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Conflitto irrisolto
Sahara Occidentale: la lunga marcia dei Sahrawi
Francesco Correale
15 gennaio 2021

Il 21 ottobre 2020 un gruppo di civili sahrawi (circa cinquanta persone) blocca il transito verso e dalla Mauritania accampandosi nei pressi della località di Gargarat, a circa 5 km dalla frontiera, al di là dei territori controllati dal Marocco. Si tratta di un punto strategico che permette il commercio verso il resto del continente africano. Il 13 novembre l’esercito marocchino interviene per sgombrare la pista, entrando in una zona il cui accesso gli è vietato e rompendo, di fatto, il cessate-il-fuoco in vigore dal 1991. Nel corso dello stesso giorno, il Fronte Polisario risponde all’attacco marocchino con una serie di cannoneggiamenti lungo tutto il muro militare.

 

Sahara Occidentale: contesto storico ed eredità coloniale

Il conflitto tra il Marocco e il Fronte Polisario affonda le sue radici nella storia coloniale del Sahara Occidentale. Colonia (1884), poi provincia metropolitana dello Stato spagnolo fino al 1975, il Sahara Occidentale è iscritto nella lista dei territori non autonomi stabilita dalla IV Commissione dell’Assemblea Generale dell’ONU. Conteso fra il movimento nazionalista sahrawi, incarnato dal Fronte Polisario, e il Regno del Marocco e la Repubblica Islamica di Mauritania (fino al 1978), è stato oggetto di una guerra di sedici anni conclusasi nel 1991 con la stipulazione di un cessate il fuoco e l’invio di una Missione delle Nazioni Unite per l’organizzazione di un referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO), referendum di autodeterminazione previsto fin dal 1963. All’inizio della guerra, più della metà della popolazione scappa dal territorio per rifugiarsi in Algeria, dove tuttora vivono, in cinque campi nei pressi di Tindouf, circa 170,000 persone.

Nei fatti il conflitto in Sahara Occidentale è un conflitto asimmetrico, perché il contenzioso non è meramente territoriale: riguarda da un lato uno stato consolidato e dall’altro popolazioni che nel corso del tempo hanno mostrato più volte di non voler essere semplici spettatrici della storia.

Durante la presenza spagnola, resistenza e accomodamento delle popolazioni si alternano traducendo, nei fatti, un progetto politico poliedrico, corrispondente a un’organizzazione sociale originaria gerarchizzata, acefala e nomade. Probabilmente, più che la resistenza agli Spagnoli, è l’accomodamento a rivelare una soggettività politica di quelle popolazioni le quali, preso atto della disparità di forze rispetto all’esercito coloniale francese che penetra nelle regioni circostanti, decidono di riconoscere la presenza di Madrid. Non la percepiscono come “dominazione” ma come una opportunità che permette loro di organizzarsi all’interno degli spazi delimitati dalle frontiere coloniali e agire contro i francesi senza essere perseguiti. Di fatto, l’occupazione del litorale sahariano è facilitata dai notabili locali e da alcune popolazioni alle quali gli Spagnoli pagano un tributo sotto forma di donativi, inseriti come tali nel budget della colonia – seguendo, in effetti, le stesse dinamiche di sottomissione delle popolazioni tributarie a quelle situate più in alto nella gerarchia sociale ovest-sahariana. A metà degli anni ‘50 i venti della decolonizzazione si fanno sentire anche nel Sahara spagnolo, le cui popolazioni partecipano alle azioni armate contro la presenza francese e spagnola nella regione istigate dall’Esercito di Liberazione (EL) – quadri marocchini, combattenti delle regioni di Ifni e del Sahara Occidentale. Dopo un’operazione militare franco-spagnola che ripristina il controllo di Madrid sul territorio (febbraio 1958), l’alleanza si rompe per una buona parte dei Sahrawi che arrivano al confronto armato con i vertici dell’EL nella regione di Tarfaya (dicembre 1958). Parte del protettorato spagnolo in Marocco ma pienamente negli spazi di nomadizzazione delle popolazioni del Sahara Occidentale, la regione di Tarfaya è ceduta dalla Spagna al Marocco con le stesse modalità che avevano portato le “potenze” coloniali europee nel XIX secolo ad attribuirsi virtualmente regioni del continente africano senza prendere in considerazione le popolazioni. Fino alla fine degli anni ’60 gli abitanti del Sahara Occidentale, che in quegli anni vengono ufficialmente designati come “sahrawi”, sembrano giocare la carta dell’accomodamento: la guerra e la siccità favoriscono un’apparente assimilazione che, tuttavia, riguarda essenzialmente i notabili attratti dalle prebende coloniali – altro discorso vale per la manodopera sahrawi che, sottopagata, costruisce le prime infrastrutture del territorio. Dopo un primo movimento nazionalista sahrawi nato alla fine del decennio e represso duramente da Madrid (giugno 1970), nel 1973 nasce in funzione anti-spagnola il Fronte Polisario, riconosciuto dall’ONU nel 1975 come unico e legittimo rappresentante del popolo sahrawi. Ciononostante, la questione “territoriale” riprende il sopravvento sul fattore umano, e la divisione del territorio fra Marocco e Mauritania, nel 1975, viene attuata come se i Sahrawi non esistessero. In questo senso, la proclamazione della Repubblica Araba Sahrawi Democratica, nel 1976, è servita al Fronte Polisario per colmare il vuoto giuridico determinato dal ritiro degli Spagnoli, ma le popolazioni rifugiate in Algeria hanno continuato a essere dipendenti dagli aiuti internazionali, mentre le aree controllate dal Marocco – l’80% del territorio delimitato da un muro militare di 2720 km che attraversa il territorio da nord a sud – hanno subito gli effetti derivanti dall’intensificazione dello sfruttamento delle risorse – essenzialmente fosfati e pesca. Attualmente, il popolo sahrawi è diviso in tre gruppi principali: quelli che vivono nei campi profughi nei pressi della città algerina di Tindouf; coloro che vivono nei territori controllati dalle forze marocchine (circa 65.000 persone), e la diaspora sahrawi (intorno alle 10.000 persone).

 

Nuovi scontri tra il Marocco e il Fronte Polisario

La ripresa delle armi del novembre 2020 - che ha anche motivazioni di aggregazione interna – è, per il movimento nazionalista sahrawi, il tentativo di riaffermare la soggettività politica di un’intera popolazione; è, in altre parole, la risposta alla colonialità marocchina che nega tale soggettività, considerando l’Algeria come unico interlocutore; ed è la replica alla comunità internazionale che per debolezza o opportunismo politico, è incapace di imporre una soluzione che rispetti i dettami del diritto internazionale e consenta lo svolgimento del referendum; o, come nel caso della presidenza Trump uscente, baratta lo stabilimento di relazioni diplomatiche fra il Regno del Marocco e Israele con il riconoscimento della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale. In realtà, in una condizione di conflitto aperto è molto difficile dare elementi fattuali che rendano la situazione sul terreno. Si possono però fornire alcuni spunti di riflessione che aiutano a descrivere il quadro degli avvenimenti.

Per comprendere il perché dello scontro dello scorso novembre, bisogna richiamare gli accordi militari che, fra il 1997 e il 1998, la MINURSO stipula con il Fronte Polisario con il Regno del Marocco. In essi sono specificate le zone a est e a ovest del muro militare entro le quali possono essere svolte determinate attività. Sono definite:

  • Una “zona tampone” di 5 km di larghezza che corre lungo il muro militare da sud a est. Il muro non è incluso in questa zona. Nella “zona tampone” è vietato l'ingresso di personale o attrezzature militari dei due eserciti sia via terra che via aerea, nonché l’uso di armi. Gargarat si trova in questa zona, ed è quindi chiaro che l’invio di militari marocchini in questa zona costituisca una violazione dell’accordo di cessate-il-fuoco, rafforzata dalla costruzione di un ulteriore muro iniziata poche ore dopo gli scontri del 13 novembre, e della posa di nuove mine.
  • Un’“area riservata”, ovvero due aree di 30 km di larghezza situate la prima a nord e a ovest del muro e la seconda a sud e est dello stesso. Il muro è incluso nella prima area, la zona tampone di 5 km nella seconda. Nelle due aree l’elenco dei divieti è molto lungo. Qui interessa ricordare quello di condurre addestramenti militari, di scavare nuove trincee o creare nuovi depositi per armi. In effetti, la terza città del Sahara Occidentale Smara, si trova entro i 30 km controllati dal Marocco. La città ospita infrastrutture militari, cosicché è possibile affermare che la violazione dell’accordo sia ben precedente all’incidente di Gargarat.
  • Delle “aree con restrizioni limitate”, rispettivamente a nord e a ovest della prima area riservata e a sud e ad est della seconda, nelle quali possono essere svolte quotidiane attività militari ma non il rinforzamento dei campi minati o la costruzione di nuovi centri di comando militari. Anche nelle città di El Ayoun (la capitale) e Dakhla, entrambe controllate dal Marocco, sono state però costruite caserme, centri di addestramento e di comando militari.

Va inoltre aggiunto che era prevista l’apertura di quattro brecce per favorire la circolazione nelle varie zone del territorio, ma non quella di Gargarat, di cui l’ONU aveva cominciato a preoccuparsi nel 2001. Una prima crisi era nata, in questo punto, nel 2016, quando il Marocco aveva mostrato l’intenzione di asfaltare la pista che giunge in Mauritania, incontrando l’opposizione del Polisario. Dopo mesi di tensione, in seguito a una mediazione dell’ONU, il Marocco aveva ritirato le sue truppe nel febbraio 2017, seguito alcune settimane dopo dal Polisario. Bloccare Gargarat, nel 2016 come nel 2020, era importante per i Sahrawi perché è attraverso quel passaggio che transitano persone e merci da e verso il Marocco. Fra queste merci ci sono anche quelle risultanti dallo sfruttamento delle risorse dei territori occupati del Sahara, più volte oggetto di contenziosi anche dinanzi alla Corte di Giustizia Europea per la partecipazione di alcuni Stati membri dell’UE a tali commerci, da cui però i Sahrawi nei campi profughi non traggono alcun beneficio.

La protesta si è poi saldata con il desiderio di attirare l’attenzione dell’ONU sull’insostenibilità della situazione di stallo 45 anni dopo l’inizio dell’esilio, e quasi trenta dopo il cessate-il- fuoco. In effetti non solo i negoziati sono ad un punto morto, ma negli ultimi anni l’ONU, pur continuando a rinnovare il mandato della MINURSO, non agisce per la soluzione definitiva del conflitto. Ne sono prova sia la mancata nomina di un Inviato Speciale del Segretario Generale dell’ONU dal maggio 2019, dopo le dimissioni di Horst Köhler, sia il non-allargamento del mandato della MINURSO al controllo del rispetto dei diritti umani, negato da vari anni su pressione di Francia e Russia, malgrado le richieste non solo del Fronte Polisario ma anche di ONG come Amnesty International.

 

The opinions expressed are those of the author. They do not reflect the opinions or views of ISPI.

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Tags

Africa Marocco Sahara occidentale
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AUTORI

Francesco Correale
Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS)

Image credit (CC BY-ND 2.0): Michele Benericetti

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