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DEBITI

Riforme, non colpi di spugna

Alessandro Merli
04 Dicembre 2020

L’ipotesi di cancellare il debito pubblico, o almeno la parte detenuta dalla Banca centrale europea, è stata rilanciata recentemente in un’intervista a “Repubblica” dal presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, che si si presume parlasse non nella sua veste istituzionale, ma a titolo personale e ha poi fatto una parziale marcia indietro, e in un’altra all’agenzia Bloomberg del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro. Non ha trovato molta eco in Europa, salvo che, in misura limitata, in Francia, e forse non è del tutto un male.

 

Reazioni contrarie

Le repliche non sono tardate, prima di tutto dalla BCE, dove sia la presidente Christine Lagarde, sia il membro del comitato esecutivo Fabio Panetta hanno fatto appello ad argomentazioni giuridiche, spiegando come si tratti di una operazione vietata dai Trattati (articolo 123). Panetta ha anche osservato che “se cancelliamo un debito, cancelliamo anche il credito corrispondente e ciò potrebbe avere conseguenze destabilizzanti di vasta portata”, per concludere che “solo la crescita ci proteggerà dal debito” 

Sono state presentate da diversi economisti argomentazioni tecniche, fra cui Tommaso Monacelli, dell’Università Bocconi, sul sito lavoce.info sul perché la cancellazione del debito pubblico detenuto dalla BCE sia, alla peggio, una cattiva idea, e alla meglio, una partita di giro che non risolverà nulla. In un articolo per Il Sole 24 Ore del 29 novembre, Natacha Valla, ex economista della BCE, oggi preside della School of Management and Innovation a Sciences Po, e Christian Pfister, vicedirettore generale della Banca di Francia, lo chiamano “il gioco delle tre carte”, e sospettano che dietro la proposta ci sia la malcelata intenzione (probabilmente non da parte di Sassoli, ci sentiamo di aggiungere) di distruggere l’euro.

Sono state poi fatte valutazioni sulla capacità di una banca centrale di operare con capitale negativo o sulla minaccia alla sua indipendenza qualora dovesse ricorrere massicciamente a un reintegro con fondi dei Governi e alla credibilità della politica monetaria.

 

Debiti buoni e debiti cattivi per tutti

Tutte argomentazioni valide, ma le vere ragioni per cui la proposta di cancellazione, anche parziale, del debito è sbagliata, nei tempi e nella sostanza, sono anzi tutto politiche.

Viviamo in un mondo di tassi d’interesse a zero o sotto zero, in cui i Paesi dell’area euro (e non) non hanno alcuna difficoltà a rifinanziare il debito. “Relax sul debito pubblico; non troppo, perché questa situazione non durerà per sempre, ma relax”, ha detto l’ex capo economista del Fondo monetario, Olivier Blanchard. Altrove, come negli Stati Uniti, si è capito chiaramente che l’attenzione va rivolta altrove: su come spendere, e spendere bene. Il compito di Janet Yellen alla guida del Tesoro, sostiene Mark Sobel, della think tank Omfif, lui stesso un ex alto dirigente del Treasury, sarà di negoziare e fornire il supporto intellettuale per convincere la probabile maggioranza repubblicana al Senato che ora è il momento di spendere. Con il costo del servizio del debito così basso, afferma Sobel, l’America non si deve preoccupare dell’aumento del debito. 

L’Europa, e soprattutto l’Italia, non è l’America, ma rischia di essere controproducente che nel momento in cui i tassi e gli spread sono bassi e lo resteranno a lungo, e i rischi per la sostenibilità del debito sono quindi molto bassi, a richiamare l’attenzione sul problema dello stock del debito siano proprio esponenti politici del Paese dell’eurozona con il debito più alto (dopo la Grecia). 

Ma il timing è sbagliato anche per un’altra ragione. La trattativa per il pacchetto europeo anti-pandemia (Next Generation EU, compreso il Recovery and Resilience Fund), di cui l’Italia sarà uno dei principali beneficiari, non è ancora del tutto conclusa e dovrà passare alla ratifica parlamentare in tutti i Paesi membri. Le voci dall’Italia non faciliteranno certo l’approvazione dei Paesi “frugali”. Questo pacchetto comprende tra l’altro – e se n’è parlato troppo poco - l’emissione di debito da parte della Ue, che se non può ancora essere considerato debito comune o un vero “safe asset” europeo, e anche se tutti insistono che si tratta di un’iniziativa temporanea e una tantum, è ovviamente un primo passo importantissimo nella giusta direzione. L’enorme successo della prima emissione, a favore del fondo anti-disoccupazione SURE, dimostra che, proseguendo su questa strada, potrebbe fornire un contributo decisivo, alla lunga, alla soluzione del problema del debito nell’eurozona.

 

Il ruolo della Germania

Ma il debito pubblico italiano, e qui veniamo all’obiezione politica di sostanza, è una vera e propria bestia nera per la Germania. Lo è da prima della creazione dell’euro ed è stato la principale obiezione tedesca all’ingresso dell’Italia nell’euro. Tuttora, non c’è niente che tormenti di più l’establishment politico e l’opinione pubblica, per quanto riguarda l’unione monetaria, dell’eventualità che un giorno tocchi al contribuente tedesco “pagare i debiti degli italiani”. Anche se l’ipotesi ventilata in questi giorni è altra cosa, il fatto stesso che si parli di cancellazione del debito e che l’origine sia italiana è sufficiente a fare inorridire i tedeschi. Non va dimenticato che la risposta alla pandemia ha preso i connotati che ha preso perché la Germania ha abbandonato il campo dei Paesi “frugali” e si è schierata a favore di un intervento più “solidale”. È stata una conversione non facile dall’ossessione per lo “schwarze null”, il bilancio in pareggio, di recentissima memoria. Berlino lo ha fatto sicuramente sull’onda di una recessione senza precedenti anche per l’economia tedesca, ma anche sulla base di genuine preoccupazioni per quello che stava succedendo in Italia e in Spagna. E nella consapevolezza che una risposta “rigorosa” come quella data alla precedente crisi dell’euro avrebbe portato a un collasso ancora peggiore dell’economia e alla disintegrazione della moneta unica.

Il 2021 porterà due sviluppi: la ripresa economica, che in Germania e nei suoi satelliti sarà probabilmente più vigorosa che in Italia, e le elezioni tedesche, con l’uscita di scena di Angela Merkel e della sua coalizione con i socialdemocratici, che, pur come junior partner, hanno avuto un ruolo determinante nel portare Berlino su posizioni impensabili dodici mesi fa. Le incognite sulla successione al cancelliere Merkel e sul Governo del dopo-voto sono molte, ma non è del tutto da escludere, come riferiscono le cronache della Germania di questi giorni, che il partito del rigore di bilancio, sempre forte nell’opinione pubblica, rialzi la testa davanti a circostanze meno estreme che nel 2020. Un ritorno di Berlino nel campo dei “frugali” cambierebbe completamente le prospettive. Anche pensare che l’atteggiamento attuale della BCE, che garantisce tassi bassi e la compressione degli spread, duri per sempre sarebbe un errore.

 

Che fare per l’Italia?

L’Italia farebbe bene allora ad approfittare dell’opportunità concessa da questa fase, non per inseguire improbabili chimere di cancellazione del debito, dai benefici dubbi, ma anzi tutto per farsi trovare preparata alla stagione delle riforme che dovrebbe accompagnare l’arrivo dei fondi europei, cosa che il nostro Governo sta già dimostrando di avere grandi difficoltà anche solo a delineare. Ma soprattutto, secondo le priorità indicate ancora da Blanchard dovrebbe spendere il proprio capitale politico in Europa per una profonda riforma delle regole della disciplina di bilancio nell’eurozona, ora sospese, e per fare da motore, insieme alla Francia, di un movimento verso l’unione fiscale. Questo sì ci aiuterebbe ad alleggerire il problema del nostro debito.

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Geoeconomia
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AUTORI

Alessandro Merli
Johns Hopkins University

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