Nel Nord Kivu si rivive uno scenario già visto. Dichiarazione e smentite di Kigali e Kinshasa si susseguono, mentre l’unico dato oggettivo risulta essere la mancata assunzione di precise responsabilità politiche da parte di Joseph Kabila, presidente della Repubblica democratica del Congo (RDC), e di Paul Kagame, presidente del Ruanda.
In questi giorni Mary Robinson, inviata speciale dell’ONU nella regione dei Grandi Laghi, raggiungerà Kinshasa e proseguirà per Goma e Kigali. La sua visita dovrebbe avere lo scopo di accompagnare l’applicazione di un accordo, voluto dall’Unione Africana e firmato in febbraio ad Addis Abeba da undici paesi, fra cui Ruanda e Uganda, che si sono impegnati per la non-ingerenza e il sostegno degli sforzi di pacificazione nel Nord e nel Sud Kivu. A questo accordo ha fatto seguito l’approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nel marzo 2013, della risoluzione 2098, che ha autorizzato il dispiegamento di un corpo d’intervento internazionale al fianco dell’esercito regolare congolese e delle truppe MONUSCO(1) già presenti sul territorio. Il corpo d’intervento è composto da 3000 soldati forniti da Tanzania, Sud Africa e Malawi.
La missione non si limita più quindi alla stabilizzazione, ma ha anche mandato di offensiva e risposta al fuoco. L’estensione dei poteri della MONUSCO era stata sollecitata da più parti, infine però ha preso corpo solo in risposta all’avanzata dell’M23(2). Le Nazioni Unite hanno inoltre più volte sollecitato il Ruanda a sospendere il suo appoggio all’M23, sia attraverso un rapporto redatto da una commissione di esperti esterni, sia tramite un comunicato ufficiale del Consiglio di Sicurezza.
Diversamente dalla crisi del 2009, la comunità internazionale ha esplicitamente chiamato in causa il governo ruandese, obbligandolo a rispondere ufficialmente ad accuse avallate da testimonianze verificate e prove eloquenti. La migliore difesa del presidente ruandese Kagame continua a essere l’attacco: Kigali invita le Nazioni Unite a sollecitare la RDC affinché cessi di sostenere le FDLR(3). Le FDLR sono state anche l’oggetto di una cruda disputa verbale che ha coinvolto Kagame e Kikwete, presidente della Tanzania, e che ha raffreddato le relazioni Ruanda-Tanzania. Quando Kikwete ha invitato i presidenti di RDC, Uganda e Ruanda a negoziare con i ribelli, Kagame ha immediatamente risposto di essere pronto alla guerra con i sostenitori (anche indiretti) delle FDLR. Al momento il Consiglio di Sicurezza ha invitato Kagame a evitare qualunque forma di sconfinamento, sollecitandolo affinché le forze armate ruandesi rimangano a esclusiva difesa del territorio nazionale. Non è facile comunque prevedere la reazione del Ruanda nel medio periodo, visto che i ribelli dell’M23 hanno la tendenza a ripiegare verso il confine, portando l’offensiva congiunta ONU-FARDC(4) sempre più vicino alla frontiera fra RDC e Ruanda. Inoltre l’attentato provocato da due bombe che sono state fatte esplodere nella città ruandese di Gisenyi si pensa possa essere stato organizzato dall’M23 per provocare la reazione dell’esercito di Kigali.
Anche il governo congolese rifugge dall’assunzione delle sue responsabilità, nonostante l’evidenza dei fatti. I ribelli dell’M23 protestano contro la mancata reintegrazione nell’esercito regolare, l’unica forma di “pacificazione” che Kinshasa sembra conoscere, ben lungi dal mettere a punto un meccanismo di smobilitazione che preveda un’inclusione anche sociale e lavorativa. Le condizioni dell’esercito congolese permangono estremamente critiche. I mancati pagamenti di salario, le scarse distribuzioni delle razioni alimentari e la disorganizzazione generale spingono i caporali a disertare creando nuovi gruppi ribelli, in un incessante flusso di diserzione e reintegrazione, non fosse altro che per controllare una minima parte di territorio saccheggiando la popolazione civile, sfruttando le risorse conquistate, ed avendone in cambio un qualche ritorno economico. Al di là della possibile protezione che il Ruanda continua a offrire ai comandanti ribelli, fatti recenti hanno dimostrato una certa tolleranza da parte del governo di Kinshasa, che persegue o protegge i capi dei movimenti, giocando sulle logiche di contrapposizione e concorrenza dei vari gruppi. Gli arresti e i fermi sono spesso funzionali a logiche politico-strategiche, a seconda che il governo abbia più interesse a reprimere o favorire un movimento a discapito di un altro. Emblema di questa strategia di tolleranza selettiva è l’affaire del generale Bosco Ntaganda. Il generale, ricercato per crimini di guerra, si è spostato agevolmente fra Ruanda e Congo per vari mesi, rientrando anche alla sua abitazione, ed è stato infine arrestato solo dopo ripetute pressioni da parte della comunità internazionale.
La visita di Mary Robinson avviene in un momento in cui la posizione stessa della MONUSCO è messa in discussione. Le perdite verificatesi nel contingente della forza d’intervento ONU durante la recente offensiva contro l’M23 cominciano a preoccupare la Tanzania, mentre il governo dell’Uruguay ha dovuto difendere l’azione del proprio contingente, impegnato già da tempo nella missione MONUSCO, accusato di avere aperto il fuoco uccidendo due civili (azione che sembra invece da attribuirsi alla polizia congolese). A Goma il crescente disorientamento dei caschi blu è percepito come un pericolo.
La crisi del Nord Kivu continua parallelamente al gioco delle parti. Il Ruanda, nonostante critiche e diffide, continua ad avere interesse a tenere una mano sulle risorse del Kivu, approfittando anche dello scarso controllo che la RDC riesce a mantenere sull’Est del paese. Il Congo, d’altro canto, utilizza la presenza delle FDLR come un ricatto che dovrebbe servire a frenare l’ingerenza ruandese o, all’occorrenza, una sorta di moneta di scambio. Se si aggiunge che gli USA sono impegnati in più urgenti fronti, restando silenti di fronte all’alleato di Kigali, l’Unione Europea sembra aver lasciato la gestione del problema esclusivamente in mano alle Nazioni Unite, in mancanza di soluzioni migliori, e l’intervento dell’Unione Africana manca, come spesso avviene, di fermezza e concretezza, è facile prevedere che il valzer delle accuse, delle illazioni e degli attacchi darà vita all’ennesima negoziazione di forma, senza risultati duraturi.