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DATAGLOBE

Riprese record: la Storia insegna

Lorenzo Borga
14 gennaio 2022

La recessione dovuta al Covid-19 è stata una delle peggiori della storia. Secondo i dati della Banca Mondiale il Pil globale ha subito la quinta peggiore crisi dal 1870 (la seconda se consideriamo solo i tempi di pace), e la peggiore dalla Seconda guerra mondiale. E si è guadagnata anche il primato di essere la più globalizzata: per la prima volta nella storia oltre il 90% dei Paesi è in crisi economica contemporaneamente. Lo sappiamo: per qualche mese il mondo si è fermato, si sono bloccate produzioni essenziali come quella automobilistica e quella dei semiconduttori (e ancora ne paghiamo le conseguenze). Quando ancora non avevamo idea di come affrontare la pandemia, il prezzo del petrolio aveva perfino raggiunto un valore negativo: da quanto poco se ne vendeva, mantenerlo immagazzinato era diventato un costo.

Ma, di riflesso, il rimbalzo economico che ne è seguito è stato uno dei più poderosi di sempre. Come il mondo si è sbloccato, i confini riaperti, le navi container uscite dai porti e le serrande rialzate, il ciclo economico è ripartito rapidamente. Sempre secondo i numeri della Banca Mondiale, il Pil globale non cresceva a una velocità simile (le prime stime sul 2021 valgono il +5,5%) almeno dal 1972.

Se mettiamo a confronto le tre principali recessioni che i Paesi occidentali hanno affrontato nell’era contemporanea, possiamo probabilmente essere ottimisti su come le nostre economie sono nel tempo diventate più resilienti. Dalla crisi economica della pandemia siamo usciti repentinamente: la produzione industriale degli Stati Uniti (unico Paese che dispone di indici mensili che risalgono fino all’inizio del secolo scorso) è tornata ai livelli pre-Covid in 20 mesi, a ottobre 2021. Per riprendersi dal crack di Lehman Brothers del 2008 l’industria americana aveva invece impiegato 34 mesi. E ancor di più era stato necessario per tornare sopra i livelli di ottobre 1929, da quel “Martedì nero” che segna convenzionalmente l’inizio della Grande Depressione: allora furono necessari addirittura 85 mesi, più di 7 anni, per ritornare ai livelli pre-crisi. Gli stessi risultati si ottengono se guardiamo ai dati europei (che però purtroppo non dispongono di numeri sul ’29): in questo caso per tornare al pre-Covid l’industria Ue ha impiegato meno di un anno, 11 mesi; mentre al 2008 seguì una lunga stagnazione – contraddistinta anche dalla grave crisi finanziaria del 2010-2012 – che richiese alla produzione industriale ben 81 mesi per recuperare. E ancora: le stesse proporzioni valgono anche per il tasso di disoccupazione e perfino per i valori delle borse.

Gli economisti Paul De Grauwe e Yuemei Ji a settembre 2020 avevano già notato il trend, affermando che dal confronto delle tre recessioni possiamo uscirne ottimisti, perché “i policymakers, dopo il 2008, hanno imparato la lezione della storia e reagito attraverso politiche fiscali e monetarie” alla crisi Covid. Ovviamente parliamo di tre crisi – la cosiddetta Great Depression, la Great Recession e la crisi da Covid-19 – molto diverse tra loro. La recessione del ’29 fu dovuta alla mancata crescita della domanda al pari dell’offerta e fu seguita da alcune bancarotte bancarie, quella del 2008 ha origine dal crollo finanziario cui è seguito un calo della domanda, mentre quella Covid parte con il blocco dell’offerta dovuto ai lockdowns e allo stop del commercio globale. E come abbiamo visto, non appena l’offerta si è sbloccata, l’economia globale è ripartita.

Ma un’altra rilevante differenza tra le tre recessioni sta nelle politiche scelte dai governi per uscirne. Nel 2020 gli Stati hanno adottato una forte espansione del debito pubblico per non far sprofondare la domanda: il debito, sia privato che pubblico, nella crisi Covid è cresciuto di 10 punti percentuali in più nel 2020 rispetto a quanto accaduto tra il 2007 e il 2009. Una scelta possibile grazie alle politiche fortemente espansive delle banche centrali, che hanno ridotto - in alcuni casi fin sotto lo zero – il costo di indebitarsi. Nel 1929 e nel 1931 invece – in un mondo ancora fondato sul gold standard - la FED rialzò i tassi di interesse per rispondere alla crisi invece di ridurli al minimo, tanto che Ben Bernanke – non ancora governatore della FED – nel 2002 si scusò per quella scelta, promettendo “we won’t do it again”. Anche nel 2008 la risposta monetaria e fiscale fu probabilmente insufficiente: agli albori della crisi i banchieri centrali apparivano più preoccupati dall’inflazione che dalla burrasca in arrivo. E mentre gli Stati Uniti hanno mantenuto a lungo una politica fiscale espansiva, l’Unione Europea – divisa e priva di una vera banca centrale – si è incamminata su un percorso di austerità che ha fornito legna da ardere alla crisi dei debiti sovrani che sarebbe seguita.

Certo oggi non mancano i rischi dovuti all’alta inflazione, ai continui record delle borse spinte dal denaro a basso costo e all’enorme mole di debito – privato e pubblico – creato negli ultimi due anni. Ma forse, per una volta, si può dire che la storia ha insegnato qualcosa su come affrontare una recessione globale. E che economisti e politici non hanno commesso gli stessi errori del passato.

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economia Geoeconomia
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AUTORI

Lorenzo Borga
Sky Tg24

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