A chi chiedesse quale possa essere il senso dell’affollamento di conferenze al vertice con un taglio asiatico della settimana in corso, aperta dall’APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) di Honolu-lu e chiusa dall’EAS (East Asia Summit) di Bali, si potrebbe rispondere: l’inflazione di incontri, con-certazioni, proposte, accordi, associazioni regionali è la conseguenza di una reazione a catena generata dalle due opzioni contrapposte che puntano a plasmare l’Asia del XXI secolo. L’opzione A attribuisce questo compito ai Paesi del continente. L’opzione B aggiunge gli Usa agli attori chiamati in causa, oltre a un intero altro continente tutto “occidentale”, l’Oceania. Muovendosi su un piano più strategico e meno geografico, l’opzione B rinnega l’Asia come soggetto autonomo di relazioni in-ternazionali e privilegia invece il concetto di area del Pacifico. La Terra contro il Mare, dunque. Da un lato una trama di rapporti che trae coesione e potenzialità dalla concretezza della capacità produttiva e della forza numerica della popolazione, dall’altro gli spazi liberi degli oceani fatti di commerci, di flussi finanziari, di idee che corrono lungo Internet con l’aggiunta di qualche portaerei e sottomarino nucleare. Non si potrebbe pensare a una più evidente contrapposizione tra l’anima dell’Impero di mezzo che ritorna a giocare il ruolo di grande potenza e quella dell’Impero che ha vinto la guerra fredda e per questo non rinuncia a gestire come meglio può il processo di globalizzazione. Tutto il resto è tattica più o meno sottile, esibizione di forza a uso interno, astuzia, retorica. In concreto questa incessante partita si dipana lungo una fila di azioni e reazioni che producono sempre nuove associazioni, gruppi regionali, partnership allargate. Ad esempio l’APEC – che poli-ticamente si potrebbe definire neutra – sta generando la Trans Pacific Partnership (TPP): decisiva in tal senso, nei giorni scorsi, l’adesione del nuovo governo giapponese ai negoziati per la costitu-zione di questo gruppo. E siccome la TPP reca il marchio americano, è facile attendersi nel breve tempo nuove iniziative di Pechino. L’EAS è altrettanto segnata da una gestazione ondivaga, resa travagliata dagli interessi contrastanti delle grandi potenze, Cina e Usa, ma anche il Giappone, la cui politica verso l’Asia, dopo decenni di sonno, si è risvegliata proprio per controbilanciare le mire egemoniche cinesi. La Cina ha cercato di tirare l’ASEAN dalla sua parte con l’ASEAN+3. Gli Usa (e Tokyo) hanno risposto con l’ASEAN+6. Infine l’anno scorso è nata l’ASEAN+8, confluita nell’EAS, che raccoglie oltre ai dieci del Sud Est asiatico anche Usa, Cina, Giappone, Russia, Australia, India, Nuova Zelanda, Corea del Sud: tra tutti il 56% del prodotto lordo mondiale e il 63% della popola-zione. È una vittoria per gli americani e per la loro strategia di contenimento della Cina. A sancirla basta l’inserimento di Washington a pieno titolo nell’associazione regionale – l’EAS appunto – che oggi è deputata a dare stabilità strategica all’Asia. Anche se il contenimento non significa necessariamente contrapposizione, è naturale pertanto che nella fase di avvicinamento all’EAS (19 novembre) si siano usate parole forti. Il presidente Obama deve fare sentire il proprio peso, a maggior ragione in tempi in cui l’intero Occidente, con l’aggiunta del Giappone, è economicamente in bilico e l‘Asia si preoccupa di salvare il suo boom evitando il “contagio” che viene da Ovest. Ecco perché gli Usa esigono la resa dai governanti della Birmania e non si accontentano del recente restyling del regi-me. Inoltre si manifesta appoggio a tutti i Paesi che hanno un contenzioso con Pechino circa lo sfruttamento delle ricchezze del Mar Cinese meridionale osteggiando implicitamente i negoziati bilaterali richiesti dai cinesi. Infine si incoraggiano convergenze (anche con ricadute militari) non gradite alla Cina: si pensi a Giappone-Corea del Sud o a India-Afghanistan per non dire di India-Vietnam. Peccato (per gli Usa) che tutto sia in grande movimento, come dimostra la decisione presa al verti-ce dell’ASEAN, cominciato il 17 novembre. Alla Birmania è stata accordata la presidenza dell’orga-nizzazione a partire dal 2014 con l’incarico anche di ospitare il prossimo vertice EAS; e per di più “senza condizioni” come ha precisato il ministro degli Esteri indonesiano. Inoltre in sede ASEAN sembra prevalere la volontà di mantenere un profilo basso circa le diatribe sul Mar Cinese meri-dionale, rifiutando crociate per la libertà di navigazione. Se non sgarbo a Obama, si tratta almeno di una prova di indipendenza dagli amici americani di cui la Cina certamente si rallegra, in prepa-razione di nuove mosse, come il finanziamento per 3 miliardi di yuan per l’industria marittima re-gionale, formalizzato nelle ultime ore.