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La nuova costituzione

Referendum in Tunisia: la vittoria di Saied

26 luglio 2022

Al referendum vince il Sì per la nuova Costituzione. La Tunisia va verso l’iper-presidenzialismo voluto da Kais Saied, ma per molti la deriva autoritaria è a un passo

 

Un plebiscito. Secondo le prime rilevazioni all’indomani del referendum, tra il 92-93% degli elettori tunisini ha votato Sì alla nuova Costituzione proposta e fortemente voluta dal presidente Kais Saied. La nuova Costituzione sarà dunque adottata, anche se il tasso di partecipazione si è fermato al 27% degli aventi diritto, poiché il referendum non prevedeva quorum. “Si apre una nuova fase per il paese” ha dichiarato il presidente Saied intervenendo, nella serata di ieri, in Avenue Bourguiba, dove centinaia di sostenitori si erano riuniti per festeggiare l’ormai certa vittoria nella consultazione. E di certo da domani la Tunisia cambierà volto: la nuova Legge fondamentale – che ha spazzato via quella approvata nel 2014, dopo la Rivoluzione dei Gelsomini – reintroduce nel paese un presidenzialismo forte, anzi fortissimo. Al capo dello stato sono riservata numerose prerogative, mentre nessun contropotere è in grado di bilanciarne l’autorità, di fatto, assoluta. Un testo, lamentano gli oppositori, che avevano invitato a boicottare il voto “a misura del presidente” e da cui lo stesso Sadok Belaid, il giurista che ne aveva redatto il testo poi modificato dal presidente, si è dissociato, ritenendo che possa “aprire la strada a un regime dittatoriale”.

 

 

Repubblica iper-presidenziale?

La nuova Costituzione di fatto trasforma la Tunisia in una Repubblica iper-presidenziale, aumentando i poteri istituzionali del capo dello stato che assume maggiori controlli anche sul governo e sulla magistratura. A queste prerogative, va aggiunto il fatto che Saied potrà ratificare leggi, sarà il Capo delle Forze Armate e potrà definire la politica generale dello stato con proposte al parlamento che andranno esaminate in via ‘prioritaria’. È previsto inoltre che il presidente sconti due mandati di cinque anni ciascuno – ma potrebbe prolungare il suo incarico – e sarebbe in grado di sciogliere il parlamento. A sua volta, il capo dello stato invece non sarebbe soggetto ad alcun controllo, poiché la nuova Costituzione – a differenza di quella del 2014, approvata dopo la ‘Rivoluzione dei Gelsomini’ – non include disposizioni per l'impeachment del presidente, rendendolo virtualmente inamovibile dall’incarico. Inoltre, per la prima volta in un paese arabo, l’Islam non è contemplato come religione di stato, sebbene la Tunisia sia definita “parte della comunità islamica" e "lo stato deve lavorare per raggiungere gli obiettivi dell'Islam”, quindi che "nessuna restrizione può essere posta ai diritti e alle libertà garantiti se non per legge e necessità imposte da un ordine democratico”.

 

Democrazia tradita o ‘traditrice’?

La data del referendum non è stata scelta a caso: i tunisini sono stati chiamati al voto ad un anno esatto dal colpo di mano istituzionale del presidente, coinciso con la decisione di sciogliere il parlamento e mandare a casa il primo ministro. Una decisione, quella di Kais Saied, accolta con favore da molti tunisini perché giunta dopo mesi di stallo politico e istituzionale, causato da una classe politica inefficiente, corrotta e incapace. Le scarse performance dell'economia tunisina negli anni successivi alla rivoluzione e la generale disillusione nei confronti della classe politica avevano proiettato verso Saied il consenso di gran parte dell’opinione pubblica e delle élite liberali del paese. La disoccupazione e la mancanza di servizi pubblici – una costante già durante i lunghi anni di regime di Zine el Abidine Ben Ali – non hanno visto miglioramenti significativi, diffondendo tra i tunisini la convinzione che la democrazia non avrebbe portato a un miglioramento delle loro condizioni di vita. Un sentimento comune in diversi paesi del nord Africa e Medio Oriente secondo l’Arab Barometer Network, per cui la maggior parte dei cittadini della regione auspica nel proprio paese un governo efficace, indipendentemente dal sistema politico e dal livello di democrazia instaurato nella vita pubblica.

 

Fine della Primavera?

Se il referendum era un test per il presidente Kais Saied, i risultati parlano chiaro: l'affluenza ai seggi – 27% – è stata più alta di quanto molti osservatori si aspettassero, in un paese in cui l’astensionismo è solitamente alto e la partecipazione difficilmente supera la soglia del 40%. Il che dimostra che a quasi tre anni dall’inizio del suo mandato e nonostante lo strappo consumato da un anno a questa parte, Saied continua a godere di evidente popolarità tra i tunisini. Secondo i sondaggi di Sigma Conseil, del 75% degli elettori che non si sono recati a votare, il 21% aveva aderito al boicottaggio mentre il 54% si è dichiarato ‘disinteressato’. L'apatia e la rassegnazione sono diventate costanti nel discorso politico tunisino, e molti elettori sembravano ignari del contenuto del referendum, o indifferenti agli ampi poteri conferiti al presidente del paese. Ma non è solo in Tunisia che i risultati del voto si faranno sentire. Il ‘laboratorio’ tunisino – osservato con attenzione da altri paesi nordafricani - potrebbe rappresentare un precedente per le nazioni confinanti, alle prese con problematiche comuni e con un malcontento che attraversa e al tempo stesso accomuna diversi strati delle società arabe.

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

 

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