A un anno dall’inizio delle manifestazioni di piazza contro il governo e il modello economico vigente, il Cile va ai seggi per decidere se vuole o no cambiare la sua Costituzione. Il referendum del 25 ottobre è un appuntamento trascendentale per definire il futuro di una società che sembra essersi svegliata da un profondo letargo.
Dopo aver creduto per anni di vivere in una nazione moderna ed efficiente i cileni si sono resi conto che il sistema costruito a partire dalla pesante eredità del regime militare (1973-1989) fa acqua da tutte le parti. Un paese con pochissimi disoccupati, ma dove moltissimi lavoratori hanno stipendi che non bastano a garantire un livello dignitoso di vita, uno stato sociale deficiente, con salute ed educazione pubblica di scarsa qualità, un meccanismo micidiale di indebitamento della classe media, costretta ad ipotecare tutto per poter far studiare i propri figli o far fronte a qualsiasi imprevisto, un regime pensionistico privato su base di capitalizzazione che non restituisce adeguatamente quanto versato durante la vita lavorativa.
Il variegato movimento di protesta è stato battezzato Estallido, lo scoppio, come una pentola a pressione che esplode dopo anni di silenzioso bisbiglio. Se durante il lungo inverno dominato dalla pandemia la piazza si è svuotata, con la primavera le proteste sono tornate e domenica scorsa ci sono state diversi scontri a Santiago e in altre città.
Il clima si sta scaldando. Due le domande a cui i cileni dovranno rispondere. La prima, “Volete una nuova Costituzione?”, è la più semplice e si prevede un 80% di approvazione. La seconda, con un risultato più aperto, è più tecnica e riguarda la composizione dell’assemblea chiamata a redigere la nuova Carta magna, che potrà essere composta interamente da costituenti eletti ad hoc o da una commissione mista composta al 50% da costituenti eletti e al 50% dagli attuali membri del Parlamento. I partiti di centrosinistra e la sinistra hanno fatto campagna a favore della riforma costituzionale e per un’assemblea costituente interamente eletta ad hoc. I partiti di governo di destra, salvo alcune eccezioni all’interno del più moderato Renovación Nacional (RN), sostengono il rifiuto alla nuova carta e nel secondo quesito sono favorevoli ad una commissione mista.
Due i principali interrogativi rispetto al voto, l’affluenza ai seggi e la logistica in tempo di pandemia. In Cile, a differenza della maggior parte dei paesi sudamericani, il voto non è obbligatorio. Dal 1989 ad oggi la partecipazione è in picchiata, nel secondo turno delle presidenziali del 2017 andò a votare il 50% degli aventi diritto. Oltre la metà degli elettori non ha mai votato in un referendum, visto che non aveva ancora 18 anni ai tempi di quello che mise fine al regime di Pinochet. La pandemia è sicuramente un elemento deterrente. La giustizia elettorale ha disposto una fascia preferenziale dalle 14.00 alle 17.00 per i maggiori di 60 anni e ha esteso l’orario di chiusura dei seggi dalle 17.00 alle 20.00. Sarà permesso portare una biro blu da casa per votare e in molte città è stata disposta la gratuità del traposto pubblico.
Sebbene non ci sia un quorum richiesto, tutti gli analisti concordano sull’importanza di un’affluenza accettabile per legittimare il futuro processo costituente, che si presenta lungo e sicuramente tortuoso. Se è vero che la costituzione pinochettista ha subito in trent’anni di vita democratica delle importanti riforme (la più consistente nel 2005, quando sono stati modificati diversi capitoli) il cuore rimane il principio di fondo della centralità dell’individuo e della proprietà privata rispetto al collettivo e allo Stato. Alla luce delle proteste e delle richieste condivise dall’opinione pubblica questa impostazione dovrà essere modificata, ma molto dipenderà dalle negoziazioni e discussioni future. Le istanze femministe ed ecologiste, quelle di riconoscimento di autonomia dei popoli indigeni, la riforma di scuola e università pubblica sono sul tavolo, ma nessuno può definire ora come saranno percepite e inserite nella nuova carta. I tempi, del resto, non sono immediati.
Le elezioni per scegliere i nuovi costituenti (che saranno il 50 o il 100% dell’assemblea, a seconda del risultato del secondo quesito referendario) sono state fissate ad aprile 2021. I lavori veri e propri inizieranno subito dopo ma non termineranno, presumibilmente, prima della metà del 2022. Il Cile ha dimostrato che vuole cambiare, ma dovrà avere molta pazienza prima che questo cambio arrivi per davvero.