Nuovo governo italiano e nuovo governo britannico sono nati nello stesso giorno. Martedì 25 ottobre re Carlo terzo ha nominato Premier Rishi Sunak e la Camera dei deputati ha votato la fiducia a Giorgia Meloni. Il Senato il giorno dopo. Un parallelismo che consente qualche riflessione.
Nel caso italiano si è arrivati al cambio di governo dopo elezioni generali che hanno garantito e legittimato una maggioranza politica in Parlamento. La neo premier si è presentata con un programma di governo. Si è tenuto un lungo dibattito in entrambe le camere. Il voto di fiducia ha sanzionato l’appoggio della maggioranza parlamentare al nuovo esecutivo.
A Londra il capo dello stato, re Carlo terzo, ha semplicemente ricevuto la ex premier Liz Truss che ha rassegnato le dimissioni. Quindi ha incaricato di formare il nuovo governo il nuovo leader del partito Conservatore, Rishi Sunak. Nessuna presentazione di un programma per il nuovo governo, teoricamente ancora vincolato al manifesto elettorale dei Tories nelle elezioni del 2019. Allora erano guidati da Boris Johnson. Preistoria politica dunque: pre-pandemia, pre-Ucraina, pre-crisi energetica. Nessun dibattito sul cambio di esecutivo, solo il consueto “Question time” del mercoledi’, da tempo ridotto a gioco delle parti. Esercizio retorico tra il leader del partito di maggioranza e quello di opposizione, in questo caso il laburista Keir Starmer. E soprattutto nessun voto di fiducia al nuovo governo. La logica è consuetudinaria: i Conservatori “command the majority in the House”, hanno la maggioranza a Westminster. Al massimo si valuterà in futuro la navigazione del governo nei voti sui singoli provvedimenti. Ma questo passaggio delle consegne come una porta girevole, tra premier e ministri diversi, senza elezioni, senza dibattito, senza voto, solleva anche Oltremanica questioni di rappresentanza e di democrazia. Reale, non solo formale.
La distanza tra palazzo e paese, tante volte evocata in Italia, non potrebbe insomma essere maggiore in questa fase in Inghilterra, dove i sondaggi dicono che se si votasse oggi i Tories sarebbero spazzati via. Nonostante un leggero recupero con la nomina di Sunak, i Laburisti sono costantemente dati in vantaggio di una trentina di punti.
Il neo premier ha tempo per recuperare. Ma non troppo. La legislatura, cominciata a metà dicembre 2019, può durare fino a fine 2024 ma il compito che lo attende è enorme. Il primo obiettivo sembra già essere stato raggiunto: riportare un po’ di fiducia sui mercati finanziari dopo il terremoto causato dall’improvvida manovra economica, con drastica riforma fiscale, proposta da Truss. Sterlina e titoli di stato britannici erano a picco un mese fa. Ora hanno recuperato, tornando ai livelli precedenti, anche grazie all’intervento d’emergenza della Banca d’Inghilterra. Sunak, ex Goldman Sachs, esperienza negli Hedge Funds della City, sa come trattare gli ex colleghi.
Ma l’esperienza Truss dimostra che nemmeno il Regno Unito può continuare liberamente ad aumentare il debito pubblico, già salito dall’80 per cento del PIL pre pandemia a quasi il 100 per cento con il governo Johnson, di cui Sunak è stato Cancelliere dello Scacchiere. Fu lui l’artefice dei generosi pacchetti di aiuti per salvare le imprese e le famiglie in difficoltà durante i lockdown. Ora la crisi è ancora più profonda. Regno Unito sull’orlo della recessione, inflazione alle stelle e caro energia. Sfide per tutti i paesi europei, aggravati però Oltremanica dall’aumento dei costi causato dall’uscita dall’Unione Europea. Un “dazio Brexit” di cui si parla malvolentieri ma che ormai è sotto gli occhi di tutti.
E allora lungi dallo sperare di offrire tagli alle tasse, come fatto improvvidamente da Truss, il governo Sunak deve ora fare i conti con un dilemma molto italiano. Tagliare ulteriormente la spesa pubblica è quasi impossibile dopo 12 anni di austerità targata Tory. Non rimane che aumentare la tassazione, già cresciuta per le imprese (dal 19 al 25 per cento) e per i contributi previdenziali. Sotto esame ora anche il meccanismo di adeguamento delle pensioni, una sorta di “scala mobile” (“Triple lock”) che attualmente le tutela e mantiene sopra l’inflazione. Per fare questo il neo Leader conservatore dovrebbe però contraddire clamorosamente una delle promesse-cardine del manifesto elettorale 2019. Avrebbe bisogno, dunque, dell’appoggio compatto del suo partito, almeno a livello di gruppo parlamentare. Per ottenere questo obiettivo e rinsaldare il consenso ha già pagato in questi giorni prezzi salati. Ha rimesso ministra degli Interni la controversa Suella Braverman, che si era dimessa solo pochi giorni fa per avere violato il codice di condotta ministeriale, inviando documenti riservati dalla sua email privata. Il laburista Starmer lo ha subito attaccato, denunciando questa nomina come uno “sporco accordo” a cui è stato costretto per la sua debolezza di leader. Poi Sunak ha dovuto fare subito marcia indietro sul “Fracking”, approvato da Truss ma osteggiato dai “Backbenchers”, i “peones” conservatori alla Camera dei Comuni.
Insomma, il neo leader sta cercando di rinsaldare le fila per le “difficili decisioni” che lo attendono, come ha detto mettendo le mani avanti. La sua stessa nomina arriva però dopo mesi di lotte fratricide tutte interne ai Conservatori. Terzo premier in poche settimane, quinto in sei anni, catapultato a Downing street senza voto popolare e nemmeno tra gli iscritti al partito, come invece successo almeno per Elizabeth Truss. La navigazione di Rishi Sunak sarà davvero perigliosa.