Si è fatta attendere una ventina di giorni in più rispetto al previsto ma alla fine la Commissione europea ha scoperto le carte e presentato la sua proposta per il Recovery Fund. È bene però chiarire subito una cosa: non è detto che quando il Fondo entrerà in vigore sarà esattamente come lo propone la Commissione. Si apre infatti adesso una negoziazione tra i leader europei che dovranno riunirsi in un Consiglio europeo straordinario cui spetterà l’ultima parola.
A dare una mano alla Commissione europea ci avevano pensato nei giorni scorsi la cancelliera Angela Merkel e il presidente Emmanuel Macron che in una dichiarazione comune si erano detti a favore di un Fondo da 500 miliardi da ottenere attraverso l’emissione comune di bond europei. Una scelta coraggiosa soprattutto da parte della cancelliera che non era piaciuta per nulla ai paesi ‘frugali’ del Nord, a partire da Olanda e Austria.
La proposta della Commissione rappresenta comunque il punto fermo attorno al quale si dipaneranno le negoziazioni. Andiamo quindi per ordine e cerchiamo di capire che Recovery Fund ci aspetta. Le questioni cruciali sono: quanti soldi mette sul piatto l’Ue? Dove troverà questi soldi? A chi verranno dati e a quali condizioni?
A quanto ammonta il Fondo e dove reperisce i soldi
Secondo la Commissione europea il Recovery Fund potrà contare su una potenza di fuoco di 750 miliardi di euro da distribuire ai paesi membri (cui si aggiungeranno i fondi del bilancio Ue 2021-2027 pari a circa 1.100 miliardi di euro). Una cifra che semplicemente non ha precedenti nella storia dell’Ue. Tanto più che per reperire i 750 miliardi verrà fatta una emissione comune di bond. Non a caso (e con una punta di orgoglio) la Commissione chiama l’intera iniziativa “Next generation EU”. Affinché sul mercato questi bond risultino appetibili (titoli ‘tripla A’ sui quali pagare bassissimi tassi di interesse) il bilancio Ue viene usato a garanzia dell’emissione. Ma dato che il bilancio è piuttosto esiguo (pari a circa l’1% del Pil europeo) e non ritenuto ‘congruo’ rispetto a una emissione (e relativo pagamento) di titoli di questa portata, si prevede che per il periodo 2021-2027 possa aumentare significativamente anche attraverso nuove risorse proprie dell’Unione che lieviteranno fino al 2% del Pil. Le nuove risorse proprie dovrebbero includere la ‘plastic tax’, la tassazione dei giganti del Web e la riforma (ed estensione ad altri settori) dello European Trading Scheme (il meccanismo di allocazione, a pagamento, dei permessi di inquinamento per le grandi aziende).
È bene sottolineare che alla scadenza dei titoli emessi, il ripagamento spetterà alla Commissione europea e, significativamente, non ai singoli paesi membri. Si tratterà peraltro di titoli a lunga scadenza. La Commissione prevede infatti che il ripagamento non avverrà prima del 2028 e dopo il 2058. In poche parole, si tratta a tutti gli effetti di un indebitamento comune.
A chi andranno e come verranno spesi i soldi
Riprendendo in parte la proposta franco-tedesca, secondo la Commissione i soldi diretti ai paesi membri saranno in larga parte contributi (fino a 500 miliardi) e nella rimanente parte (250 miliardi) prestiti (che in quanto tali dovranno poi essere restituiti dai singoli paesi membri all’Ue). In merito a quanto verrà dato a ciascun paese membro, la Commissione prevede un meccanismo di allocazione (‘allocation key’) che riconosce che la crisi da coronavirus ha colpito simmetricamente tutti i paesi membri ma sta producendo effetti asimmetrici, colpendo proporzionalmente molto di più i paesi del sud dell’Ue. Secondo le dichiarazioni del Commissario Gentiloni l’Italia dovrebbe essere il primo paese membro in termini di risorse allocate: oltre 81 miliardi di contributi a fondo perduto (‘grants’) e circa 91 di prestiti. Somme non indifferenti che, in assenza del Fondo, l’Italia dovrebbe reperire sui mercati aumentando ulteriormente il proprio (elevatissimo) debito pubblico. Riguardo agli obiettivi da perseguire, ovvero in merito a come spendere questi soldi (e con quali strumenti), la Commissione identifica tre pilastri.
Primo: supporto agli investimenti e alle riforme realizzate dagli stati membri per rilanciare la crescita. Questo avverrà principalmente attraverso la “Recovery and Resilience Facility” che potrà contare su circa 560 miliardi da distribuire sia attraverso contributi sia attraverso prestiti. La Commissione indica che la verifica della qualità della spesa e delle riforme adottate da ciascun paese membro beneficiario dei fondi debba avvenire nell’ambito del ‘tradizionale’ Semestre europeo (il meccanismo con il quale i paesi membri coordinano le loro politiche economiche, occupazionali e di bilancio) attraverso la presentazione di opportuni “National Recovery Plans” che diano conto appunto di come vengono spesi i soldi e delle riforme realizzate e/o da realizzare/completare. Per avere un’idea della condizionalità che l’Ue potrebbe dunque usare per l’Italia, si possono prendere in considerazione le ‘country recommendations’ periodicamente inviate dall’Ue ai paesi membri (qui le ultime per l’Italia): dalla riforma del sistema fiscale, a quella del mercato del lavoro, dalla maggiore efficienza della pubblica amministrazione (inclusa l’istruzione) alla riduzione dei tempi della giustizia. Tutti temi che incidevano sulla capacità dell’Italia di crescere già prima del Covid-19. Significativo il sostanziale cambio di passo fatto dall’Ue rispetto al passato. Gli errori compiuti con la precedente crisi finanziaria (a partire dalla Grecia) hanno evidentemente lasciato il segno. L’attenzione è rivolta infatti non tanto ai temuti ‘tagli’ quanto piuttosto al controllo della qualità della spesa; questa andrà infatti indirizzata verso una crescita più equa e sostenibile e accompagnata da riforme capaci di incidere sulle potenzialità di crescita del paese.
Nell’ambito dello stesso primo pilastro la Commissione identifica anche 55 miliardi che si aggiungeranno ai fondi di coesione e che quindi potranno essere indirizzate a quelle regioni europee maggiormente colpite dalla crisi.
Il secondo pilastro mira invece a incentivare gli investimenti privati e a incanalarli verso le aziende in difficoltà nei paesi maggiormente colpiti. Si potrà contare su 31 miliardi che, nelle intenzioni della Commissione, dovrebbero mobilizzare investimenti fino a 300 miliardi. Altri 15 miliardi invece saranno utilizzati per mobilizzare investimenti privati (fino a 150 miliardi) finalizzati ad accrescere l’autonomia strategica dell’Ue nel campo delle nuove tecnologie e delle catene del valore.
Il terzo pilastro infine (9,4 miliardi) è chiamato “EU4Health Programme” e investirà nella prevenzione delle epidemie e nell’acquisto di medicine e strumenti medicali.
Questa dunque la proposta della Commissione che non manca di ambizione e che va valutata includendo anche le altre iniziative che l’Ue nel suo complesso ha preso dall’inizio della crisi: dagli acquisti ‘straordinari’ della Bce dei titoli di stato, ai crediti (quasi) senza condizioni del ‘fondo salva-stati’, dallo Sure sull’occupazione ai prestiti alle imprese della Bei. Per un’Europa a lungo criticata – spesso a ragione – di immobilismo si tratta di una prova di forza.
Non è detta l'ultima parola
Alcune (importanti) questioni ‘tecniche’ sul Recovery Fund rimangono aperte, mentre iniziano ad arrivare le reazioni dei paesi ‘frugali’ del Nord che metteranno non pochi freni all’entrata in vigore del Recovery Fund (e ne potrebbero ridurre le ambizioni). Le loro critiche riguardano: l’ammontare complessivo del Fondo (ritenuto eccessivo), le modalità di erogazione (soprattutto la parte riguardante i contributi a fondo perduto) e la condizionalità (ancorata principalmente al Semestre europeo). Sottolineano al riguardo che il mancato rispetto degli impegni da parte degli stati membri potrebbe sulla carta essere sanzionato, ma non dimenticano che per Spagna e Portogallo in passato la sanzione c’è stata, ma ammontava a zero euro. Dato che sarà necessaria l’unanimità, non è escluso che il negoziato si protragga nel tempo, frustrando le attese di una entrata in vigore del Fondo in tempi rapidi. Tanto più che l’Olanda si avvia verso le elezioni del prossimo marzo e teme l’ulteriore ascesa dei partiti dell’estrema destra euroscettica proprio a causa del Recovery Fund. L’auspicio è che la presidenza di turno tedesca del Consiglio dell’Unione possa avere la forza di trovare la quadra nel prossimo semestre.
Un punto di incontro rispetto alle richieste (alcune delle quali obiettivamente comprensibili) dei paesi del Nord potrebbe riguardare le riforme, con un forte e chiaro impegno in tal senso da parte dei paesi del Sud. Si potrebbe anche cambiare la loro denominazione: da riforme dell’economia (che ci ricordano troppo da vicino la condizionalità ‘alla greca’) ad ammodernamento dell’economia (di cui l’Italia ha profondamente bisogno). Sarebbe una garanzia per i paesi del Nord che il Recovery Fund è davvero “stra-ordinario” e che i paesi del Sud saranno in grado di evitare crisi future approfittando proprio del Fondo per rendere le loro economie più competitive e moderne. D’altra parte questo sarebbe davvero nell’interesse di tutti.