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Commentary

Russia: alla ricerca della grandezza perduta

07 marzo 2012

Non è possibile parlare della Russia di Vladimir Putin, paese ricco di contraddizioni, passato in pochi anni dalla pianificazione centralizzata ai meccanismi di mercato e con un’economia in rapida e costante espansione, se non si considera che nel 1991 non solo si è dissolto il Partito comunista sovietico ma è avvenuta la disunione dell’ultimo degli imperi europei, che il Partito aveva ereditato da secoli di storia degli zar.

L’impopolarità in Russia di Michail Gorbaciov e poi di Boris Eltsin deriva proprio dall’aver dissolto e svenduto un impero senza alcuna ricompensa e dall’aver creato stati confinanti che si sono dimostrati subito politicamente ostili agli interessi della Federazione Russa con dei rancori verso i russi come ex-colonizzatori.

Altra considerazione necessaria è che Vladimir Putin è arrivato al potere nel 1999, dopo che la Federazione Russa era andata in default nell’agosto del 1998 e l’82% del patrimonio industriale del paese era in mano a 21 oligarchi e avvenivano sparatorie per le strade di Mosca e altre città.

La Federazione Russa versava in una crisi profonda e strutturale. È stato un gruppo di “persone giovani” e unite dalle stesse idee, alla cui guida c’era Vladimir Putin, che ha tirato fuori il paese dalla guerra civile, dal potere degli oligarchi, ha sconfitto la criminalità organizzata, ha restaurato l’integrità territoriale e l’ordine costituzionale, ha fatto rivivere l’economia e ha assicurato alla Russia per dieci anni uno dei tassi di crescita più elevati nel mondo, nonché un aumento del reddito reale. Prima del suo arrivo la classe media era rappresentata dal 5-10% della popolazione, meno che negli ultimi anni dell’Urss. Oggi comprende il 20-30% dei russi e i suoi componenti dispongono di redditi pari a tre volte quelli del 1998. Oggi il 57% dei russi di età compresa tra i 25 e i 35 anni ha un’istruzione superiore, livello che si trova solo in altri tre paesi al mondo: Giappone, Corea del Sud e Canada.

La politica economica russa è stata calibrata e cauta: ci si è liberati dalla dipendenza del debito, è stato innalzato il reddito reale dei cittadini, sono aumentate notevolmente le pensioni e altri benefici sociali. La soglia di povertà dei russi è passata da più del 30% del 1998 al 10-11% negli ultimi anni. Non bisogna dimenticare che in Russia, nella lotta per il potere, Putin ha finora rappresentato la posizione di mezzo fra un Partito comunista sovietico e i nazionalisti nostalgici della Russia degli zar.

Vladimir Putin lega, perciò, la sua figura all’azione, portata avanti con successo, che ha permesso al paese di assicurare stabilità sul piano interno e prestigio su quello internazionale. L’ambizione di proporsi come il “leader” garante di un ritorno della Russia alla “grandezza” che le è ritenuta propria, mediante un processo di modernizzazione dall’alto, è esplicita. I valori ispiratori della sua azione sono quelli della tradizione russa: nazionalismo, patriottismo, compattezza sociale e, soprattutto, priorità al ruolo dello stato. 

La fase post sovietica è stata completata e nei prossimi sei anni a Putin spetta il compito di completare la costruzione di un sistema politico, di una struttura di garanzie sociali, di un modello economico per lo sviluppo e di dare protezione ai cittadini. Questi elementi contribuiscono a creare un organismo statale vitale in costante evoluzione e allo stesso tempo stabile e vigoroso. Ciò significa difendere la giustizia e la dignità di ciascun cittadino, la verità, e la fiducia nei rapporti tra stato e società. Ci riuscirà? Non lo so, ma per i russi votare Putin era oggi l’unica scelta possibile.

 

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