi commerciali/di investimento con altre nazioni non implica infatti la volontà di gestire il global commons attraverso enti sovranazionali. Non succede né per l’ambiente, né per la salute globale. E nemmeno nel campo della sicurezza, considerato che nulla ha impedito alla Turchia (e alla Grecia) di acquistare materiale militare dalla Russia, pur continuando a far parte della NATO.
Multilateralismo non significa quindi “fare assieme”. Tantomeno significa delegare funzioni a organismi sovranazionali, di cui nella storia si contano pochi e sparuti casi di successo. Piuttosto, multilateralismo significa trovare una controparte con cui, utilitaristicamente, concretizzare i propri interessi. Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano, diceva che per Israele “non esiste politica estera, ma solo politica interna.” Un concetto molto chiaro e, in realtà, estendibile a tutti gli Stati del pianeta. Make America Great Again? Made in All of America? Global Britain? Dual Circulation Strategy? Non sono la stessa cosa, certamente. Ma c’è un fil rouge che li accomuna: la necessità di soddisfare, come prima cosa, le singole constituencies nazionali. Anche attraverso decisioni di politica estera. Perché la Realpolitik è ancora tra noi. Ed è qui per restare.