Recovery Fund e bilancio UE: ecco perché ci guadagnano tutti
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Opportunità e sfide
Recovery Fund e bilancio UE: ci guadagnano tutti
Franco Bruni
22 luglio 2020

Non è stato un tiro alla fune, un gioco a somma zero. Tutti ci hanno guadagnato. La durezza dei quattro giorni di trattative, esasperata da dichiarazioni guerresche dei protagonisti dirette alle rispettive tifoserie nazionali, ingigantisce l’apparenza delle divergenze. In realtà c’è stata molta convergenza su aspetti cruciali.

Il principale è l’idea di collegare massicci finanziamenti per aiutare la ripresa dalla crisi epidemica, distribuiti privilegiando i paesi più colpiti dal virus, a un’evoluzione del bilancio dell’Unione che era stata progettata da tempo senza sufficiente consenso. Si cercava di accordarsi su un bilancio più ampio, più orientato alla produzione di beni pubblici europei (quali difesa, sicurezza, migrazioni, ricerca, sanità) e meno ai meri ri-trasferimenti di fondi ai paesi membri (soprattutto sussidi all’agricoltura e alle regioni meno sviluppate). Un bilancio dotato di maggiori “risorse proprie”, cioè fondi raccolti direttamente dall’Unione, anche con imposte specifiche su contribuenti europei, e non trasferiti dai bilanci nazionali come fossero quote di iscrizione annuale dei paesi a un club Europa.

In effetti la cura comune dello shock Covid, con la promozione della salute dei cittadini e dell’ambiente, della ricerca e del progresso tecnologico, è un tipico bene pubblico europeo e c’è un collegamento sostanziale fra il Next Generation EU (NGEU) e il quadro finanziario 2021-27 che sono stati significativamente decisi insieme e che insieme quasi raddoppiano la dimensione della finanza pubblica comunitaria. Anche se nelle intenzioni di alcuni si tratta di un collegamento e di un ampliamento provvisori, destinati a rientrare con la fine della crisi Covid, sarà difficile che non lascino segni perenni, soprattutto se saranno varate le imposte specifiche (come quelle sulla plastica e l’inquinamento, i trasporti, le comunicazioni digitali e le transazioni finanziarie) che sono in considerazione. In pratica dovrebbe diventare gradualmente più innaturale e difficile parlare di quanto ogni paese versa all’UE e di quanto ne riceve, perché entrate e uscite di Bruxelles saranno sempre più esplicitamente dirette all’insieme dell’Unione.

Un altro punto che non è stato messo in discussione è che il bilancio UE dei prossimi anni sarà in deficit, per la prima volta, e sarà finanziato con emissioni sui mercati internazionali di titoli per i quali i paesi membri saranno congiuntamente debitori. L’importanza di questo indebitamento comune si avvicina a quella che rivestì la creazione dell’euro, anche per i suoi riflessi globali.

Queste convergenze danno a NGEU finalità che vanno oltre il rimedio ai danni del virus. Il tentativo è di migliorare la crescita di lungo periodo, correggendo freni e difetti della crescita precedente il Covid, aumentando e riorientando la produttività. Per l’Italia questo aspetto è di particolare importanza. Infatti, anche se i benefici del programma europeo sono stati particolarmente concentrati sul nostro paese perché esso è stato più ferito di altri dal virus, l’Italia pre-Covid aveva speciali difficoltà a crescere, produttività bassa e cattiva allocazione delle risorse. Ne viene che la qualità degli interventi che sapremo programmare è cruciale e le “raccomandazioni specifiche” che la Commissione invia ogni anno ai paesi per influenzare la loro strategia di politica economica andranno prese con molta più attenzione del solito anche perché saranno la base del giudizio che gli organi comunitari daranno sul nostro uso dei fondi NGEU e sulla possibilità di poter continuare a usufruirne. Non si tratta di iniettare soldi in un’economia inefficiente per rimediare alle ferite della pandemia rigonfiando la domanda aggregata: occorrono profonde riforme strutturali.

Al di là delle convergenze è indubbio che l’asprezza delle discussioni in seno al Consiglio rivelano contrasti che possono nuocere al successo e spiegare alcuni difetti delle decisioni prese. Carenza di reciproca fiducia e radicati atteggiamenti nazionalisti ostacolano ancora l’idea di un’Europa che supera la somma dei suoi paesi membri che hanno interessi che nell’UE si confondono in modo in parte inestricabile. Basta ascoltare i commenti dei media sui risultati di Bruxelles, tutti intenti a esaminare “chi ha vinto e chi ha perso” e che cosa il tal paese ha “portato a casa” dalla trattativa. L’accento andrebbe gradualmente spostato su ciò che il paese ha portato all’UE e su quanto questa nel suo insieme ha beneficiato dall’accordo. Sarà importante gestire le decisioni specifiche e annuali del bilancio europeo con occhio più comunitario, concentrando il più possibile le spese – lo si è detto più sopra – nella produzione di beni pubblici europei, come si era tentato di decidere prima della pandemia e come non si sarebbe fatto se questa non ci fosse stata. La crisi in questo senso deve davvero diventare un’opportunità.

L’ostruzionismo di alcuni paesi ha inoltre prodotto il taglio “di bandiera” di 110 miliardi di contributi “a fondo perduto” proposti dalla Commissione, compensandoli con maggiori prestiti. La nuova ripartizione dei fondi ha causato riduzioni piccole ma significative di spese schiettamente comunitarie come quelle per la ricerca e il clima. Si tratta di rimediare orientando adeguatamente le spese nazionali e i fondi a debito. L’affiancamento di un NGEU ufficialmente provvisorio e i maggiori rimborsi ottenuti da alcuni paesi in cambio del loro consenso hanno inoltre sacrificato parte dell’ampliamento e del miglioramento qualitativo del bilancio pluriennale: di questo, come della rinuncia a condizionare più severamente i fondi europei al rispetto dei diritti civili, il Parlamento, che sul bilancio ha diritto di veto, si lamenterà creando potenziali difficoltà al completamento dell’iter di approvazione dell’accordo.

Alla radice dei contrasti nel Consiglio ci sono stati spesso, più che veri conflitti fra interessi nazionali, problemi di consenso politico nei paesi membri e la presenza in patria di partiti sovranisti che i capi di stato e di governo a Bruxelles hanno tentato di impressionare con atteggiamenti battaglieri, a tratti più apparenti che reali. Ora i sovranismi dovranno fare i conti col successo comunitario che non potrà non impressionare anche i loro sostenitori. Si tratta di confermare la bontà dei risultati della trattativa mettendo in pratica bene l’accordo e dimostrando la concretezza dei suoi benefici.

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AUTORI

Franco Bruni
Vice Presidente ISPI

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