Il primo maggio, il presidente russo Vladimir Putin ha firmato la controversa legge che permette di “isolare” lo spazio internet del paese (“RuNet”) nel caso di attacchi cibernetici e altre minacce online – come riporta TASS, l'agenzia di stampa russa. Mentre nella retorica ufficiale del Cremlino questa legge serve a garantire un funzionamento stabile di RuNet nel caso in cui esso sia disconnesso dall'infrastruttura globale del World Wide Web (WWW), i molti detrattori russi e internazionali sostengono che la legge sia solo un modo per aumentare il controllo governativo sul web, ancora relativamente libero in un panorama mediatico generalmente definito come paternalistico e top-down, dominato da media vicini alle autorità. Denominata "Programma nazionale di economia digitale" – o legge dell’ “internet sovranista”, come è stata ribattezzata da varie testate italiane – la misura permette a Roskomnadzor, l'agenzia statale russa a supervisione delle telecomunicazioni, di prendere il controllo di internet, gestendone tutti i contenuti, nell’eventualità di “minacce alla stabile, sicura e integrale operatività di internet sul territorio russo”. I provider russi di servizi internet sarebbero in quel caso costretti a disconnettersi da qualsiasi server straniero, affidandosi invece al DNS (Domain Name System, sistema dei nomi di dominio) russo. Tuttavia, cosa esattamente costituisca una “minaccia” è poco chiaro e dà adito alle accuse di illiberalità: l’attivazione di questa misura sarà infatti a discrezione del governo russo, che dovrà anche determinare i tipi di minacce e le misure per eliminarli.
Che cosa è la sovranità digitale?
La sovranità digitale è una particolare forma di gestione dello spazio cibernetico che prevede il possesso da parte dello Stato delle reti e dei dati trasmessi attraverso di esse. Questo modello è in antitesi rispetto a quelli che sono i principi fondanti utopico-libertari dello spazio cibernetico, in particolare la libertà dei dati, delle reti e degli utenti e in cui il ruolo dello Stato è marginale. Nel corso degli anni, lo Stato ha guadagnato sempre più importanza e rilevanza nella gestione dello spazio cibernetico. Esso può avere diverse conformazioni e modalità di intervento statale. Alcuni paesi hanno un’impostazione particolarmente rigida, con un ruolo invasivo dello Stato nella gestione del spazio cibernetico, come appunto la Russia, ma anche la Cina. Quest’ultima presenta una delle più celebri soluzioni di sovranità digitale, che include il Grande Firewall che controlla, blocca e filtra le informazioni che passano attraverso i tre portali di connessione tra la rete cinese e il resto del mondo. In Russia la sovranità digitale si configura tramite il possesso dei dati e delle informazioni degli utenti russi su server nazionali, con il controllo del Roskomnadzor (i cui poteri vengono rafforzati dalla legge appena entrata in vigore) sulle comunicazioni di tutti i media (sia dall’estero, verso l’estero e interno) e dalla possibilità di staccare la rete russa dal resto del web, garantendo però l’accessibilità ai contenuti gestiti dai server russi. Tuttavia, il modello russo si differenzia da quello cinese poiché il sistema di censura e filtraggio dei contenuti in Cina è stato avviato da quasi due decenni ed è affiancato da una serie di servizi sostitutivi di matrice nazionale come Baidu, WeChat e Weibo. In Russia, benché esistano servizi nazionali molto diffusi, come Yandex o VK, gli utenti sono abituati a servirsi anche delle piattaforme occidentali come Instagram o Telegram.
Come si è sviluppato l’“internet sovrano” russo?
Il governo russo perora ormai da decenni la causa del controllo del flusso di dati e informazioni che avviene nel web. Già a partire dalla metà degli anni Novanta, la Russia propose agli Stati Uniti una bozza di trattato internazionale sulla sicurezza delle informazioni che fu però rifiutata da Washington, in quanto – secondo gli americani – implicava un controllo statale sui dati nel web[1]. La Russia propose poi, senza troppo successo, la stessa nozione di sicurezza delle informazioni in seno alle Nazioni Unite. Successivamente, sul piano interno, il governo russo intraprese una serie di iniziative volte ad assicurare il controllo sui dati da parte dello Stato. Infatti, come già si legge nella Dottrina di Sicurezza delle Informazioni pubblicata in Russia nel 2000, la sicurezza informatica viene definita come la protezione dell’interesse nazionale russo nello spazio informativo definito dal bilanciamento degli interessi individuali, sociali e statali. Nel 2008, venne reintrodotto il Servizio federale per la supervisione nell’ambito della comunicazione di massa, con poteri di controllo e censura su tutti i media (internet incluso). Successivamente, le rivoluzioni colorate nello spazio post-sovietico durante gli anni Duemila, le “primavere arabe” del 2011 e Euromaindan in Ucraina nel 2013/14 – avvenute anche grazie all’utilizzo di internet – hanno dato ulteriore riprova degli effetti su larga scala che le informazioni diffuse in rete possono avere nella società.
Nel 2014 la Russia ha adottato una legge che obbliga tutte le aziende che operano online a mantenere e gestire i dati dei cittadini russi su server locati sul territorio nazionale. Con il provvedimento appena approvato si finalizza pertanto un progetto di sovranità della rete e dei dati. La legge dimostra anche il crescente allineamento politico tra Russia e Cina, dopo la firma di accordi bilaterali che delineano una visione condivisa per il futuro di internet. Uno di questi è l’accordo di cooperazione sulla sicurezza internazionale delle informazioni del 2015: già allora si sottolineò l'importanza di diffondere l'idea di un “internet sovrano”. Un anno dopo, inoltre, Putin e il presidente cinese Xi Jinping hanno firmato una dichiarazione congiunta a conferma del loro approccio strategico alla governance di internet, un approccio che riconosce nella sovranità nazionale sulla rete una continuazione della sovranità nello spazio dell'informazione. Con la legge per l’”internet sovrano” c’è chi ritiene che l’allievo stia addirittura superando il maestro.
Cosa ne pensano i russi?
In un sondaggio condotto dal centro di ricerca statale “VTsIOM”, più di metà degli intervistati si è detta contraria alla legge, dichiarando che internet in Russia dovrebbe continuare a svilupparsi come una rete "che unisce il mondo intero” e non isolata. La legge non è che il più recente di una serie provvedimenti del Cremlino per esercitare un maggiore controllo sull’informazione e sulla società civile russa in generale. Ad esempio, il 18 marzo 2019 è entrata in vigore una legge che vieta la diffusione online di "fake news" da parte di mezzi di comunicazione di massa e singoli cittadini. La legge si applica non solo alle notizie, bensì a qualsiasi informazione “socialmente significativa” falsa, ma riportata come fatto affidabile; inoltre punisce chi dimostra una “palese mancanza di rispetto” per lo Stato. Questa stretta legislativa sulla libertà d’espressione può essere spiegata come tentativo per arginare le manifestazioni di dissenso popolare dei russi, che nei mesi scorsi sono scesi in piazza per protestare contro l’impopolare riforma che innalza di cinque anni l’età pensionabile. Da ultimo, in occasione delle manifestazioni per la giornata internazionale dei lavoratori, le autorità hanno arrestato più di 120 persone che protestavano contro il governo.
Sembra che il governo sia sempre più spaventato dal dissenso, tanto che – secondo un rapporto pubblicato da una coalizione di organizzazioni non governative occidentali e russe – il numero di prigionieri politici ad oggi presenti nelle carceri russe è 236, ovvero cinque volte maggiore rispetto a quello del 2015. In questi giorni, una battuta popolare in Russia sull’attuale situazione di controllo del web recita: “se dici cose cattive contro il governo, vai in galera per cospirazione contro lo Stato; se dici cose positive sul governo, vai in prigione per fake news”.
[1] Alexander Klimburg (2017). The Darkening Web: The War for Cyberspace. New York: Penguin Press.