La questione WikiLeaks dimostra che, di fatto, il mondo delle nazioni è sempre più costretto a confrontarsi con il mondo delle reti. L’organizzazione del movimento d’opposizione iraniano tramite il web e il recente contrasto tra Google e il governo cinese sembrano alimentare la convinzione che Internet e le tecnologie digitali possano favorire ovunque una maggiore libertà, nonché contribuire a diffondere la democrazia. Altri però individuano nella rete notevoli rischi: contaminazione della democrazia, dinamiche di controllo totalitario sulla vita quotidiana, contrazione della privacy, sabotaggio, violazione del segreto di stato, insidie bio-tecnologiche, cyber-terrorismo, ecc.
La vicenda di WikiLeaks, tutt’altro che conclusa, rappresenta in effetti una ferita molto profonda per l’amministrazione Usa. La facilità con la quale oltre due milioni di dipendenti possono accedere a dati sensibili è una sconfitta. L’accesso e la condivisione delle informazioni sono la giustificazione offerta a chi ha fatto notare l’assoluta illogicità del sistema. Che bisogno abbia un ufficiale di Marina di accedere alle informative dell’ambasciata Usa a Budapest resta un mistero. Probabilmente non esiste un solo esempio di società privata, nel mondo, che permetta ai propri impiegati, di qualunque livello, di accedere a una tale quantità e qualità di informazioni. E questa non è la prova che la società americana è, giustamente, “aperta”. È solo la conferma per una parte dell’opinione pubblica mondiale che, almeno per questo aspetto, è inaffidabile.
Una delle prime reazioni, infatti, – al di là della qualità spesso mediocre delle informazioni raccolte dalla diplomazia americana – è stata quella di vedere tale sistema di diffusione di notizie come studiato apposta per trasformarle in farsa. E questo, in una società ancora profondamente ferita dall’11 settembre, non contribuisce ad aumentare la fiducia dell’opinione pubblica nella capacità di raccogliere informazioni e - specialmente – di proteggerle. Se il contrasto al terrorismo si fa anche con la raccolta e la protezione di dati sensibili questa vicenda rappresenta una sconfitta molto seria.
Sulla qualità del materiale fino a qui pubblicato (circa l’1%) di quanto in possesso di WikiLeaks si è già osservato che non è strepitosa. Due mesi fa la pubblicazione dei documenti su Iraq e Afghanistan ha creato alcuni pericoli molto maggiori.
In gennaio, e questo è il problema, potrebbero arrivare documenti ben più devastanti sul sistema finanziario americano. La decisione della Bank of America di bloccare i versamenti a favore di WikiLeaks sembra una misura preventiva quanto inutile, in proposito.
Le misure di contenimento del danno rispetto alle rivelazioni hanno provocato commenti tutt’altro che favorevoli: l’Aviazione americana (Usaf) da qualche giorno impedisce ai propri dipendenti l’accesso a siti di quotidiani («New York Times») che hanno ripreso le notizie di WikiLeaks, ma questo riguarda solo i pc di proprietà dell’Aviazione, non quelli dei singoli impiegati. Ridicolo. Come la decisione di una banca svizzera di chiudere il conto di Assange perché aveva fornito dei dati sulla propria residenza non veritieri. Una procedura difficilmente riscontrata verso altri “clienti” (da Mobutu a Imelda Marcos).
La stessa vicenda personale di Julian Assange, sostanzialmente accusato di aver avuto rapporti sessuali non protetti con due ragazze maggiorenni nelle loro rispettive abitazioni, risulta francamente incomprensibile. Il mandato di cattura internazionale che, a una parte dell’opinione pubblica sembra una vendetta, fa apparire evidente l’incapacità del mondo delle nazioni di confrontarsi con il mondo delle reti.
Tutti i media, inclusi quelli americani, da giorni “campano” pubblicando il materiale veicolato da WikiLeaks, ma pochi si sono preoccupati di produrre un’inchiesta credibile sulle accuse contro il loro “fornitore”.
Il risultato è che il paese più liberale del mondo nella diffusione di notizie anche molto sgradevoli per il potere, si trova a fare i conti con un sistema di raccolta di informazioni palesemente inadeguato, insicuro e pericoloso per le fonti utilizzate che in futuro dovessero essere chiamate a fornire anche semplici “scenari” ai rappresentanti dell’amministrazione americana, pur sempre la prima potenza mondiale. Per quanto indebolita.