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Per i diritti delle donne

Ruth Bader Ginsburg, la voce progressista della Corte Suprema

22 settembre 2020

Cosa ci fai qui, a occupare il posto di un uomo? È questa la domanda, rivoltale dal preside della Harvard Law School al primo anno di corso, che perseguiterà  Ruth Bader Ginsburg per tutta la  vita. Una domanda a cui lei ha risposto con i fatti: da attivista per l’uguaglianza di genere prima e da giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti poi, Bader Ginsburg ha dimostrato, come amava ripetere, che “il posto delle donne è là dove si prendono le decisioni”. La sua morte a 87 anni il 18 settembre 2020, poche settimane prima delle presidenziali USA, apre ora una battaglia tra il presidente Donald Trump e i democratici per la nomina di un suo successore al più alto tribunale degli Stati Uniti.

Figlia della “Grande Mela” Ruth Bader Ginsburg nasce a Brooklyn nel 1933 da genitori ebrei immigrati negli Stati Uniti da Ucraina e Polonia. La madre Celia era stata un’ottima studente al liceo, ma non aveva potuto continuare gli studi perché i genitori avevano deciso di investire sull’istruzione universitaria del fratello. Determinata a garantire un futuro diverso alla figlia, Celia spinge così Ruth a studiare e la sostiene fino alla fine: morirà di cancro il giorno prima che la figlia si diplomi. La sua scomparsa però  diventa un ulteriore sprone per Ruth a continuare gli studi, che proseguono alla Cornell University dove si laurea in scienze politiche nel 1954. Nel campus dell’ateneo, nel frattempo, Ruth conosce  Martin Ginsburg, che sposa un mese dopo la laurea. Diventata così Bader Ginsburg, segue il marito in Oklahoma per il suo servizio militare e trova impiego nella pubblica amministrazione dello stato. È qui che rimasta incinta della prima figlia, il suo ufficio la rimuove dalla posizione, demansionandola .

Finito il servizio militare di Martin, la coppia torna in università ed entra alla Harvard Law School. È il 1956 e Bader Ginsburg è una delle sole nove donne in un corso di oltre 500 studenti di legge, per di più con una figlia di un anno. Il doppio impegno, spiegherà poi, la aiuta a tenere le cose in prospettiva e ad apprezzare i lati migliori di entrambe le sue sfide di madre e studente, ma la strada non è certo in discesa: a cercare di frenarla non sono solo le insinuazioni del preside della facoltà, ma anche le difficoltà che incontra nel trovare un primo impiego come assistente legale. Dovrà pazientare qualche anno prima di riuscire ad ottenere, all’inizio degli anni ‘60, un incarico come professoressa prima alla Columbia University e poi alla Rutgers Law School. 

È negli anni ‘70 però che inizia la vita pubblica di Bader Ginsburg come attivista per la parità tra uomini e donne. Nel 1972 è infatti tra i fondatori della sezione della American Civil Liberty Union dedicata ai diritti delle donne, gruppo che porterà avanti centinaia di cause legali contro le discriminazione di genere in tutto il paese. Tra il 1973 e il 1976, Bader Ginsburg dibatte sei casi riguardanti diritti delle donne davanti alla Corte Suprema, vincendone cinque e dimostrandosi un’astuta e pragmatica stratega: invece di imbarcarsi in una crociata per l’abolizione in toto delle discriminazioni di genere, Bader Ginsburg si concentra di volta in volta su aspetti specifici del problema, smontandoli uno a uno e costruendo ogni caso sulle conclusioni dei precedenti. Quello di Bader Ginsburg diventa così un nome noto, apprezzato anche da giudici conservatori come il leggendario Antonin Scalia, con il quale Bader Ginsburg tesserà negli anni una profonda amicizia. La Casa Bianca intanto prende nota e nel 1980 il presidente Jimmy Carter la nomina giudice alla corte d’appello del District of Columbia. È nel 1993, a sessant’anni, che arriva per lei la consacrazione definitiva, con la nomina alla Corte Suprema da parte di Bill Clinton.

Anche alla Corte Suprema Bader Ginsburg conserva la sua giurisprudenza prudente e moderata, ma non manca di far sentire la propria voce se necessario: quando nel 2006 rimane l’unica donna tra i giudici supremi, Bader Ginsburg non esita a segnalare il proprio dissenso dalle decisioni del tribunale leggendo le proprie conclusioni alternative davanti al pubblico e ai colleghi. A partire dagli anni ‘10, Bader Ginsburg diventa così il volto e la voce dell’ala progressista della Corte Suprema, mettendo la propria firma su una serie di storiche decisioni del tribunale su uguaglianza di genere, diritto all’aborto, abusi delle autorità e affirmative action. Il suo status di icona femminista le vale il soprannome di “Notorious RBG”, un richiamo al celebre rapper “Notorious B.I.G.” con cui la giudice condivide le origini newyorkesi. 

È durante i suoi anni alla Corte Suprema, che per Bader Ginsburg iniziano anche i problemi di salute. Nel 1999 ha una prima diagnosi di cancro e deve sottoporsi a un ciclo di chemioterapia. Nei successivi vent’anni, la giudice dovrà lottare contro altri quattro tumori. Terapie e interventi chirurgici non riescono comunque a tenerla lontana dal lavoro: è solo nel gennaio 2019, a 85 anni, che Bader Ginsburg, in convalescenza dall’ennesima operazione, è costretta a saltare un’udienza per la prima volta in oltre 25 anni alla Corte Suprema. Nonostante età e problemi di salute, Bader Ginsburg rifiuta tutti i suggerimenti al pensionamento, compresi quelli di chi la invita a considerare che il suo ritiro permetterebbe all’allora presidente Barack Obama di nominare un successore liberal più giovane prima del possibile arrivo di un presidente repubblicano nel 2016.

È un nuovo cancro, al pancreas, che alla fine spegne la giudice nel settembre del 2020. Nel testamento dettato alla nipote, Bader Ginsburg dice che il suo più grande desiderio è di non venire sostituita prima che un nuovo presidente sia entrato alla Casa Bianca. Come spesso aveva fatto in vita, anche dopo la morte la giudice riesce a tagliare un ultimo traguardo nella lotta per l’uguaglianza, diventando la prima donna e la prima persona di fede ebraica la cui camera ardente viene allestita al Campidoglio. Nella sua scomparsa alla vigilia del Rosh Hashanah, il capodanno ebraico, risuonano echi di una saggezza antica: i giusti muoiono alla fine dell’anno, perché c’è bisogno di loro fino all’ultimo giorno.

Profilo a cura di Fabio Parola

 

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