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Commentary

Elezioni europee: il vento dello UKIP soffia Oltremanica

23 maggio 2014

Mentre si stava votando per le elezioni europee in Gran Bretagna, il panorama politico appariva largamente condizionato dalla tendenza euroscettica, incarnata dallo UK Independence Party (UKIP), diretto da Nigel Farage, il quale ha saputo coinvolgere in modo crescente l’opinione pubblica britannica, nel corso degli ultimi anni. Quanti saranno i parlamentari europei che siederanno a Bruxelles e che rappresenteranno lo UK Independence Party? Su un totale di 751 parlamentari europei, il Regno Unito ne eleggerà ben 73 e si ritiene che il risultato premierà quasi sicuramente lo UKIP, rispetto agli altri partiti tradizionali britannici, il Partito Conservatore dell’attuale primo ministro David Cameron (304 deputati alla camera dei Comuni su un totale di 650), il Partito Laburista diretto da Ed Miliband (257 deputati alla Camera dei Comuni su un totale di 650) e il Partito Liberaldemocratico diretto da Nick Clegg (56 deputati alla Camera dei Comuni su un totale di 650). La colonna vertebrale della campagna antieuropeista condotta da Farage è centrata sul fenomeno della immigrazione, non solo sulla immigrazione clandestina, ovviamente, bensì anche su quello della immigrazione legalmente permessa che, secondo lo UKIP, è colpevolmente legittimata dai partiti al governo e favorita da una politica europea irresponsabile e dissennata. L’ultima offensiva verbale lanciata da Farage nei confronti dell’immigrazione ha utilizzato in modo rocambolesco e certamente poco raffinato la minacciosa presenza degli uomini romeni sul suolo britannico, i quali rappresenterebbero una minaccia non solo per l’intera società, in relazione alla loro presunta propensione alla criminalità organizzata, bensì anche per le consorti degli inglesi, in relazione alla presunta potenzialità di carattere sessuale. Tale campagna ricorda vagamente quella francese di qualche anno fa nei confronti dell’idraulico polacco, il quale non era indicato come fonte di criminalità, bensì come minaccia per la sostenibilità degli impieghi locali e anche come minaccia per l’onore delle casalinghe. Il dibattito sull’Europa, d’altra parte, assume significati più profondi se si toccano anche i temi legati all’economia e al lavoro. Per gli euroscettici britannici l’Unione Europea è una sanguisuga che non rende nulla, una fonte di danno supplementare durante la crisi economica, la quale deve invece essere gestita nella completa autonomia amministrativa di ogni stato sovrano. 

Se, da una parte, il Partito Liberaldemocratico di Clegg cerca di sostenere l’Unione Europea proprio presentandosi come il più efficace e determinato antagonista dell’UKIP, i due partiti tradizionali annaspano. Il Partito Laburista, che potrebbe vincere le elezioni, stenta a trovare una linea politica coerente con il passato: da sempre sensibile al problema del lavoro e della società, favorevole a una immigrazione disciplinata, che permetta a chiunque di trovare la propria strada all’interno del sistema britannico, in una logica internazionalistica, il Partito Laburista si rende conto del fatto che la tendenza odierna non indica assolutamente l’immigrazione come una meta desiderabile, alla luce delle difficoltà prodotte della crisi economica e dall’aumento della disoccupazione. Il Partito Laburista, pertanto, per non abbandonare il proprio sostanziale europeismo deve cercare di trovare un equilibrato dosaggio fra internazionalismo e protezione degli interessi nazionali britannici, onde evitare un’emorragia di consensi verso lo UKIP: proprio in queste ore un esponente di spicco del Partito Laburista, Ian Wallace, ha dichiarato di passare allo UKIP!

Ancor più delicata è la situazione del Partito Conservatore del primo ministro David Cameron, il quale assiste a un lento deterioramento dei consensi in seno al proprio partito, a una serie di defezioni a beneficio dello UKIP e alla prospettiva di un necessario doloroso allontanamento dall’identità storica del partito. Il Partito Conservatore si trova in difficoltà sia a destra che a sinistra: non può trascurare il successo di Farage, per quanto retorico e populista questo possa essere, e non può trascurare l’avanzata del Partito Laburista sui temi sociali. Per limitare i danni, mediante un approccio pragmatico, Cameron cerca con approccio pragmatico di dare un colpo al cerchio e uno alla botte: egli affronta, in primo luogo, il tema della sicurezza esterna e interna con piglio energico, cerca di dimostrare che, sul piano della politica economica, il governo da lui presieduto è capace di fissare un limite alla politica europea di austerità (si ricordi che nel 2011 Cameron fu l’unico leader, oltre a quello della Repubblica Ceca, a non voler firmare il Fiscal Compact in sede di Unione Europea), fissa limiti all’immigrazione legale (che, però, non riesce a rispettare…). Egli, d’altra parte, concede molto anche sui temi sociali, si avvicina di più ai lavoratori di ogni etnia, non contrasta i matrimoni omosessuali, si dimostra aperto al rispetto democratico anche quando questo potrebbe nuocere agli interessi del paese (il referendum sull’indipendenza scozzese ne è un esempio). Il quesito che ogni elettore britannico ed europeo si pone oggi è: sarà tutto ciò per Cameron sufficiente a limitare i danni alle elezioni europee? Il vento euroscettico travolgerà i destini del governo fra conservatori e liberaldemocratici e preparerà una nuova possibile stagione lib-lab? In un periodo in cui tutto lascia intendere che le operazioni esterne di politica estera non sono nè opportune né popolari, gli strumenti per riequilibrare le difficoltà interne si restringono terribilmente.

Stefano Pilotto, MIB School of Management, Trieste e Università degli Studi di Trieste.
 
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