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Commentary
Referendum catalano: tutti i limiti del principio di autodeterminazione
Manlio Frigo
29 settembre 2017

Volendo inquadrare il caso catalano nell’ambito della disciplina del diritto internazionale viene in rilievo la questione del diritto all’autodeterminazione dei popoli e alla sua eventuale applicabilità al caso in questione. Se si considera che il diritto internazionale si occupa, storicamente, di regolare le relazioni tra Stati sovrani e indipendenti, già si intuisce che lo spazio destinato a diritti di cui sia titolare un “popolo” non può che rappresentare un’eccezione. Il principio in questione è menzionato già nella Carta delle Nazioni Unite (1945), ma la sua portata e il suo contenuto normativo sono il frutto di successivi contributi della giurisprudenza internazionale e della prassi successiva. Non va dimenticato che l’ambito in cui il principio ha trovato anzitutto applicazione, grazie all’Assemblea generale dell’ONU, è quello del processo di decolonizzazione, affermando l’idea che le popolazioni soggette a dominazione coloniale abbiano il diritto di determinare liberamente la propria condizione politica e di perseguire liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale.

Al di là del processo di decolonizzazione, il principio era destinato ad applicarsi nelle relazioni tra gli Stati, garantendo alle popolazioni il cui territorio fosse stato occupato con la forza da uno Stato straniero di decidere il proprio destino politico.

Ad una (relativamente) più precisa definizione del principio in esame si giunge attraverso il fondamentale contributo della Corte internazionale di giustizia con i suoi pareri consultivi sulla Namibia (1971), sul Sahara occidentale (1975), nonché con la successiva sentenza relativa al caso di Timor Orientale (1995) e, ancora, con il parere sulla costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati (2004). Per completare il quadro si deve aggiungere la sentenza resa nel 1998 da una giurisdizione nazionale (la Corte suprema del Canada) a proposito della questione del Québec. Dovendo infatti valutare, su richiesta del Governo canadese, la legittimità delle pretese di indipendenza tramite secessione del Québec alla luce del diritto costituzionale canadese e del diritto internazionale, la Corte opera un’utile ricostruzione dei contenuti e dei limiti del principio di autodeterminazione, anche facendo tesoro dei contributi ai quali si è fatto cenno. Il principio in questione dunque si applica ai popoli che si trovino in tre situazioni specifiche: i popoli soggetti a dominio coloniale, i popoli il cui territorio è stato occupato da uno Stato straniero e i gruppi minoritari che all’interno di uno Stato sovrano si vedano rifiutare un accesso effettivo all’esercizio del potere di governo. Nella specie, la Corte conclude che tali circostanze eccezionali non ricorrono per il Québec.

Emerge dunque piuttosto chiaramente che non possono aspirare all’autodeterminazione così intesa tutti i popoli in quanto tali, ma solo quelli che rientrano in una delle tre ipotesi menzionate. La terza è, ovviamente la più problematica da definire, non solo perché - per quanto riguarda la definizione dei beneficiari di tale diritto - rimane la difficoltà di dare un contenuto concreto all’espressione “popolo”, ma anche perché in essa coesistono le due dimensioni interna (libera scelta del proprio governo) ed esterna (indipendenza) del principio stesso. Ed è proprio con specifico se non esclusivo riguardo a questa seconda dimensione (circoscritta dunque alle ipotesi di dominazione e/o di occupazione straniera) che l’autodeterminazione sembra essere considerata un “principio essenziale del diritto internazionale”, come ha ricordato la Corte internazionale di giustizia nel citato caso di Timor Orientale.

Il principio in questione, già di difficile e controversa definizione, deve inoltre confrontarsi con il limite rappresentato da un altro principio sancito dal diritto internazionale, relativo all’integrità territoriale degli Stati. Certo è che la dimensione interna del principio di autodeterminazione non può dirsi, allo stato attuale godere di una tutela né effettiva e neppure teorica da parte del diritto internazionale. E del resto, tutto quanto attiene alla dimensione c.d. interna dell’autodeterminazione non può non tenere conto dell’assetto interno dei singoli Stati interessati e, in particolare, di contenuti e limiti al suo esercizio determinati dal diritto costituzionale dei singoli ordinamenti.

Per restare nella realtà europea, non vi è dubbio che si stia assistendo da più parti all’emergere di istanze autonomiste più o meno marcate da parte di popolazioni di intere regioni o di minoranze all’interno di realtà statuali (anche e non solo) multietniche o plurilinguistiche. Questo è esattamente il caso, oggi, delle pretese secessioniste della Catalogna, così come di quelle manifestate nel recente passato in altri contesti (Scozia) o di altre latenti (Belgio, popolazioni basche).

Posto che è da ritenersi in questi casi inapplicabile il principio internazionale dell’autodeterminazione nei termini accennati sopra, in ossequio al principio di legalità è dunque alla luce dell’ordinamento costituzionale interno che deve essere valutata la legittimità di rivendicazioni del tipo menzionato che infatti, non a caso, hanno ottenuto risposte diverse nel caso della Scozia, dove l’ordinamento (e il governo) britannico hanno acconsentito allo svolgersi di un referendum popolare, e oggi in Spagna, dove per contro il Tribunale costituzionale e il governo centrale hanno decretato l’illegittimità del referendum medesimo. E, sempre per rimanere nell’alveo europeo, non è un caso che tanto il presidente della Commissione Ue quanto il presidente del Parlamento europeo – nel prendere le distanze dalle iniziative referendarie catalane – abbiano dichiarato che qualsiasi azione contro la costituzione di uno Stato membro è una azione contro il quadro legale dell'Unione europea.

Resta però da aggiungere che, una volta risolti i problemi di inquadramento giuridico, spetta alla politica farsi carico di tali questioni e utilizzare gli strumenti più adeguati per comporre contrasti non altrimenti sanabili sul solo piano della logica giuridica.

 

Manlio Frigo, Professore ordinario di diritto internazionale, Università degli Studi di Milano

 

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Europa Spagna referendum autodeterminazione diritto internazionale
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Manlio Frigo
Università degli Studi di Milano

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